Il duello silenzioso tra popolo e Stato: la guerra altra in “Vita e Destino” di Vasilij Grossman

Caterina Esposito

 

Abstract

The Silent Duel between People and State: The Other War in “Life and Fate” by Vasily Grossman

This paper aims to analyse the most important novel by Vasily Grossman: Žizn’ i Sud’ba (“Life and Fate” 1950-1960). The first part explores the main features of the writing such as the setting (second world war), his particular structure (the novel is not based on a traditional single plot but is made of multiple plots that intertwine) and the way the author presents key themes like antisemitism, totalitarianism or freedom. The second part of the paper is focused on the war described by Grossman, which is not only the war itself with his cruelty but is especially the figurative inner war of the Russian people against a totalitarian State for the conquest of his rights in terms of humanity and freedom. Particularly through the story of the main character Štrum, Grossman shows that this “inner” war is fought on two levels: a first one which is the one between the people and the State and a second more intimate level, which is the war of the single person itself in whom good and evil struggle in order to make choices that have an impact on the society and on the battle against the State.


Scritto tra il 1950 e il 1960, Žizn’ i sud’ba (“Vita e Destino”, 1980) è l’opera maggiore di Vasilij Grossman. Sullo sfondo della Seconda guerra mondiale si dipanano le vicende dei suoi innumerevoli personaggi, tutti in qualche modo legati alla famiglia del protagonista, il fisico Štrum ‒ che presenta tratti autobiografici in riferimento all’autore, come ad esempio le sue origini ebraiche ‒ e di sua moglie Ljudmila Nikolaevna Šapošnikova Il romanzo avrebbe dovuto essere stato pubblicato nel 1960 dalla rivista Znamja che, inizialmente favorevole alla pubblicazione, dichiarò in seguito di non poterlo pubblicare per “gravi errori politici”. Nel 1961 il KGB confiscò a Grossman tutte le copie del manoscritto, le copie in carta carbone e le bobine della macchina da scrivere. Per un caso fortuito una copia depositata da un’amica si conservò, e così il romanzò venne pubblicato postumo in lingua originale nel 1980 a Losanna. In Russia si dovrà aspettare la perestrojka e il 1988 per assistere ad una prima pubblicazione di Žizn’ i sud’ba.

La battaglia di Stalingrado

L’opera si presenta come una vera e propria epopea di quasi mille pagine, in ogni capitolo il lettore viene trasportato in un’ambientazione diversa animata da personaggi differenti. È così che, immergendosi nella lettura, si passa, ad esempio, dalle trincee del fronte di Stalingrado con il comandante Erëmenko, al lager tedesco dove sono stati condotti i prigionieri di guerra russi, alla casa di Kazan’ di Štrum e al laboratorio nel quale lavora, al lager russo del Dalstroj o, ancora, alle camere a gas di un lager tedesco dove vi sono migliaia di ebrei russi condannati.

Una trama, nel senso stretto del termine, non è rintracciabile, sono invece presenti tanti microintrecci che creano altrettanti microcosmi, sullo sfondo del macrocosmo guerra. Ciò è dovuto all’intento dell’autore, ovvero descrivere tante vite particolari e tanti destini generali. Se da una parte l’assenza di una trama e la presenza di innumerevoli personaggi può destabilizzare il lettore, soprattutto nelle prime pagine, dall’altra, procedendo con la lettura ci si rende conto che il sistema delle “microtrame” funziona molto bene e serve perfettamente la causa dell’autore nella sua volontà di creare un’epopea a trecentosessanta gradi sulla guerra e sulla società sovietica assoggettata al totalitarismo staliniano.

Žizn’ i sud’ba è stato spesso paragonato a Vojna i mir (“Guerra e pace”, 1865-1869). Principalmente, ciò che nel romanzo di Grossman rimanda a quello di Tolstoj è la presenza di un narratore onnisciente che racconta, interviene e tutto giudica. Inoltre, come in Tolstoj, qui i protagonisti delle vicende narrate sono i personaggi di una famiglia moscovita attorno ai quali gravitano tutti gli altri, sullo sfondo comune della guerra.

