Stefania Feletto
R.U.R. – Rossum’s Universal Robots di Karel Čapek è l’opera in cui si legge per la prima volta la parola robot, destinata a entrare in tutte le lingue del mondo. La pièce teatrale, insieme ad altri lavori dello stesso autore, rientra nel genere letterario distopico che si diffonde in Europa negli anni Venti del secolo scorso. Questo filone si sviluppò anche in Russia, dove comparvero opere importanti come My (“Noi”, 1924) di Evgenij Zamjatin e Aelita (1923) di Aleksej Tolstoj. L’opera di Zamjatin, considerata capostipite del genere dell’utopia negativa, riuscì a profetizzare le trasformazioni che la Russia rivoluzionaria avrebbe realmente vissuto di lì a qualche anno sotto il regime di Stalin e, per questo motivo, quando nel 1921 una parte di My fu pubblicata per la prima volta in russo su una rivista di Praga, fu il primo romanzo ad essere messo al bando dal Glavlit, l’organo sovietico preposto alla censura. Proprio per il controllo che il Partito comunista imponeva sulle opere letterarie scritte in Unione Sovietica, il genere utopico non trovò in Russia larga diffusione dopo la fine degli anni Venti e gli scrittori, tra i quali anche Bulgakov, dovettero rivolgersi al romanzo allegorico per nascondere la realtà che volevano raccontare. Il controllo del Partito si estendeva anche sulle opere provenienti dall’estero e sulla loro ricezione.
Sulla produzione di Čapek venne imposta un’interpretazione che non ne favorì un duraturo successo: vennero infatti pubblicate solo quei suoi lavori che potevano risultare brillanti testi sociopolitici e antifascisti, come La guerra delle salamandre, La malattia bianca e La madre. R.U.R. non comparve nella lista delle opere vietate solo perché il conflitto “uomo-macchina” venne trasfigurato nella lettura critica sovietica nel concetto di lotta tra l’operaio e il capitalismo. Critici letterari come Oleg Malevič e Sergej Nikolʹskij furono costretti, in una prima fase, a mascherare i contenuti dell’opera di Čapek, e solo tra gli anni Cinquanta e Settanta poterono svelare anche la critica della pièce nei confronti dei totalitarismi. Nonostante le tante complessità, l’opera geniale di Čapek R.U.R. arrivò in Unione Sovietica e, attraverso la sua imitazione e la sua traduzione, influenzò molti scrittori e artisti.
Se R.U.R. uscì nel 1920, la sua pubblicazione in russo non comparve prima del 1924. In quell’anno furono condotte ben due traduzioni, una a Praga, l’altra a Leningrado. La prima era un’opera sostanzialmente identica all’originale, pubblicata dalla casa editrice russa Plamja ad opera di Iosif Kallinikov, intitolata R.U.R. (in caratteri latini), che conservò anche lo scioglimento dell’acronimo originale. L’altra versione era frutto del lavoro di Isaj Mandel’štam e Evgenij Gerken, intitolata В.У.Р., traslitterata in V.U.R. – Verstandovy universal’nye rabotari, pubblicata per la casa editrice Gosudarstvennoe izdatel’stvo Leningrada. I due titoli sono diversi fra loro perché differenti sono i testi di partenza dai quali è stata condotta la traduzione. Mentre Kallinikov partì dal testo originale in ceco, Mandel’štam e Gerken si basarono sul testo tradotto in tedesco da Otto Pick. In quel caso, il traduttore aveva trasposto il significato del cognome della famiglia Rossum (in ceco deriva da rozum, ossia “ragione”), trasformandolo in Werstand (derivato in tedesco dalla parola Verstand, anch’essa significa “ragione”), cambiando di conseguenza il titolo in W.U.R.. Nella traduzione russa di Mandel’štam e Gerken, Werstand divenne solo un cognome e andò inevitabilmente persa la trasposizione di significati racchiusa nei cognomi parlanti scelti da Čapek e Pick. Un’ulteriore differenza tra le due traduzioni sta nell’uso che fanno del neologismo robot: Kallinikov usò la stessa parola, traslitterandola, per chiamare gli esseri di Čapek, mentre Mandel’štam e Gerken tentarono di rendere più familiare al lettore sovietico la parola robot, trasformandola in rabotar’, aggiungendo dunque il suffisso “-ar’”, usato in russo per designare le professioni. In questo modo crearono di fatto una nuova parola che, a differenza invece di robot, non venne mai più utilizzata. Negli anni a seguire, per indicare i robot vennero usati in russo anche altri termini, come rabotniki, o rury. Questa coesistenza di più varianti per la stessa parola ritardò l’ingresso ufficiale del termine robot nella lingua russa. La testimonianza di Il’ja Ėrenburg, riportata nelle sue memorie Ljudy, gody, žizn’ (“Uomini, anni, vita”, 1961-1967) registra la scoperta della parola robot nel 1925 e rievoca i timori del sopravvento delle macchine sull’uomo:
“Nel 1925, l’opera di Čapek “R.U.R.” fu rappresentata a Parigi; è apparsa una nuova parola: “robot”. […] Non temevo che le macchine “pensanti” sarebbero state estremamente complesse, ma che queste macchine avrebbero gradualmente svezzato una persona dal pensiero, spostato il groviglio dei sentimenti.”
