Marianna Di Labbio
Abstract:
Gennady Gor’s Secret Poetry from Besieged Leningrad
The Siege of Leningrad represented a turning point in the lives and literary production of many writers who experienced this traumatic event. Among the various voices that witnessed the blockade, Gennady Gor’s is particularly relevant. This article aims to draw attention to Gor’s poetry production, introducing some of the most interesting elements of his poetic cycle, which would be worthy of further analysis. Firstly, the poetic cycle written about the siege is a significant work of literature, bearing witness to a historical, cultural, and human catastrophe. Secondly, these poems represent a noteworthy experiment, drawing elements from Russian modernism and avant-gardes. By combining Oberiu absurdism with a more subjective narrative that nods to Acmeism, Gor’s poems represent a bridge between early 20th century and post-war poetry. Lastly, the 95 blockade poems, published for the first time posthumously in 2002 on the literary magazine Zvezda – only several years after the author’s death – contribute to a rediscovery of an author primarily known as a (sci-fi) novelist.
Noto al pubblico sovietico come autore di racconti e romanzi fantastici, Gennadij Gor rappresenta un autore ancora poco conosciuto al grande pubblico italiano, europeo e internazionale. Basti pensare che la sua produzione risulta totalmente inedita in lingua italiana, mentre le traduzioni in inglese sono solo piuttosto recenti e indirizzate a un pubblico di esperti o appassionati.
Ancor meno conosciuta è la produzione poetica dell’autore: i novantacinque componimenti in versi risalenti agli anni Quaranta furono ritrovati dopo la sua morte nel 1981 e pubblicati integralmente solo nel 2007 in Austria in una versione bilingue, Blockade. Gedichte (“Assedio. Poesie”, 2007). L’edizione completa fu anticipata nel 2002 dalla pubblicazione di una selezione di versi sulla rivista russa Zvezda, a cui è seguita solo dieci anni più tardi, nel 2012, la raccolta Krasnaja kaplja v snegu. Stichotvorenija 1942-1944 godov (“Una goccia rossa nella neve. Poesie 1942-1944”, 2012).
Nato a Ulan-Udė nel 1907 da una coppia di genitori confinati in Siberia per attività rivoluzionaria – insieme ai quali, stando ad alcune fonti, avrebbe trascorso i primi mesi di vita in un campo di prigionia –, Gennadij Gor debutta nel panorama letterario sovietico negli anni Venti. Dopo il trasferimento a Pietrogrado nel 1923 per completare gli studi universitari, inizia a frequentare i vivaci circoli culturali della città, inserendosi nel gruppo letterario Smena e subendo il fascino dei formalisti e dell’Oberiu (Ob”edinenie real’nogo iskusstva, Unione dell’Arte Reale). Oltre alla letteratura, Gor si afferma sin dalla gioventù come un intellettuale a tutto tondo, amante dell’arte, della filosofia e delle scienze. In particolare, le teorie formaliste e la poetica dell’assurdo degli oberiuti, così come la scomposizione figurativa del primitivismo di Filonov, Malevič e degli altri avanguardisti, saranno cruciali nella sua produzione letteraria, soprattutto quella giovanile e poetica.
I suoi racconti compaiono per la prima volta nella seconda metà degli anni Venti su riviste come Junij proletarij, Studentčeskaja pravda e Smena, mentre al 1929 risale il suo primo romanzo Korova (“La mucca”), dedicato al tema della collettivizzazione e caratterizzato da una significativa dose di sperimentazione linguistica e stilistica che costò a Gor l’espulsione dall’università. Nell’introduzione alla prima pubblicazione dell’opera, risalente al 2000, Anderj Bitov definirà il romanzo una “storia del trionfo della forma sul contenuto” (Cfr. Jur’ev 2008). Altrettanto formale – e formalista – verrà giudicata la raccolta di racconti Živopis’ (“Pittura”, 1933). L’opera procurò al giovane scrittore aspre critiche per il suo stile stravagante e il suo linguaggio sofisticato, giudicati troppo distanti da quel realismo socialista che andava consolidandosi proprio in quegli anni come canone dominante.
Per assicurarsi una carriera da scrittore e per evitare di attirare le attenzioni delle autorità, Gor comprende subito di dover adattare le sue inclinazioni artistiche a forme e contenuti più canonici e meno sospetti. Dalla metà degli anni Trenta lavora a romanzi e racconti di stampo etnografico dedicati alle popolazioni siberiane, e nel 1934 diventa ufficialmente un letterato di professione, con l’ingresso nell’Unione degli scrittori. L’attenzione di Gor al mondo e alla cultura siberiani si esprime anche nella sua attività di traduttore da varie lingue autoctone, come il mansi o l’evenki.
