A cura di Michela Romano
Traduzione di Martina Mecco
Abstract:
Spreading Resistance. Interview with Linor Goralik
This interview with Linor Goralik explores the role of art and culture as mechanism of resistance in contemporary Russia. Through an analysis of the evolution of the review ROAR (Resistance and Opposition Arts Review), this dialogue offers a unique prospective on the phenomena of the cultural dissent system, such as the spreading of contents or the project “Novosti 26: prodrostkam o russkoy politike”, aimed to inform teenagers about the history of politics. Furthermore, there are considerations regarding the comparison between contemporary dissent and the Soviet one. The interview concludes with the concept of emotional equality, exploring the overcoming of cultural barriers through the sharing of common emotional experiences.
Resistere è parlare, agire, creare e diffondere. È ciò che ROAR (Resistance and Opposition Arts Review) ha iniziato a fare all’indomani dell’invasione su larga scala russa dell’Ucraina e che, con determinazione, ha portato avanti fino alla pubblicazione del suo sedicesimo numero. Fondata da Linor Goralik, la rivista è oggi una delle piattaforme più autorevoli della resistenza culturale. Goralik, scrittrice, poetessa, traduttrice e artista visiva emigrata in Israele, è una delle voci più incisive della letteratura e dell’attivismo russofono contemporaneo. La sua produzione spazia dalla narrativa alla poesia, dalla saggistica all’illustrazione, affrontando con profondità e lucidità temi come la memoria, la guerra e la società russa. Inoltre, attraverso progetti e iniziative dedicate alle nuove generazioni, si fa promotrice di un’arte che sfida la censura e il regime di Putin, rappresentando un tassello fondamentale nella narrativa della resistenza odierna. Andergraund Rivista ringrazia Linor Goralik per la sua disponibilità.
Michela Romano: Quando si comincia un’intervista è prassi introdurre l’intervistato, parlare della sua vita, dei suoi successi, del suo contributo alla società, trovare una definizione che calzi. Mi perdoni se io una definizione per la persona che è fatico a trovarla: Artista? Attivista? Scrittrice? Appassionata di libertà? Ritiene che qualcuno di questi attributi si adatti a lei? Chi si sente di essere oggi al di là di tutte le etichette che le possono essere associate?
Linor Goralik: Cara Michela, la ringrazio per questa domanda e per la possibilità di autopresentarmi. Sono una persona comune,[1] che sta cercando di preservare sé stessa di fronte a tutto ciò che sta accadendo, che sta cercando di restare lucida e per quanto possibile sana di mente nel marasma di tutto ciò che accade oggi. Ma, cosa più importante, sto cercando di continuare a essere una persona che abbia senso per i miei cari. Questo è ciò che costituisce la mia essenza e la mia sola identità. Sono cara ai miei cari. Tutto il resto sono cose che cerco di fare, ma non sento di essere in relazione ad esse. Sento di essere solo una persona comune.
MR: La rivista da lei fondata ROAR: Resistance and Opposition Arts Review (Vestnik oppozicionnoj russkojazyčnoj kul’tury) è diventata un punto di riferimento fondamentale per chiunque voglia far sentire la propria voce sulla Russia liberamente. Lei e gli altri membri della redazione avete permesso la diffusione di opere artistiche che spaziano tra letteratura e arte, il cui tema spesso riguarda la protesta, la guerra, il dolore, la sofferenza. Durante un incontro in Italia a Forlì presso il Dipartimento di Traduzione e Interpretariato lei ha parlato di un momento di forte crisi affrontato dalla rivista e in intervista invece per Gariwo ha affermato che al termine della tragedia della guerra mossa in Ucraina, auspica la chiusura di una realtà come ROAR. Come è evoluta la rivista dal 2022 ad oggi? Quali sono le sue prospettive future?
LG: Abbiamo iniziato con la rivista appena dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Noi, in un certo senso, siamo rimasti intrappolati. C’erano persone intelligenti che hanno capito che questo incubo, la guerra, sarebbe durato a lungo. Io non la pensavo così. Credevo che avremmo pubblicato solo alcuni numeri: tre, quattro, al massimo cinque. Ora ci stiamo preparando alla pubblicazione del diciassettesimo. La rivista e la sua redazione svolgono un lavoro sensazionale, incredibile. Penso che tutti i membri della redazione siano in tutto e per tutto degli eroi per la loro dedizione e professionalità. Non riesco a spiegare quanto sia difficile per loro, almeno per quello che posso immaginare. Siamo tutti molto stanchi. Per me è più facile, faccio meno lavoro rispetto agli altri, non riesco a immaginarmi quanto sia stanca la redazione. A un certo punto ci siamo anche presi una lunga pausa per rimetterci in sesto. Ora lavoriamo di nuovo a pieno regime. Di tanto in tanto alcuni membri della redazione svolgono altre mansioni perché di fatto è pesante promuovere temi così complessi e capisco che sia difficile lavorare in ROAR. Ma ce la mettiamo tutta e spero che continueremo a lavorare finché la cultura, in antitesi al regime putiniano e alla guerra mostruosa che ha scatenato, dovrà dividersi in cultura di opposizione e assoggettata. Aspettiamo il momento in cui chiuderemo la rivista e sogniamo il giorno in cui non pubblicheremo più.