Nel 1924 l’opera di Čapek, nella traduzione Mandel’štam e Gerken, venne messa in scena per la prima volta al teatro mobile P.P. Gaideburov a Leningrado e alla fine dello stesso anno anche da una serie di altri collettivi indipendenti. R.U.R. fu accolta con favore dal pubblico: Maksim Gorkij la definì un’opera molto interessante e talentuosa, e Anatolij Lunačarskij apprezzò l’eccellente satira tragicomica e l’acuto spirito di osservazione del promettente Čapek.
Le traduzioni di R.U.R. e la messa in scena in russo furono però solo alcuni dei canali che ne diffusero la conoscenza in Unione Sovietica: Aleksej Tolstoj, già citato autore di Aelita, pubblicò nel 1924 l’opera teatrale Bunt mašin, “La rivolta delle macchine”, inedita in italiano. Pubblicata prima a puntate sulla rivista “Zvezda” e poi integralmente per la casa editrice Vremja, Bunt mašin era dichiaratamente tratta dal tema di R.U.R. che Tolstoj cercò di riadattare al contesto sovietico.
Nel 1923, rientrato in URSS dopo un periodo trascorso da emigrato in Germania, Tolstoj raccontò in un’intervista per “Žizn’ isskustva” di aver assistito alla messa in scena di R.U.R. a Berlino e di esserne rimasto profondamente colpito: definì l’opera “assolutamente brillante, dinamitica nei contenuti e dinamica nella forza dello sviluppo dell’azione”. Il tema potente, grandioso e simbolico, l’aveva spinto a trovare il modo di portare l’adattamento anche sui palchi russi. A Berlino strinse dunque un accordo con il regista sovietico Gregorij Krol’. Egli avrebbe dovuto condurre una traduzione interlineare del lavoro di Čapek dal tedesco al russo, e Tolstoj si sarebbe occupato di metterlo in scena in Unione Sovietica. Nell’intervista del 1923, Tolstoj disse:
“Al momento sto lavorando su due opere tradotte. La prima è “Bunt mašin” di Čapek. […] sfortunatamente, è scritta da una mano inesperta.. L’opera dovrà “adattarsi”, come dicono i francesi, alla scena russa. È necessario, come si suol dire, mettersi al lavoro, eliminare tutti i piccoli difetti, i fallimenti e gli aspetti incompiuti.”
In questa affermazione, in cui peraltro confonde il titolo dell’opera di Čapek con quella che lui stesso pubblicherà di lì a poco, Tolstoj espresse la necessità di ritoccare R.U.R. per il proprio pubblico. Da questo processo di revisione nacque però Bunt mašin, un’opera per molti aspetti originale. Per difendere la propria posizione, nella prefazione Tolstoj scrisse:
“La scrittura di questa pièce è stata preceduta dalla mia conoscenza dell’opera V.U.R. dello scrittore ceco Karel Čapek. A sua volta, il tema di V.U.R. era stato preso in prestito dall’inglese e dal francese. La mia decisione di prendere il tema di qualcun altro è stata supportata dall’esempio di grandi drammaturghi.”
