Niccolò Gualandris
Un inno epico all’umanità, la storia di un uomo predestinato o tracotante il quale, per ambizione e scelleratezza, sceglie di compiere tutto il bene e il male di cui è capace. Mircea Cărtărescu, dopo il successo di critica dei suoi ultimi lavori Solenoide (“Solenoid”, 2015, edito in Italia da Il Saggiatore nel 2021) e Melancolia (“Melancolia”, 2019 per La nave di Teseo nel 2022) torna in libreria sempre grazie alla casa editrice Il Saggiatore nel 2024 con Theodoros, testo pubblicato un anno prima in lingua originale.
Tradotto da Bruno Mazzoni, che ha curato tutte le opere dello scrittore romeno in Italia prima per Voland, poi per Il Saggiatore e La nave di Teseo, Theodoros è la seconda opera di ambientazione storica dopo Il Levante (“Levantul”,1990) che si aggiunge all’ormai consistente opera di Cărtărescu.
Link al libro: https://www.ilsaggiatore.com/libro/theodoros
Leggendo Theodoros, sin dalle prime pagine, si rimane subito sbalorditi dall’efficiente bellezza della macchina narrativa di Cărtărescu, capace di congegnare un romanzo dai toni epici, profetici ma al contempo avventurosi e poetici. L’autore si porta dietro da decenni questo libro, come testimoniato dai numerosi rimandi ad esso nel proprio diario – pubblicato in quattro volumi, che vanno dal 1990 al 2017, dalla casa editrice romena Editura Humanitas. L’opera è il tentativo, ampiamente riuscito, di fondere in un’unica figura mitica tre vite: quella del valacco di umili origini Tudor, del pirata greco Theodoros e dell’imperatore di Etiopia Tewodros II.
Cărtărescu parte dalla seguente congettura: questi tre personaggi sono la stessa persona in tre diverse fasi della vita. Importante ricordare che di Tudor e Tewodros si hanno notizie storiche, mentre Theodoros serve da ponte e personalità omnicomprensiva. L’umile Tudor, figlio di Sofiana, greca al servizio della moglie del boiaro valacco Tachi Ghica e venditrice di purganti per la tenia, cresce in povertà ma alimentato da favole, leggende e miti dei grandi uomini della Storia: quello di Alessandro Magno, onnipresente nel sostrato culturale dell’Europa centrale, e quello del suo recente epigono Napoleone, ormai salda nell’immaginario di tutti i nati nel secolo diciannovesimo.
Partendo dalla Romania della prima metà dell’Ottocento, Tudor diventerà prima Theodoros, uomo d’avventura, pirata e poi governatore nel mar Egeo sotto la protezione della regina Vittoria d’Inghilterra, infine sanguinario e solitario sovrano di un regno lontano, usurpatore della dinastia di tradizione salomonica e incoronatosi da solo come Napoleone.
“Quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde la propria anima?” (Matteo 16,25) Questa massima riecheggia nel romanzo come un mantra e un’ammonizione, un monito per chi ascolta questa storia a non seguire le orme dell’uomo inimitabile il cui destino appare segnato già dalle prime pagine. Il verbo ascoltare non è casuale; infatti, il romanzo è scandito da una voce plurale di ascendenza biblica che si rivolge direttamente al protagonista posto di fronte alla propria vita, apostrofandolo in seconda persona con epiteti e giudizi mentre ne narra le gesta.
“Noi abbiamo saputo sempre cosa sarebbe accaduto, così come sappiamo anche cosa è successo, poiché per i nostri occhi cinerei, distanti e sereni, il mondo è solo un blocco di ghiaccio immobile nell’eternità, soltanto un libro che abbiamo scritto per intero dall’inizio, mentre l’uomo lo legge pagina per pagina, senza sapere cosa avverrà nella pagina successiva.” (p. 224)
Cărtărescu si muove con agilità e padronanza in una narrazione tripartita ma non sempre cronologica, con frequenti salti in avanti e indietro nel tempo e nello spazio, concedendosi digressioni storiche, religiose, visioni apocalittiche e qualche gioco postmoderno. Il cuore del romanzo rimane però saldo nell’esplorazione dei limiti e ambizioni dell’uomo attraverso questo protagonista archetipico e contraddittorio.
Theodoros, “dono di dio” in greco, è uno dei personaggi più riusciti della letteratura contemporanea: arrogante, tracotante, crudele e disposto a tutto ma anche capace di amare, di provare compassione e amicizia con trasporto, di amare e comprendere l’arte e la poesia.