Negli anni Quaranta e Cinquanta scrive romanzi e racconti dedicati al mondo universitario, mentre negli anni Sessanta esordisce come autore di opere fantastiche e fantascientifiche, cavalcando l’onda di un genere sempre più popolare in Unione Sovietica. Negli stessi anni si afferma come figura centrale del panorama leningradese, diventando punto di riferimento per i giovani scrittori locali, futuri dissidenti o non-conformisti. Così verrà ricordato da Dovlatov in My načinali v ėpochu zastoja (“Abbiamo iniziato durante l’epoca della stagnazione”, 1994):
“A capo della sezione centrale del LitO [associazione letteraria leningradese] c’era Gennadij Gor, scrittore di grandissima cultura e proprietario di una delle migliori biblioteche di Leningrado. Di carattere era un uomo piuttosto timoroso, intimidito una volta per tutte dalle repressioni staliniane, perciò non sapeva dire di no a qualche protezione, ma la sua influenza spirituale e culturale sui suoi, per così dire, allievi fu molto significativa.” (Dovlatov, 2013: 181)
L’opinione creatasi in epoca sovietica fu però irrimediabilmente modificata quando durante i primi anni Duemila, a oltre vent’anni di distanza dalla morte dello scrittore, furono pubblicate due opere capaci di restituire un Gor inedito: il già menzionato romanzo giovanile Korova e la raccolta poetica Krasnaja kaplja v snegu. Lo stupore scaturito dai versi dello scrittore fu ben restituito dal critico Oleg Jur’ev, che nel 2008 inizia la sua recensione della prima edizione della raccolta poetica pubblicata in Austria, affermando:
“…No, non può essere Gor, assolutamente! Non Gennadij Samojlovič Gor! — il caro e simpatico scrittore di fantascienza, collezionista di innocui dipinti d’avanguardia, gentile, dicono (anzi, scrivono), inquieto, ospitale, un uomo di una mitezza angelica con una pelata, scrivono, sudata per l’agitazione. Intimidito una volta per tutte.” (Jur’ev 2008)

I versi risalgono per la gran parte all’estate 1942, quando, dopo aver vissuto il primo inverno dell’assedio, Gor fu evacuato in Siberia, dove visse fino alla fine della guerra continuando a rielaborare quella terribile esperienza in forma poetica. A differenza di altre opere destinate a vedere la luce solo dopo la sua morte, ma comunque note a una cerchia ristretta di amici e conoscenti, i versi dell’assedio furono custoditi dall’autore con estrema segretezza. Forse perché testimoni di un’esperienza traumatica, forse perché troppo pericolosi per uno scrittore sovietico, soprattutto all’indomani della guerra, quando la stretta culturale dettata da Ždanov si abbatté in particolare su Leningrado. Eppure, nonostante il ritardo, questi componimenti furono ritrovati in un vecchio cassetto da alcuni familiari e restituiti al pubblico. Il segreto di Gor “più misterioso di tutti gli altri” (Laskin 2011: 257) fu finalmente svelato. Le novantacinque poesie contenute nella silloge del 2012 non solo rappresentano una preziosa testimonianza di quella terribile catastrofe che fu l’assedio di Leningrado, ma costituiscono un esperimento poetico di grande valore, capace di arricchire il variopinto mosaico della letteratura russo-sovietica. Un interesse rinnovatosi anche in tempi più recenti con la ripubblicazione del ciclo poetico insieme ad altre prose giovanili nel 2021, nella raccolta Obrivok reki (“Un brandello di fiume”, 2021).
Da un punto di vista tematico, la poesia di Gor si inserisce all’interno della tradizione della letteratura dell’assedio, ma si contraddistingue nettamente per forma e presentazione del contenuto. A differenza dei diari e dei resoconti divenuti poi celebri testimonianze dell’orrore bellico e dell’eroismo leningradese, Gor sceglie di raccontare la sua esperienza in una forma meno convenzionale. Da grande appassionato della sperimentazione formale quale era stato sin dagli esordi, l’autore torna a mettere alla prova la parola in un momento storico e culturale in cui sembrava non esserci più nulla da perdere. Se, infatti, negli anni Trenta aveva scelto di adattare le sue inclinazioni al canone realista socialista per garantirsi un futuro nell’ufficialità, nella Leningrado assediata, dove il rapporto costante con la morte e la catastrofe avevano trasfigurato la quotidianità, recupera un linguaggio inedito: l’unico in grado di rappresentare le atrocità di quella esperienza. In tal senso, la poesia di Gor è “la dichiarazione poetica esistente più radicale (da un punto di vista tematico e ideologico) sull’esperienza dell’assedio” (Barskova 2019: 57).
