I cadaveri ricordano e pensano ad alta voce: la poesia dell’assedio di Gennadij Gor

A cura di Marella Fasano

 

Abstract

Corpses Remember and Speak aloud: Gennadij Gor’s Siege Poetry

This article analyses two poems written during the Siege of Leningrad by Gennadij Gor, a Soviet poet and science fiction writer. In such historical conditions, poetry becomes an existential tool to explain an absurd and traumatic “anti-world”. In Gor’s poems, corpses preserve memories and are constantly suspended between the world of the dead and that of the living, time and space are distorted and the body gradually dies morally, spiritually, and physically. Death famine, and physical dismemberment corrupt and influence Gor’s poetic discourse, which becomes fragmentary and essential, almost primordial.


Le due poesie di Gennadij Gor qui presentate, tradotte per la prima volta in italiano, vennero scritte tra il luglio del 1942 e il 1944. È chiaro come i temi trattati dalla sua poesia abbiano un impatto principalmente visivo: l’assedio, che durò due anni (dal 1941 al 1944) causò la morte di un milione di vittime, una vera e propria strage, che popolò la sua poesia di cadaveri abbandonati per le strade, bombardamenti incessanti, oscurità, freddo pungente e, soprattutto, fame. Ma ciò che colpisce della poesia di Gor è il fatto che i suoi cadaveri conservano la memoria di luoghi e consuetudini, sospesi all’infinito tra due mondi, quello dei vivi e quello dei morti.

Una prima lettura di queste poesie suggerisce come la loro funzione sia quella di verbalizzare un’esperienza vissuta nel tentativo di dare un senso all’assurdità composita di una realtà capovolta. La scrittura diventa pura necessità esistenziale.

Nell’approcciarsi alle poesie dell’assedio di Gor si viene travolti da un flusso di impressioni sensoriali scioccanti che descrivono la lenta morte fisica, spirituale e morale dell’essere umano, con tutti i possibili dettagli fisiologici e psicologici. Protagonisti dei testi dell’assedio sono l’antropomorfismo della città, la fame della sua civiltà, la metamorfosi del corpo, la distorsione del tempo e dello spazio, le tenebre e l’immersione nel passato.

Gor sceglie di rappresentare la realtà attraverso il filtro della conoscenza empirica: lo scopo è quello di imprimere le sensazioni percettibili con un linguaggio comune e normato. Gli animali, ad esempio, perdono qualsiasi valore simbolico e regrediscono a pura forma di sostentamento, rappresentano solo un mero bisogno primario. Tutto viene dunque diviso tra commestibile e non, e questo sublima il cannibalismo ad atto di saturazione e possesso. In questo modo, Gor presenta una nuova civiltà, i cui valori possono essere letti, compresi e sperimentati solo se collocati nel contesto della fame durante l’assedio.

Con un’onda d’urto nelle orecchie”: la prima poesia proposta in seguito si apre con una deflagrazione che genera la scomposizione graduale del corpo e del senso. Il bombardamento ha causato, al momento dell’impatto, un avvallamento nel terreno, un imbuto, e l’uomo che è stato colpito dal cielo diventa un cratere e parte dello smembramento.

Tuttavia, Gor non cerca il responsabile di questo atto di violenza, ma tenta di ripristinare un nuovo mondo. La distrofia che il poeta subisce influenza anche il suo linguaggio poetico nel descrivere questo nuovo status quo in modo scarno, asciutto ed essenziale. La frase si frantuma e si sgretola insieme al corpo e alla memoria, i verbi reggenti vengono omessi, come se il discorso poetico faticasse a essere ricordato e verbalizzato (“io più niente e corro verso niente”). Si tratta di una scrittura primordiale, che faticosamente cerca di riappropriarsi di una sintassi normativa.

Jeffrey K. Olick, nel suo articolo Memoria collettiva: due culture, contrapponeva il concetto di collect memory a quello di collected memory, affermando che quest’ultima, ovvero la memoria del singolo, è l’unica capace veramente di ricordare, perché scevra da manipolazioni politiche di cui invece è permeata la cosiddetta “memoria collettiva”. In quest’ottica, i testi sull’assedio sono una chiara rappresentazione della collected memory, in quanto non sono stati scritti per la stampa.