Nel romanzo l’elemento fiction è ridotto al minimo, mentre sono presenti moltissime digressioni teoriche su temi chiave, quali ad esempio l’antisemitismo, il totalitarismo o la libertà, la protagonista indiscussa di Žizn’ i sud’ba. La maniera in cui Grossman inserisce queste divagazioni, che altro non sono che un’elaborazione delle sue idee, all’interno dell’opera risulta molto interessante. L’autore sfrutta gli stessi personaggi, che durante i loro incontri dialogano e riflettono, soprattutto di politica. Un esempio è rappresentato dal seguente passaggio, in cui Štrum si ritrova a chiacchierare all’ora del tè con alcuni suoi amici a casa di un collega:

“«Cari compagni!» disse all’improvviso Mad’jarov «avete idea di cosa sia la libertà di stampa? Finisce la guerra, una mattina aprite il giornale e invece di un editoriale giubilante, invece di una lettera dei lavoratori al grande Stalin, invece di leggere che la tal brigata di metallurgici ha deciso di offrirsi volontaria come picchetto alle elezioni al Soviet supremo o che i lavoratori degli Stati uniti hanno festeggiato il Capodanno in mestizia, tra disoccupazione crescente e miseria, sapete che cosa ci trovate, sul giornale? Informazioni!».” (Grossman 2008: 307)

 In altri casi la narrazione si interrompe in favore di veri passaggi saggistici:

Nella morsa della violenza totalitaria la natura umana subisce un mutamento, si modifica? L’uomo perde il proprio desiderio innato di libertà? Dalla risposta a queste domande dipendono le sorti dell’uomo e del totalitarismo. Una mutazione della natura umana implicherebbe il trionfo universale ed eterno della dittatura, mentre l’anelito inviolabile alla libertà condannerebbe a morte il totalitarismo.” (Grossman 2008: 231)

Il “saggismo” di Grossman è pregno di contenuti derivanti dall’osservazione e dalla riflessione su ciò che accadde durante la battaglia di Stalingrado. Essendo stato corrispondente di guerra per il giornale dell’Armata Rossa Krasnaja Zvezda (“Stella Rossa”), lo scrittore ebbe modo di analizzare a fondo i meccanismi della guerra e di osservare i comportamenti umani, restando folgorato da ciò che vide e che apprese durante quel periodo della sua vita. La guerra divenne per lui una sorta di “anno zero”, un punto di non ritorno che cambiò completamente la sua visione del mondo. Nato a Berdičev in una famiglia ebrea di cultura russa, Grossman non si pose mai il problema delle sue origini finché, nel 1943, non vide la sua città natale in mano ai tedeschi e migliaia di fosse comuni di ebrei fucilati, tra cui anche sua madre. Naturalmente, questo scatenò la disamina sull’antisemitismo prima, sul totalitarismo tedesco poi e, infine, su quello sovietico. In Vita e destino non mancano infatti passi sul parallelismo tra i due regimi, considerati l’uno lo specchio dell’altro. A tal proposito, emblematico è il celebre discorso tra Liss, ufficiale delle SS, e Mostovskoj, prigioniero bolscevico in un lager tedesco: “Liss lo fissò, si morse le labbra, ma poi riprese a parlare: «Crede che oggi guardino a noi con orrore e a voi con speranza? Si fidi: chi guarda noi con orrore prova lo stesso sentimento per voi»” (Grossman 2008: 448). In questo dialogo, di cui qui si cita una minima parte e che fu tagliato nella prima edizione russa del romanzo, Grossman osa esprimere un pensiero “proibito”, qualcosa che molti intuiranno solo anni dopo ma che lui aveva già ampiamente esplicitato: a prescindere da quale sia l’ideologia, se della razza (nel caso nazista) o della classe (nel caso sovietico) quando questa diventa il pilastro di uno stato totalitario, si nega l’umanità di chi è considerato nemico e ci si sente autorizzati alla sua eliminazione sistematica. Occorre tuttavia considerare che Grossman non rinnega il sogno rivoluzionario russo ‒ tutti i personaggi che hanno creduto nell’utopia bolscevica come Mostovskoj o Krymov, sono figure positive ‒ e comunica al lettore che la dittatura staliniana, aspramente criticata, non è il suo sbocco naturale ma è il frutto di “una serie di metamorfosi successive, descritte con grande finezza, innescate dall’incontro fra il radicalismo bolscevico, per cui il fine giustifica i mezzi, e la peculiarità della storia russa” (Ferretti 2012: 744).

Di pari passo con uno studio attento della dittatura si sviluppa quello rivolto alla società sovietica. Con occhi diversi, nuovi, gli occhi della guerra, Grossman guarda alla società russa del XX secolo e si rende conto di essere di fronte a un paese che, dopo secoli di schiavitù, ancora non riesce a liberarsi dalle sue catene: “«Per un paese schiavo da mille anni? In un millennio la Russia ha avuto poco più di sei mesi di libertà. Il suo Lenin non ha ereditato la libertà russa, l’ha annientata»” (Grossman 2008: 335). Anni di collettivizzazione forzata e repressioni culminate nel “Grande Terrore” del Trentasette avevano devastato il paese e il suo popolo che per questo era in guerra non solo contro la Germania, ma anche e soprattutto contro il suo stesso stato, uno stato che continuava ad opprimerlo e a privarlo della sua libertà.