Attraverso una lingua semplice, infantile, a volte anche sgrammaticata e distorta, Gor ritrae una realtà deformata dalla catastrofe, una realtà ormai assurda e irreale, che solo una lingua altrettanto surreale poteva raccontare. Proprio il carattere paradossale della forma e del contenuto dei versi dell’assedio hanno portato molti ad accostare Gor alla poesia transmentale degli oberiuti, tanto da definirlo “l’ultimo oberiuta” (Jur’ev 2008). Tuttavia, pur avendo subito in gioventù il fascino dell’ultima avanguardia sovietica, Gor con la sua poesia non ricerca “una nuova concezione del mondo e di un nuovo modo di vedere le cose” (Berrone 2007: 40) come dichiarato nel manifesto Oberiu del 1928, ma prede atto di una realtà andata in pezzi attraverso una deflagrazione della forma e della lingua. Un buon esempio di questa catastrofe linguistica è costituito da due versi di Krasnaja kaplja v snegu, in cui l’io poetico, descrivendo alcune vecchie insegne di botteghe e negozi afferma:
«Carne», «Pane», «Birra»,
Come se al mondo ci fosse davvero del pane
(Gor 2021: 194)
Il contrasto tra l’illusione della quotidianità e l’assurdità delle condizioni reali dell’assedio suggerito da questi due brevi versi lascia intuire che anche il linguaggio è incapace di elaborare la catastrofe. Allo stesso modo, dinanzi all’orrore della guerra si sviluppo il tema dell’incomunicabilità, come in V sadu igraet muzyka… (“In giardino suona una musica…”), in cui l’incapacità comunicativa è duplice, sia fisica che semantica:
Lingua congelata alle labbra.
Le parole si infuriano sul significato.
E non c’è cuore nella parola
(Gor 2021: 234)
Oltre a una scomposizione simbolica, anche il disfacimento fisico dei copri, più concreto e reale che mai nella Leningrado assediata, contribuisce a sovvertire le prospettive e restituire una dimensione folle, da incubo, in cui Hitler può trasformarsi in tvorog (Ne eš’te mne nogu…, “Non mangiatemi la gamba”), gli individui, nell’attesa della morte (Poceloval menja palač…, “Mi ha baciato un boia”) si scompongono in una serie di occhi, braccia, gambe e volti (Mne otrubili nogu, “Mi hanno mozzato una gamba”) e il cannibalismo diventa una possibilità (Ja devušku s’’el chochotun’ju Revekku, “Ho mangiato una ragazza, la ridacchiante Rebecca”). In questo senso, i versi dell’assedio appaiono “più crudamente reali e più orribilmente fantastici di quasi tutti gli altri testi del periodo” (Kahn 2008: 726).
A differenza di gran parte della letteratura sul tema, in Gor la quotidianità dell’assedio ricopre una porzione piuttosto limitata, per tale ragione alcuni puntualizzano che quelli di Gor non siano tanto versi dell’assedio (blokadnye stichi), quanto piuttosto versi sull’assedio (stichi o blokade). In effetti, gran parte dell’immaginario poetico delineato in questi componimenti evoca una dimensione atemporale e non sempre strettamente leningradese, popolata dagli spettri degli artisti e dai personaggi che formano il canone culturale dell’autore: Poe, Amleto, Mozart, Bach, Puškin e altri.
A fare da sfondo alla catastrofe umana vi sono elementi naturali che collegano lo spazio dell’assedio agli spazi siberiani dove Gor era nato e cresciuto: fiumi, montagne, animali. Così l’assedio si espande oltre che nello spazio anche nel tempo, inglobando una dimensione infantile restituita dai ricordi e da una lingua semplice e concreta. Questa sorta di ritorno all’infanzia trova un riscontro ancora più interessante se, come suggerisce Barskova, si confrontano le poesie con la raccolta di stampo memorialistico V gorodke studenom (“Nella città fredda”, 1936), dove pure compaiono immagini naturalistiche e di violenza, a cui le scene dell’assedio sembrano fare eco.