MR: Lei ha davanti agli occhi le diverse sfaccettature della realtà culturale e letteraria russa attuale. Rispetto a tutto ciò che ha scritto, letto, fino a che punto possiamo testimoniare la formazione di una nuova cultura russa/russofona “anti-bellica”? Quali sono le sue caratteristiche?
LG: Devo dire sin da subito che ciò che vedo è ben poco e che ciò che cercherò di dire ora lo dirò dal punto di vista di una persona comune, dal punto di vista di una persona che non ha e non può avere un’opinione da esperta in merito: leggo, osservo, nulla di più. Detto questo, mi sembra sbagliato ridurre il discorso alla cultura russa anti-bellica, sarebbe piuttosto adatto parlare di una cultura che nel complesso ha rifiutato di essere assoggettata, senza dichiarare necessariamente in ciascuna poesia o in ciascun quadro “no alla guerra”. In quanto tale, ha deciso di essere libera e di non inginocchiarsi al regime. Nel caso di un autore una sua poesia può essere anti-bellica, un’altra completamente estranea alle questioni politiche contemporanee, una terza può riguardare la vita privata, una quarta esprimere come ci si sente in una situazione di emigrazione forzata, una quinta può essere puro lirismo. L’importante non sono le parole in sé, non è l’uso del termine “guerra” al posto di “SVO” [“special’naja voennaja operacija”, “operazione militare speciale”, N.d.T.], ma la scelta di vita dell’autore, il suo essere schierato contro il regime e la guerra. E direi che nella cultura di oggi sia evidente la presenza di una cerchia di autori che si oppongono al regime putiniano, autori non sottomessi al potere, che hanno scelto la libertà. A miei occhi, qualunque cosa facciano o qualunque tema trattino, è proprio questa loro scelta ciò che rende la cultura d’opposizione.
MR: Ricollegandomi alla domanda precedente, quanto crede siano da considerarsi due realtà scisse la cultura russa di opposizione e quella assertiva?
LG: Proseguendo con quanto dicevamo nel paragrafo precedente: mi sembra che, purtroppo, siano due realtà diverse in quanto implicano due posizioni diverse da parte degli autori. Dico “purtroppo” perché questa differenza mi sembra terribilmente angosciante per la cultura. La cicatrice che segna questa differenza provocherà un male angosciante per molto tempo. Anche immaginando che il regime putiniano crolli oggi, questa differenza farà ancora male per un po’ di tempo, per molto tempo. Credo che sia un dolore per il Paese, un dolore per la sua dimensione culturale, così come provocherebbe dolore una qualsiasi divisione tra le persone. Si tratta di una vera e propria disgrazia.
MR: Negli studi accademici di slavistica e letteratura più recenti, si è introdotto una categoria di analisi più ampia che non si limita a riferirsi ai prodotti culturali come “russi”, ma come “russofoni”, per evitarne una qualsiasi connotazione etnica, politica o geografica. Come distinguerebbe lei gli attributi “russo” e “russofono” in riferimento alla letteratura?
LG: Mi risulta difficile rispondere a questa domanda dato che non capisco affatto cosa significhi cultura “russa” (forse è a causa della ma ignoranza), il termine “russa” mi sembra di fatto un’espressione arcaica nel relazionarsi alla cultura, il termine corretto per me è “russofono”.
MR: È chiaro che la difesa della libertà di scelta e di espressione siano il fulcro di diversi dei suoi progetti fino ad ora. Ci parli un po’ dei progetti in cui si trova attualmente coinvolta come, ad esempio il podcast “Novosti 26: prodrostkam o russkoj politike” (“Notizie 26: Politica russa per adolescenti” N.d.T.).