Pagine altissime sono dedicate alla scoperta della poesia da parte del protagonista: un incontro folgorante con la bellezza evocativa e mistica della parola giusta. Lo stile formulare e anaforico dell’epica si coniuga al tono solenne dei testi sacri, la frenesia adrenalinica della narrazione d’avventura al tono cerimonioso della corrispondenza ufficiale e delle notizie storiche. Le lettere del protagonista alla madre, però, restano un capolavoro di tenerezza ed esagerazione, nelle iperboli e menzogne con cui Theodoros magnifica le proprie avventure e le condisce di fantastico.
C’è spazio per l’amore nella vita di Theodoros. L’amore per la madre, innanzitutto, figura centrale per la sua prima formazione e la sua crescita tra religione e leggende, poi il primo amore perso, sognato e rincontrato con amara frustrazione e quello passeggero, passionale o fedele e duraturo per altre donne incontrate nel suo lungo viaggio. Devozione e fiducia sono riservate alla ciurma dei palikari, i pirati che lo accompagnano nelle sue imprese dalla Romania, alla Grecia, fino alla sua impresa definitiva in Etiopia. Raccattati qua e là e dalle diverse estrazioni, compongono un memorabile assortimento di personaggi. Un tataro condannato ai lavori forzati per aver sedotto la moglie di un notabile, un pittore seduttore e malinconico che inizia a dipingere con immagini sacre tutte le vele delle navi del Mediterraneo e altre figure pittoresche scaturiscono dalla fantasia di Cărtărescu. Theodoros è, a suo modo, anche un libro-summa sulla mascolinità archetipica dell’epica che tematizza il conflitto tra la tenerezza e la scelleratezza, la fedeltà e il tradimento, il destino e l’hybris. Ai personaggi femminili sono dedicate odi ed elogi di bellezza, ma anche di astuzia e saggezza, come nel caso della regina di Saba, sposa di Salomone e originatrice della dinastia destinata a regnare sull’Etiopia.
Un romanzo storico, dunque, con un solido lavoro su un’ambientazione credibile che cerca di ricostruire fedelmente l’atmosfera di tre continenti, tre religioni, tre stili di vita ma che non esclude anacronismi, balzi temporali vertiginosi, umorismo e molta invenzione fantastica e visionaria. Cărtărescu riesce così a riunire in un solo libro quasi tutte le caratteristiche che lo hanno reso celebre come narratore: l’estrema erudizione, la ricerca minuziosa di una prosa dal ritmo ipnotico e abbacinante, la rappresentazione sempre profonda della vita interiore e relazionale del protagonista e una forte iniezione di surrealismo che contribuisce a creare un’aura decisamente speciale intorno alle sue opere.
Pervaso di simbolismi e rimandi infiniti ad altri testi, straripante di cultura e di nozioni storiche e scientifiche, Theodoros rimane però saldamente e felicemente un romanzo di avventura. Un libro che, nonostante la mole, si può prendere ad ampi sorsi, restando spesso senza fiato terminato un capitolo, ma con sufficiente curiosità che infonde la forza di gettarsi subito sul successivo. Le digressioni, gli intermezzi e l’affastellarsi di varie voci e storie secondarie sono perfettamente calibrate e le ambizioni massimaliste sono ben controbilanciate dal susseguirsi di una trama alla fine lineare come è inevitabilmente lineare, nonostante le volontà di trascendere la materia, il tragitto dalla nascita alla morte.
Leggere Cărtărescu è un piacere unico: intellettuale, per la concentrazione straordinaria di intelligenza e cultura che trasuda da ogni sua pagina ma anche fisico, per la voluttuosa magnificenza della sua scrittura, un raro godimento sintattico e fonetico che accompagna il pubblico di riga in riga. Così procedendo, l’autore romeno consegna il suo libro della vita, un capolavoro che, insieme a Solenoide e la trilogia di Abbacinante, si colloca tra le sue imprese letterarie maggiori.
L’incredibile costruzione narrativa di Theodoros, la sua ricchezza linguistica, il colore vivido dei suoi personaggi, l’ambizioso affresco pseudo-storico che dipinge, ci ricordano che il romanzo, sempre intrinsecamente spurio e prono ad ogni contaminazione ma guidato dall’esigenza del racconto esiste ancora e gode di ottima salute, se solo si sa dove guardare.
Apparato iconografico:
Immagine di copertina e immagine 2: Mircea Cărtărescu Göteborg Book Fair 2019 ©CC
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Mircea_Cărtărescu_Göteborg_Book_Fair_2019_01.jpg