La poesia di Gor rientra in un bacino più ampio di opere. Le narrazioni dell’assedio, infatti, sono molteplici, ma vennero tutte pubblicate molto postume. Tra il 1942 e il 1944, mentre si trovava nella Leningrado assediata, il poeta scrisse una raccolta di poesie dal titolo Blokada (“Assedio”), alcune delle quali sono state pubblicate nel 2002 nel numero 5 della rivista Zvezda (“Stella”). Nel 2007 la versione integrale delle poesie di Blokada è stata pubblicata unicamente in Austria, in un’edizione bilingue russo-tedesca. In effetti, solo le persone più vicine all’autore sapevano che avesse composto delle poesie durante la guerra, e riuscirono a leggerle solamente dopo la morte di Gor, avvenuta nel 1981. Efim Meidzof, un amico dello scrittore intervistato dal giornalista Dmitrij Volček per un articolo apparso sulla rivista online Radio Svoboda, ricorda:

Una volta disse che scriveva poesie, ma si vergognava a mostrarle. Spesso mi mostrava le opere che stava preparando per la pubblicazione, ma si trattava perlopiù di prosa. Quanto alle poesie, in realtà le ho conosciute solo di recente, quando suo nipote mi ha portato questa raccolta, trovata nella scrivania di Gennadij Samojlovič dopo la sua morte. Delle poesie strane e insolite. Questi componimenti, ovviamente, richiedono una comprensione metafisica dell’essenza della poesia.

La nipote dello scrittore Kira Gora, la quale vive a New York, ha raccontato al giornalista di come sia riuscita a portare il manoscritto delle sue liriche negli Stati Uniti:

Mia madre ed io stavamo frugando nell’archivio di mio nonno e lo trovammo in un vecchio tavolo intagliato di campagna. Il nonno era un uomo molto modesto e amava solo le belle scrivanie; aveva dei bellissimi tavoli intagliati in città e nella sua dača. Lì trovammo un mucchio di fogli ingialliti. Ne avevamo molto sentito parlare da nostro nonno, ma lui non li aveva mai mostrati a nessuno, non li aveva mai letti a nessuno. Ci rendemmo subito conto che le poesie erano meravigliose. La mamma le ricopiò lei stessa. Trattò quei fogli di carta come fossero una specie di santuario. Quando emigrammo – era il 1989 – non ci fu permesso di portare nulla con noi, soprattutto vecchie cose, vecchie fotografie, eravamo molto scossi. Ovviamente non potevo rischiare di portare con me quei fogli nel bagaglio, perché potevano essere confiscati alla dogana. Mi accordai con una mia amica olandese e riuscirono a passare tramite l’ambasciata olandese. Riesce a immaginarlo?

E ancora, riguardo alle poesie, Kira Gora ricorda:

“[Mio nonno] le ricordava in relazione al tema della guerra, che veniva fuori molto spesso. I tempi di Stalin e la guerra erano sempre argomenti comuni a tavola. E ovviamente, quando si ricordava della guerra, queste poesie venivano fuori, ma per qualche motivo non ce le leggeva. In generale, quando mio nonno lavorava, amava leggere ad alta voce ciò che scriveva. Faceva sedere me e mia nonna, per esempio, e semplicemente rileggeva ad alta voce quello che aveva scritto il giorno prima.

Altre opere sull’assedio hanno conosciuto un simile destino editoriale, opere pubblicate solo svariati anni dopo la loro stesura: si pensi a Osada čeloveka (“L’assedio dell’uomo”, 1987) di Olga Fejdenberg, a Zapretnij dnevnik (“Diario proibito”, 2010) di Olga Berggol’c, a Zapiski blokadnogo čeloveka (“Leningrado. Memorie di un assedio”, 2019) di Lidija Ginzburg, a V blokadnom Leningrade (“Nella Leningrado assediata”, 2018) di Dmitrij Lichačëv, al racconto Drakon (“Il Drago”, 1989) di Michail Steblin-Kamenskij o a Dnevnik (“Diario”, 2012) di Ljubov Šaporina.

Gli autori di questi testi cercavano di “pensare ad alta voce”: Gor decide di donare una testimonianza dell’assedio facendo echeggiare una voce straziante che risuona al contempo dentro e fuori il corpo dei cadaveri. Questo gli permette di ottenere la giusta distanza focale dall’evento storico, di avvicinarsi o di allontanarsi da esso a suo piacimento. In questo modo, riesce a descrivere il nuovo antimondo e ciò costituisce uno strumento di salvezza grazie al quale si può avere una misura delle sensazioni, servendosi della memoria dei morti come forza creatrice per trasformare le proprie impressioni e creando un linguaggio speciale e distrofico.

In questa condizione, la parola, che non è asservita a nessuna logica di Stato, ritrova una sua verginità perduta e torna a trattare dell’esistenza come un vedente che perde gradualmente la vista, perché il discorso poetico perde gradualmente qualsiasi aderenza alla realtà. Le tematiche della follia da fame, del cannibalismo e della regressione umana offrono un ritratto dell’uomo sovietico che è ben lontano dall’ideale morale fino ad allora promosso dal regime.