LG: Il progetto “Novosti 26: prodrostkam o russkoj politike” consiste in un canale Telegram e in alcuni siti che occupano di raccontare agli adolescenti – di età compresa tra i 12 e i 16 anni – ciò che succede nella politica russa contemporanea in modo comprensibile e, spero, interessante. L’idea di questo progetto è nata poco dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina. Mi è parso chiaro che oggi nessuno parlasse agli adolescenti di ciò che accade in una lingua comprensibile. Sebbene cerchino di leggere Meduza, di ascoltare podcast di diversi autori, la maggior parte degli ascoltatori non comprende informazioni basilari perché la lingua di questi materiali non è pensata per loro, i discorsi non sono pensati per loro, il contesto risulta loro incomprensibile. Ho ritenuto che fosse necessario realizzare qualcosa finalizzato a spiegare agli adolescenti ciò che non comprendono. Si tratta di lavorare con interlocutori che sono come te, ma che non hanno avuto il tempo o la possibilità di conoscere determinati realia: che cos’è l’ONU? Cosa significa dissidente? Perché in URSS c’era un deficit? Questi realia devono essere spiegati, qui sta la differenza. E così ho iniziato. All’inizio avevamo un canale e un podcast, poi tramite un sondaggio abbiamo scoperto che il podcast non serviva, quindi ci siamo concentrati sul canale. Abbiamo da poco ricevuto un piccolo finanziamento – ci tengo a ringraziare i nostri due finanziatori – e abbiamo avuto l’opportunità non solo di ampliare il nostro staff giornalistico, ma anche di assumere una meravigliosa specialista per la promozione che si è unita a noi proprio l’altro giorno. Speriamo di riuscire a crescere, e “crescere” per noi significa “farci leggere da più adolescenti”. Non abbiamo altri obiettivi.
MR: Nell’introduzione del suo romanzo Bobo, pubblicato sulla sua pagina web, lei scrive: “Il resto della storia è cambiato in relazione a ciò che è successo in Ucraina, che successo in Russia. Nel testo compaiono quindi riferimenti agli eventi di Bucha, ai referendum sull’annessione dei territori delle cosiddette ‘RPL’ [in russo ‘LNR’, Luganskaja Narodnaja Respublika – Repubblica Popolare di Luhansk, N.d.T.] e ‘RPD’ [Repubblica popolare di Dnepr, N.d.T.], alla mobilitazione d’autunno e a molto altro”.”. È possibile definire il suo romanzo un prodotto della nuova ondata “anti-bellica” della cultura russa?
LG: Bobo ha una storia travagliata. Mi stavo preparando a scrivere un romanzo su un elefante regalato dal sultano turco allo zar russo che si sposta per la Russia e che osserva gli eventi della Russia contemporanea nell’arco di quindici anni – e non solo nella Russia contemporanea, ma anche in una perspettiva storica. Mi era segnata un’enormità di appunti, avevo redatto tre possibili bozze ma cestinandole tutti: non andavano bene. Non riuscivo a capire quale Russia dovesse essere, per quale Russia l’elefante si spostasse. Quando è iniziata l’invasione su larga scala tutto ha improvvisamente trovato il suo posto. Ho capito di quale Russia avrei dovuto parlare: di questa Russia, della Russia contemporanea, di ciò che sta accadendo oggi in Russia. Così scrissi Bobo. Si tratta per certo di un prodotto di quell’ondata “anti-bellica” che caratterizza la cultura russofona e rientra in ciò di cui molti autori trattano oggi. Spero di essere stata in grado di diventare una di quelle voci che parlano di quanto sia mostruosa questa guerra, di quanto sia oltraggioso quanto perpetuato dal regime russo oggi. Spero che Bobo sia diventato una piccola nota di questa sinfonia.
MR: Parlando di nuovi fronti “anti-bellici”, il movimento femminista Feminist Anti-War Resistance (FAS: Feministskoe antivoennoe soprotivlenie) si sta dimostrando un canale attendibile e fondamentale per la diffusione del dissenso culturale e di una solida cultura di opposizione al regime Putiniano. Spesso il movimento definisce le proprie azioni come parte di un nuovo samizdat, chiaramente richiamando le radici storiche del dissenso di epoca sovietica. Secondo lei, quali caratteristiche accomunano e quali distinguono il movimento di dissenso culturale russo contemporaneo, sviluppatosi in Russia e nel contesto dell’emigrazione, da quello del periodo sovietico?