Il manoscritto di “Vita e Destino”

Lo stesso protagonista del romanzo Štrum è in lotta con lo Stato, ma il suo conflitto è duplice: si svolge infatti anche a un livello più profondo e intimo, nella propria interiorità. Spesso frastornato da dubbi relativi al suo rapporto con il potere, egli vive momenti di incertezza che lo fanno vacillare e, talvolta, cedere. “Non aveva bisogno del sostegno dei suoi superiori, non aveva bisogno dell’affetto degli altri e della complicità della moglie; era in grado di combattere da solo” (Grossman 2008: 643). Questi sono i pensieri di Štrum prima di entrare nell’ufficio del nuovo direttore dell’Istituto di Fisica Šišakov per chiedergli delucidazioni in merito ad alcune questioni riguardanti il personale del suo laboratorio. Infatti, quando Čepyžin, luminare della fisica e amico di Štrum, si dimette perché come richiestogli dalle alte sfere si rifiuta di modificare il piano di lavoro dell’Istituto, adeguandolo alle esigenze della guerra, la direzione è affidata a Šišakov e le cose cambiano. Štrum gli chiede di assumere un certo Landesman, di non licenziare la sua collaboratrice Lošakova e di trasferire da Kazan’ al laboratorio di Mosca l’esperta Weisspapier. Tutte e tre le richieste non vengono esaudite perché, anche se il direttore non lo ammette apertamente, i tre personaggi in questione hanno origini ebraiche. A questo punto Štrum si sente sopraffatto come uomo e come fisico: “«Faccio fatica a lavorare in queste condizioni. Non sono solo un fisico, sono anche un uomo. E provo vergogna di fronte a persone che da me si aspettano sostegno e difesa contro le ingiustizie»” (Grossman 2008: 654) e per restare fedele ai suoi princìpi, dimostrando di lottare una guerra aperta contro uno stato che invece di salvaguardare le menti più brillanti, a prescindere dalle loro origini, le condanna, decide di lasciare l’Istituto.

In realtà, già dopo la conversazione con Šišakov, Štrum si pente di quello che ha detto perché la paura di poter essere davvero arrestato e mandato in un campo di lavoro è molto forte: “Ebbe la percezione concreta, fisica della differenza di peso tra un corpo umano fragilissimo e uno Stato possente, e gli parve di sentirseli addosso, gli occhi chiari, enormi dello Stato pronto a scagliarsi contro di lui” (Grossman 2008: 749). Ci sono interi paragrafi dedicati al dissidio interiore del protagonista. Per esempio, dopo la decisione di lasciare l’Istituto, Štrum scrive una lettera di pentimento, la legge e la rilegge indeciso se mandarla ai suoi superiori per provare a salvare il suo lavoro: “Dormivano tutti, quando Štrum tornò a casa. Avrebbe passato la notte alla scrivania, pensò, a riscrivere e rileggere la lettera di pentimento e a chiedersi per la centesima volta se fosse il caso di andare in Istituto, il giorno seguente” (Grossman 208: 777). Tuttavia, alla fine la straccia e decide di restare sulla sua posizione iniziale.

La situazione si ribalta, quando in uno dei monotoni pomeriggi in casa Štrum arriva una telefonata inattesa: è Stalin in persona a chiamare e a comunicargli che il suo lavoro sta andando nella direzione giusta. A questo punto Štrum riprende a lavorare nell’Istituto di Mosca e a godere degli agi riservati agli scienziati. In laboratorio tutto sembra andare alla perfezione e addirittura vengono esaudite le sue vecchie richieste in merito ai collaboratori ebrei. Pur essendo felice, il fisico non dimentica però le brutture compiute dallo Stato. Tuttavia, si sente finalmente libero e, soprattutto, non prova più quella paura che lo attanagliava. In questo senso è esemplificativo il passo seguente:

Ciò che pensava delle vittime del Trentasette non era cambiato. L’orrore per la crudeltà di Stalin restava. La vita delle persone non cambia perché un certo Štrum è baciato dalla fortuna o ne subisce gli strali, né le vittime della collettivizzazione o delle fucilazioni del Trentasette risorgono perché a un certo Štrum assegnano o rifiutano onorificenze e premi, perché Malenkov lo convoca nel suo ufficio o perché Šišakov non lo invita per un tè. Štrum lo aveva ben chiaro, non se lo dimenticava. Eppure, nella sua memoria, nel suo modo di ragionare, era sopraggiunto qualcosa di nuovo. Forse perché lo sgomento e la nostalgia per la libertà di parola e di stampa erano acqua passata, o forse perché il pensiero di chi era morto senza colpa gli bruciava meno… O magari era perché non provava più quel senso costante di paura che lo seguiva per tutta la giornata, fino a notte?” (Grossman 2008: 918)

Il pensiero di Štrum potrebbe sembrare a tratti contraddittorio, eppure non lo è perché è il pensiero di uomo in cui convivono il bene e il male, la felicità del non sottrarsi alla lotta e il disgusto per sé stessi quando si cala la testa e si obbedisce senza pensarci troppo. Ed è proprio questo il disgusto che prova Štrum quando gli viene chiesto di firmare una lettera che attesti la colpevolezza ‒ apparente ‒ di due medici ebrei, Levin e Pletnëv, considerati gli assassini di Gorkij. Non senza esitazione, alla fine Štrum cede, firma la lettera, e, per questo, si odia:

Compagni, la questione è talmente seria, che vorrei poterci riflettere. Permettetemi di rimandare la decisione a domani. E si figurò la notte insonne, tormentata, i tentennamenti, l’indecisione, una scelta improvvisa, poi di nuovo il dubbio e poi di nuovo la scelta. Spossante come la malaria, cattiva, spietata. Una tortura che lui stesso sembrava voler allungare di qualche ora. Non ne aveva le forze. Sbrigati, Štrum, sbrigati! Tirò fuori la stilografica. E vide lo stupore sul viso di Šišakov per il fatto che il più riottoso si era rivelato, in quel momento, così accomodante.” (Grossman 2008: 934)

Attraverso la parabola del fisico moscovita, Grossman lancia uno dei messaggi più potenti del suo romanzo: tutti gli esseri umani hanno dentro di sé luce e ombra, e sono liberi di scegliere quale parte far prevalere, consapevoli che le proprie scelte si ripercuotono non solo sul proprio vissuto personale ma anche su quello sociale. Nonostante Šturm nella sua duplice battaglia con sé stesso e con lo Stato ne esca talvolta vincitore e talvolta perdente, egli continua a lottare per la libertà contro un regime in cui i più si sentono costretti all’obbedienza cieca per la paura delle conseguenze della propria esposizione. In modo straordinario e con una profondità incredibile Grossman riesce a dare vita ad un romanzo in cui due guerre si fondono, descrivendo qualcosa di, purtroppo, quantomai attuale.

 

 

Bibliografia:

Andrea Gullotta, “Il samizdat e il tema della repressione sovietica: una ricostruzione storica tra criticità e punti di domanda”, in eSamizdat, Vol. 8, No. 2010-2011, pp. 239-246.

Camilla Panichi, “Narrare la guerra: da Vita e Destino a Le Benevole”, in Ticontre. Teoria Testo Traduzione, Vol. 1, No. aprile 2014, pp. 125-140.

Irina Šerbakova, “La vittoria degli uomini. ‘Vita e Destino’ cinquant’anni dopo”, in Contemporanea, Vol. 15, No. 4 (ottobre-dicembre 2012), pp.733-740.

Maria Ferretti, “Vita e Destino: l’altra memoria della guerra”, in Contemporanea, Vol. 15, No. 4 (ottobre-dicembre 2012), pp. 741-745.

Natalina Stamile, “La questione Grossman… Perché grande è la forza di una parola intelligente e libera”, in Tigor: rivista di scienze della comunicazione e di argomentazione giuridica, Vol. 1, No. 2013, pp. 41-65.

Tommaso Piffer, “Nazismo e comunismo in ‘Vita e Destino’ e ‘Tutto scorre…’”, in Contemporanea, Vol. 15, No. 4 (ottobre-dicembre 2012), pp. 746-750.

Vasilij Grossman, “Vita e Destino”, Milano, Adelphi, 2008. Traduzione di Claudia Zonghetti.

Sitografia:

Study Center Vasily Grossman: https://grossmanweb.eu/ (ultima consultazione 28/12/2024).

 

Apparato iconografico:

Immagine 1 e immagine di copertina: https://italialibera.online/cultura/stalingrado-di-vasilij-grossman-lideologia-si-dissolve-e-resta-la-storia-di-un-mondo-il-nostro/

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