In questo ritratto poetico dell’assedio, il filo rosso che mantiene l’unità di un universo disgregato e scomposto è la presenza di una chiara soggettività e attraverso il suo sguardo il poeta restituisce al lettore ciò che aveva visto e vissuto durante l’inverno a cavallo tra il 1941 e il 1942. Proprio la presenza così marcata dell’“io” distingue l’assurdo di Gor dall’assurdo impersonale degli oberiuti. Come nota Jur’ev, in effetti, proprio il carattere soggettivo della poesia di Gor la avvicina molto di più a una sensibilità acmeista. In tal senso, non sarebbe sbagliato considerare lo scrittore come una ponte tra la poesia leningradese del primo Novecento e quella che sarebbe fiorita a partire dagli anni Sessanta.
I versi di Gennadij Gor sull’assedio di Leningrado rappresentano una preziosa testimonianza di quell’evento storico e forse una delle ultime espressioni davvero autentiche e incensurate di un linguaggio figlio del modernismo e dell’avanguardia di inizio Novecento. Il fatto stesso che questo linguaggio sia stato recuperato in un momento storico così tragico e drammatico permette di indagare le sue potenzialità espressive e, allo stesso tempo, consente di ricostruire il profilo di un autore che è riuscito a adattarsi alle circostanze del suo tempo, custodendo in gran segreto una parte tanto interessante della sua produzione letteraria.
Bibliografia:
Aleksandr Laskin, “Kvadratura Gora”, in Toronto Slavic Quarterly, No. 38, 2011, pp. 253-268. La traduzione dell’estratto è stata realizzata per l’occasione da me M.D.L.
Andrej Mudżaba, “Predislovie”, in Gennadij Gor, Obryvok reki, Sankt-Peterburg, Izdatel’stvo Ivana Limbacha, 2021, pp. 10-17.
Andrew Kahn, Mark Lipovetsky et al. (eds), “Catastrophic narratives”, in A History of Russian Literature, Oxford, Oxford University Press, 2018, pp. 710-738.
Claudia Scandura, “Il ‘surrealismo socialista’ di Gennadij Gor”, in Testo e immagine, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2018, pp. 87-101.
Gennadij Gor, “Stichi”, in Zvezda, No. 5, 2002, pp. 135-139.
Gennadij Gor, Blockade. Gedichte, Wien, Edition Korrespondenzen, 2007.
Gennadij Gor, Krasnaja kaplja v snegu. Stichotvorenie 1942-1944 godov, Moskva, Gileja, 2012. La traduzione degli estratti è stata realizzata per l’occasione da me M.D.L.
Gennadij Gor, Obryvok reki, Sankt-Peterburg, Izdatel’stvo Ivana Limbacha, 2021.
Polina Barskova, “In the Cold Cities – Poetics of Self and Memory as Traumatic Continuity in Gennady Gor’s Siege Texts”, in Lars Kleberg, Tora Lane et al. (eds), Words, Bodies, Memory A Festschrift in honor of Irina Sandomirskaja, Stockholm, Elanders, 2019, pp. 53-61.
Polina Barskova, Il’ja Kukulin, Written in the Dark: Five Poets in the Siege of Leningrad, New York, Ugly Duckling Press, 2018.
Sergej Dovlatov, My načinali v ėpochu zastoja, in Id., Bleski i niščeta russkoj literatury, Sankt-Peterburg, Azbuka, 2013, pp. 179-185. La traduzione dell’estratto è stata realizzata per l’occasione da me M.D.L.
Sitografia:
Milly Berrone, “Oberiu: il manifesto”, in eSamizdat, Vol. V, No.1-2, 2007, pp. 39-42: https://www.esamizdat.it/ojs/index.php/eS/issue/view/12/14 (ultima consultazione: 23/12/2024).
Oleg Jur’ev, “Zapolnennoe zijanie-2”, in Novoe literaturnoe obozrenie, Vol. 89, No. 1, 2008: https://magazines.gorky.media/nlo/2008/1/zapolnennoe-ziyanie-2.html (ultima consultazione: 18/12/2024). La traduzione dell’estratto è stata realizzata per l’occasione da me M.D.L.
Polina Barskova, Andrej Mudżaba, “Gor ne tol’ko możet pokazat’cja nerovnym, no i byl nerovnympisatelem”, in Colta: https://www.colta.ru/articles/literature/26472-polina-barskova-andrey-muzhdaba-literaturnyy-put-gennadiy-gor (ultima consultazione: 18/12/2024).
Apparato iconografico:
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