LG: Mi sembra ci sia una differenza sostanziale tra la protesta culturale odierna e la dissidenza sviluppatasi in epoca sovietica. In primo luogo, la possibilità di avvalersi delle innovazioni tecnologiche. Avendo internet per noi è molto più facile, possiamo fare molto di più ed è più semplice essere efficaci. Inoltre, si rivela importante il fatto che nonostante i blocchi oggi la protesta culturale è più semplice da ascoltare. In secondo luogo, la protesta culturale oggi avviene in un più ampio ventaglio linguistico. Vi sono molti più gruppi in dialogo, dalla comunità LGBT a indigenous people of Russia. Si tratta di un grande vantaggio – anche il movimento dissidente in URSS lavorava in questa direzione ma, come già detto, la protesta attuale ha la possibilità di risuonare più chiara, di risuonare più forte. In terzo luogo, queste due tipologie di proteste culturali hanno, in una qualche misura, due scopi diversi. Tuttavia, direi che noto molte somiglianze tra il movimento dissidente sovietico e l’odierna protesta culturale. Ad esempio, si tratta di una lotta finalizzata alla libertà di parola in Russia e più lo spazio di libertà interno al Paese si restringe, più la protesta culturale acquista importanza, tanto in Russia quanto nel contesto dell’emigrazione. Osservo come ciò avviene e ricorda il legame della dissidenza sovietica con il samizdat o il tamizdat. Vedo una somiglianza nel modo in cui la dissidenza sovietica ha lottato per la possibilità di sviluppare una strategia volta a resistere al clima soffocante, lo stesso sta facendo oggi la protesta culturale interna al Paese e ammiro molto quei singoli che trovano delle strategie individuali per resistere. Vedo una somiglianza con l’esperienza di un dissidente e un’assimilazione di quell’esperienza nel senso più positivo del termine. Vedo una somiglianza nel modo in cui lavorano i progetti di protesta culturale interni al Paese e come alcuni di questi si rifacciano all’esperienza della dissidenza sovietica, un’operazione che si rivela speranzosa. Per farla breve, non vedo solo differenze ma anche somiglianze che mi sembrano importanti sia da un punto di vista simbolico che pratico, imparare dalla Storia significa mettersi in situazioni meno pericolose, correre meno rischi. Questo mi sembra fondamentale.
MR: Concludendo e ringraziandola immensamente per la meravigliosa opportunità concessa le voglio fare un’ultima domanda: per il sito LiberalCurrents nel febbraio di quest’anno lei ha parlato del desiderio della popolazione russa di vivere una vita decente, spesso inascoltato o non sufficientemente compreso, e ha parlato di emotional equality. Ci spieghi meglio questa espressione e in che modo potrebbe influenzare il rapporto del mondo con la Russia del presente e del futuro.
LG: Voglio ringraziarla infinitamente per la possibilità di questa intervista, per domande così mirate e calzanti, per l’interesse nei confronti di ciò che facciamo io e i miei colleghi. Spiegherò ciò che intendo con emotional equality. Questo termine mi è venuto in mente quando pensavo a come far fronte allo snobismo che c’è in me. Questo snobismo nei confronti di persone che ci sembrano appartenere a un altro ambiente culturale dipende spesso dalla mancanza di codici culturali comuni. Codici di lettura, di ascolto, di visione. Codici di discorso, di linguaggio comune. Questi codici spesso non coincidono perché le persone a cui mi riferisco non hanno avuto i nostri stessi privilegi: non sono cresciuti in un ambiente intellettuale, non hanno ricevuto un’istruzione superiore o il “nostro” tipo di istruzione, non hanno frequentato i circoli che frequentavamo noi. Ora vedo che non si tratta solo di un problema etico, ma anche pragmatico. Ad esempio, questo impedisce ai progetti contro il regime e la guerra di uscire dalla nostra bolla e di raggiungere il pubblico a cui sono indirizzati. Lo considero un problema enorme, da un punto di vista etico e pratico. Ecco, credo che ai fini di una comprensione reciproca sia molto utile ricordare che, anche se proveniamo da contesti culturali diversi e abbiamo retroterra culturali diversi, risiediamo nello stesso spazio emotivo. Viviamo la stessa ansia per il futuro dei nostri figli, per il nostro futuro, la paura di perdere il lavoro o la stabilità, il dolore, il senso di impotenza, la debolezza. Viviamo una vita emotiva comune, questo intendo. Possiamo esprimerla in lingue diverse, ma è pur sempre la stessa. Possiamo fare scelte diverse a seconda delle emozioni che proviamo, ma quelle emozioni, i denominatori comuni, sono le stesse. E ricordandocene possiamo trovare un terreno per capirci. Mi rendo conto che sia molto difficile, molto più difficile che giudicarci a vicenda in base alle canzoni che ascoltiamo, ai libri che leggiamo o non leggiamo, ai film che guardiamo e ai locali che frequentiamo. Ma credo che facendo questo sforzo ci ritroveremo in un mondo diverso.
Grazie Michela, la ringrazio immensamente per queste domande. È una delle interviste più profonde a cui mi è capitato di rispondere da molto tempo.
Apparato iconografico
Le immagini contenute nell’intervista sono state fornite dall’intervistata Linor Goralik.
[1] In russo “častnoe lico”, Goralik ha pubblicato in due volumi Častnye lica. Biografii poetov, rasskazannye imi samimi (“Persone. Biografie di poeti raccontate da loro stessi”). N.d.T.