La poesia dell’assedio si rende una distorsione necessaria perché riflette lo spazio terribile della città assediata e, soprattutto, l’esperienza traumatica dei sopravvissuti, mettendo a nudo le enormi lacune e le zone grigie di questo evento storico: è lo sguardo anamorfico necessario alla Storia. In tal senso, Gor coniuga la precisione dell’osservazione storica con un sottile lirismo nel rivelare il mondo naturale e la vita spirituale dell’individuo. La capacità di guardare la realtà attraverso gli occhi di un cadavere o di un uomo che “mangia sapone e beve l’acqua della Neva!”!” per trasmettere i propri pensieri e sentimenti consente all’artista di mostrare un’immagine dell’esistenza che è paradossale, perché nessuna poesia, come quella di Gor, riflette la morte in vita e la vita nella morte.

С воздушной волною в ушах,

С холодной луною в душе

Я выстрел к безумью. Я — шах

И мат себе. Я — немой. Я уже

Ничего и бегу к ничему.

Я уже никого и спешу к никому

С воздушной волною во рту,

С холодной луной в темноте,

С ногою в углу, с рукою во рву

С глазами, что выпали из глазниц

И пальцем забытым в одной из больниц,

С ненужной луной в темноте.

 

Con un’onda d’urto nelle orecchie,

Con una luna fredda nell’anima,

Io sparo alla follia. Io – scacco

Matto a me stesso. Io – muto. Io più

Niente e corro verso niente.

Io a nessuno e vado di fretta da nessuno

Con un’onda d’urto nella bocca

Con una luna fredda nel buio,

Con una gamba nell’angolo, con un braccio nella fossa,

Con gli occhi, che sono caduti dalle orbite,

E un dito dimenticato in uno degli ospedali,

Con una luna inutile nel buio.

 

 

 

Здесь лошадь смеялась и время скакало,

Река входила в дома.

Здесь папа был мамой,

А мама мычала.

Вдруг дворник выходит,

Налево идет.

Дрова он несет.

Он время толкает ногой,

Он годы пинает,

И спящих бросает в окно.

Мужчины сидят

И мыло едят.

И невскую воду пьют,

Заедая травою.

И девушка мочится стоя

Там, где недавно гуляла.

Там, где ходит пустая весна,

Там, где бродит весна.

 

Qui un cavallo rideva e il tempo cavalcava,

Il fiume entrava in casa.

Qui papà era mamma,

E mamma muggiva.

D’un tratto esce lo spazzino,

Va a sinistra.

Porta legna.

Spinge il tempo con i piedi,

Calcia gli anni,

Lancia gli addormentati dalla finestra.

Gli uomini siedono

E mangiano sapone.

E bevono l’acqua della Neva,

Masticando erba.

Una ragazza urina in piedi

Lì, dove poco tempo prima passeggiava.

Lì, dove la vacua primavera vaga,

Lì, dove la primavera s’aggira.

 

Bibliografia:

Elena Pisareva, La strategia di scrittura e lettura dei testi durante l’assedio di Leningrado, Bari, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, 2020.

Gennady Gor et al., Written in the Dark, five poets in the Siege of Leningrad, New York, Ugly Duckling Presse, 2016. pp. 32-34.

Jeffrey K. Olick, “Collective Memory: The Two Cultures”, in Sociological Theory, Vol. 17, No. 3 (Novembre 1999), pp. 333-348.

Gennadij Gor, Krasnaja kaplja v snegu. Stichotvorenija 1942-1944 godov, Moskva, Gileja, 2012.

Sitografia:

Alessandro Zaccuri, “Vivere a Leningrado nei giorni della fame”, in Avvenire, 3 settembre 2019: https://www.avvenire.it/agora/pagine/vivere-a-leningrado-nei-giorni-della-fame (ultima consultazione 20/01/2024).

Dmitrij Volček, Zamedlenye vremeni: https://www.svoboda.org (ultima consultazione 20/01/2024).

Gennadij Gor in “Laboratorija Fantastiki”: https://fantlab.ru (ultima consultazione 20/01/2024).

 

Apparato iconografico:

Immagine 1 e immagine di copertina: https://bykovfm.ru/pochemu-knigi-gennadiya-gora-segodnya-bibliograficheskaya-redkost-pochemu-ego-f1c732

Immagine 2: https://gdb.rferl.org/B109D193-D519-4018-BA1D-BACF8DD9435D_w1597_n_r0_s_s.gif

Immagine 3: https://market.yandex.ru/product–obryvok-reki-izbrannaia-proza-1925-1945-blokadnye-stikhotvoreniia-1942-1944