Riferendosi probabilmente ai romanzi Frankenstein di Mary Shelley e a Eva futura di Villiers de l’Isle-Adam, l’idea era quella di suggerire l’internazionalità del tema di Čapek. Nonostante questa dichiarazione, per le molte similitudini con R.U.R., alcuni critici non riconobbero l’originalità di Bunt mašin e quando nell’aprile del 1924 venne messa in scena al teatro di drammaturgia Tovstonogov a Leningrado, Krol’ si rivolse al tribunale perché gli venisse pagata la metà dei diritti d’autore, trattandosi di un’opera a cui aveva lavorato. Il processo si risolse a favore di Tolstoj grazie all’intervento di esperti, quali Zamjatin, Čukovskij e Ščëgolev che invece riconobbero l’opera come indipendente dal testo di Čapek e del regista.
Nonostante la caduta delle accuse, Tolstoj mal sopportò questo periodo anche a causa dell’opinione indignata che Gorkij e altri diedero della sua appropriazione di Čapek. Ščëgolev raccontò di aver consolato lo scrittore dicendogli che infondo “anche Shakespeare aveva copiato La bisbetica domata”. È interessante notare che Bunt mašin non fu l’unico esempio di “variazione sul tema” che Tolstoj compose a partire da opere altrui: attorno al 1923 scrisse Zolotoj ključik, ili Priključenija Buratino, tradotto in italiano con “Il compagno Pinocchio” o “Buratino e la chiavetta magica”, che si rifaceva proprio al soggetto di Collodi. Intenzionato a condurre una nuova traduzione, Tolstoj finì per scrivere anche in questo caso un’opera con evidenti riferimenti all’originale.
Quali sono le similitudini e le differenze principali tra Čapek e Tolstoj? Sul piano dei contenuti, Tolstoj riprende la storia dell’invenzione della vita artificiale attraverso il protoplasma, le intenzioni opposte di due generazioni di scienziati spinti alla ricerca da motivazioni diverse, il carattere di Helena trasposto in Elena, la frenesia che prendeva i robot di Čapek, oltre alla scena finale in cui i robot diventano uomini. Nonostante ciò, l’opera di Tolstoj si contraddistingue per uno spirito sociopolitico marcato, l’introduzione di personaggi nuovi, come il proprietario della fabbrica Morey e il rivoluzionario Michail, che si allea, insieme ad altri disoccupati, con i robot nella lotta contro il padrone. Sostanzialmente, Tolstoj si preoccupò di “sovietizzare” l’opera affinché diventasse un simbolo dello scontro tra socialismo e capitalismo, concludendo che la rivolta dei robot è essa stessa una rivoluzione che deve vedere gli umani coalizzarsi ai robot. Nel tentativo di seguire la trama di R.U.R., Tolstoj scrive una pièce diversa ma non tanto forte quanto quella di Čapek, in cui il finale risulta ideologicamente confuso.
La prima trasposizione cinematografica dei robot fu ad opera della casa cinematografica russo-tedesca Mežrabpomfil’m, che produsse nel 1935 il film Gibel’ sensacii, diretto da Aleksandr Andrievskij: si tratta di un adattamento del racconto di Vladimir Vladko Idut roboty! (“I robot avanzano!”) del 1929. I personaggi sono dei robot dalle sembianze meccaniche che indossano sulla loro cassa metallica la scritta “R.U.R.”, ma che sono già molto lontani da quelli dall’aspetto umano di Čapek. Nel teatro russo, tracce della riflessione sulla meccanizzazione della società si possono rintracciare negli studi di Vsevold Mejerchol’d teatro biomeccanico, caratterizzato da uno stile di recitazione ispirato dalle idee delle avanguardie e basato su principi meccanici e marionettistici: l’attore diventava il meccanico e il corpo la macchina su cui lavorare. Un’esemplificazione importante dello stile di Mejerchol’d fu la messa in scena nel 1928, de La cimice di Vladimir Majakovskij.
Bibliografia:
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Karel Čapek, R.U.R.- Rossum’s Universal Robots, a cura di Alessandro Catalano, Venezia, Marsilio, 2015.
Ksenija Kostantinovna Maslova, K voprosu “tematičeskogo genezisa” v naučno-fantastičeskich dramach K. Čapeka e A. N. Tolstogo, in “Vestnik slavjanskich kul’tur”, vol. 44, Moskva, Gosudarstvennaja Akademija Slavjanskoj Kul’tury, 2017.
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William Edward Harkins, Karel Čapek’s R.U.R. and Tolstoj’s Revolt of the Machines, in “The Slavic and East European Journal”, Vol. 4, N. 4, Columbia Univeristy, 1960.
Apparato iconografico: