Josef Šikola
L’editrice universitaria udinese, Forum, propone, all’interno della collana “(s)confini”, un volumetto, piccolo di proporzioni, ma dal contenuto prezioso, intitolato Incontri praghesi. I lettori, grazie alla cura e alle traduzioni di Annalisa Cosentino e Marco Rispoli, due conoscitori della cultura centroeuropea, possono immergersi nelle strade della Praga dei primi anni del Novecento e assistere ai curiosi incontri nati dalle penne di due autori intrinsecamente legati alla capitale ceca: Jaroslav Hašek (1883-1923) e Franz Kafka (1883-1924).
I curatori del libro si sono ispirati a un’idea di Bohumil Hrabal (1914-1997), altro grande scrittore praghese (anche se non di nascita), che aveva inserito due dei tre testi presentati negli Incontri nella sua antologia di prosa ceca Bohumil Hrabal uvádí… Výbor z české prózy (1967), dove celebrava i suoi autori preferiti, di cui si sentiva anche erede.
Link al libro: https://forumeditrice.it/percorsi/lingua-e-letteratura/s-confini/incontri-praghesi
“Riprendere i testi selezionati da Hrabal permette dunque di rendere omaggio a tutti e tre gli scrittori, accomunandoli in un breve volume che alla celebrazione aggiunge alcune chiavi e prospettive di lettura.” (p. 12)
Il titolo del libro è una perfetta composizione delle parole chiave che emergono dai racconti, ma non solo: nel prologo i curatori ricordano brevemente le vite di Hašek e Kafka, presentando ai lettori alcuni punti che i due autori, anche per capriccio del destino, hanno in comune. Grazie alla loro decisione di riportare “in italiano i toponimi praghesi invalsi come tali […], nei racconti di Hašek i toponimi cechi e nel racconto di Kafka i toponimi tedeschi” (p. 15), si percepisce chiaramente anche l’incontro tra le culture che per secoli hanno formato i luoghi praghesi. Infatti, la Praga in cui vivono Hašek e Kafka è la casa di tre culture diverse: ceca, ovvero quella prevalente all’inizio del XX secolo, tedesca e infine ebraica. Malgrado la sua vivacità e una ricca vita culturale, Praga era sentita come periferica rispetto a Vienna, la capitale dell’Impero asburgico. Hrabal parla di “una capitale della provincia dell’Europa Centrale” che soffriva di un trauma sociologico, causato dallo sgretolamento, all’interno delle sue mura, in diversi centri linguistici e culturali, che però, d’altro canto, aveva creato un clima e un terreno fertile per la letteratura.
L’omaggio a Hrabal consiste nell’accostare i testi di Hašek e di Kafka. Il primo scriveva in ceco, in chiave umoristica, e il secondo in tedesco, cupo e onirico; ma una lettura parallela dei loro testi consente al lettore di cogliere tra le righe la tragicità del primo e la comicità del secondo, due prospettive di lettura spesso trascurate. Dalla selezione hrabaliana il volume presenta Několik raportů státního detektiva Jandáka (zn. ‘Třebízský’) (“Alcuni rapporti del detective Jandák [nome in codice ‘Třebízský’]”, 1921) e Beschreibung eines Kampfes (“Descrizione di una lotta”, 1904-1911) di Kafka, in una nuova traduzione. I curatori hanno sostituito uno dei testi scelti da Hrabal, perché di difficile comprensione nel contesto spazio-temporale, con un altro testo haškiano ambientato a Praga, Psychiatrická záhada (“Un enigma psichiatrico”, 1911). Questa scelta si rivela magistrale perché il volume, nel suo insieme, funziona come una guida turistica della Praga dell’epoca, nelle cui pagine si muovono Hašek e un Kafka in cerca del proprio stile. Un lettore attento può rintracciare alcuni motivi che Hašek avrebbe usato di nuovo nel suo capolavoro Osudy dobrého vojáka Švejka za světové války (“Le avventure del bravo soldato Švejk nella Grande Guerra”, 1921-1923). Nel racconto di Kafka, il suo testo più datato di cui siamo a conoscenza, troviamo già i motivi del disagio che va a braccetto con curiosità e paura, cosicché la realtà, qui ancora molto concreta, si mescola a visioni oniriche.
I racconti sono legati dai motivi del suicidio e della pazzia, come anche dalla realtà distorta dei protagonisti che li intrappola nel paradosso, costringendoli a continuare il cammino chissà dove, pedinare, schivare, scivolare e barcollare.
Incontri praghesi si presenta come un ottimo strumento per chi è interessato all’opera di Franz Kafka e a comprendere il contesto della sua immaginazione. In tal senso i racconti di Hašek diventano essenziali. Hašek, che faceva travestire i suoi personaggi, si mette nei panni di Virgilio per far varcare al lettore la “porta del mondo kafkiano” (così ha definito il racconto Descrizione di una lotta il suo traduttore ceco, Vladimír Kafka). Passando da questa “porta” è possibile intravedere, esattamente come nei testi haškiani, la capitale della Boemia nel suo essere spasmodica nell’atmosfera freudiana, nel contesto dei cambiamenti sociali che causarono alienazione, insicurezza e ostilità tra persone e istituzioni della monarchia asburgica. All’inizio del Novecento i praghesi sono alla perenne ricerca di un’appartenenza: la maggioranza ceca vive in una città governata da lingua e cultura tedesche, mentre i tedeschi percepiscono la diffusa e crescente avversione nei confronti dell’Impero; gli ebrei, che fanno parte della minoranza tedesca, non sono sempre ben voluti da quest’ultima. Kafka, quindi, grazie a questa lettura, viene liberato dalle varie interpretazioni alquanto fantasiose e “risituato” nel contesto interculturale in cui visse.
Ciò che affascinava maggiormente Hrabal in Hašek e Kafka era la scrittura. I due autori avevano un approccio diametralmente opposto al processo di stesura dei loro testi. Hašek aveva una memoria perfetta, era un grande improvvisatore e, come ricordava Josef Lada, l’illustratore delle Avventure, riusciva a produrre un racconto a braccio ovunque si trovasse. Kafka, invece, era un perfezionista, eccessivamente autocritico, che scriveva di notte nel silenzio assoluto. Ciò che li accomunava era la capacità di osservare Praga fino al midollo: nei loro testi si rispecchia lo stato di coscienza della Praga ceco-tedesco-ebraica per mezzo della ormai mitica ironia praghese, definita da Hrabal nell’intervista del 1982 O pražské ironii (“Sull’ironia praghese”) una “lotta vana per l’uomo e per la sua visione del mondo che lo circonda […] [una] lotta contro una felicitante teoria dello stato e contro l’apparato burocratico. Naturalmente è anche coscienza della vanità di tale lotta. Perciò quel sorriso storto e il grottesco, che con una profonda sonda verticale tocca la musica delle sfere e quasi la santa beatitudine.” (p. 1730)
La battaglia è già persa quando il protagonista del racconto Un enigma psichiatrico, Hurych, viene trattato dagli agenti della polizia come un suicida anche se non lo è:
“Gli agenti lo presero sottobraccio e uno di loro, con voce paterna, cominciò a dissuaderlo dai pensieri di suicidio. Sorpreso dalla situazione, Hurych gridava come in preda ad attacchi isterici:
– Si tratta di uno sbaglio, signori!
Quindi scoppiava in uno strano riso forzato, e ripeteva:
– Vi sbagliate, signori, io non volevo davvero buttarmi nel fiume.” (p. 22)
“Il mondo è bellissimo – disse a Hurych l’agente alla sua destra. – Se tutti quelli che hanno un cruccio volessero buttarsi nel fiume, una persona su due dovrebbe annegarsi.” (p. 23)
E similmente, in Descrizione di una lotta di Kafka:
“Davanti a un lontano caffè con nere vetrate rettangolari un gendarme si lasciava scivolare sulla strada. La sciabola gli era un po’ d’impaccio, la prese in mano e ora gli riusciva molto meglio. Quando da una certa distanza arrivai a sentire i suoi versi di giubilo mi convinsi che non mi avrebbe salvato, se il mio conoscente avesse voluto uccidermi.” (p. 44)
L’ironia si nasconde nell’impossibilità di comunicare, nelle situazioni girate a rovescio, qui nel caso di un’istituzione la quale dovrebbe essere rispettabile e competente. Così, con il riso nasce il grottesco, un momento in cui la personalità di un individuo viene divisa e ride, cosciente del fatto che l’altra parte dell’io si trova sull’orlo dell’abisso.
Concludendo, si vuole tornare all’inizio dell’intero discorso sull’ironia praghese per rivelare ancora un incontro, che conferma l’importanza di questo libro in quanto continuatore dei dialoghi letterari centroeuropei che, si immagina, renderà felici i lettori interessati a questo spazio culturale e a questi autori. Bohumil Hrabal ha dedicato la sua antologia a Emanuel Frynta, critico letterario, il sostenitore del pragocentrismo nell’opera kafkiana e l’ideatore dell’espressione “ironia praghese”. “Frynta”, ricorda Hrabal sempre in Sull’ironia praghese “ha scritto un libro su Hašek e Kafka e ha documentato il testo con alcune decine di fotografie tratte dalle strade e dalla vita di Praga, cioè dalla città dove poterono farsi valere questi due geni.” L’accompagnamento fotografico di Incontri praghesi svela che il lavoro dei curatori Annalisa Cosentino e Marco Rispoli è ben ponderato nei minimi dettagli. Questa volta, grazie alle fotografie, accattivanti e adatte al testo, di Danilo De Marco, è possibile incontrare Bohumil Hrabal ed esaminare frammenti dei luoghi praghesi come li vedeva lui stesso, mentre si dirigeva nelle sue birrerie preferite. Oggi l’atmosfera di quei luoghi senza tempo rimane, molto ironicamente, quasi solo nelle pagine di questa “santa trinità praghese”.
Bibliografia:
Hrabal Bohumil, Sull’ironia praghese, in Bohumil Hrabal, Sergio Corduas e Annalisa Cosentino (eds.), Opere Scelte, Milano, Mondadori, 2003, pp. 1727-1732. Traduzione di Alessandra Trevisan.
Jaroslav Hašek, Annalisa Cosentino (ed.) Le avventure del bravo soldato Švejk nella Grande Guerra, Milano, Mondadori, 2014.
Sitografia:
Apparato iconografico:
Immagine di copertina: https://artplus.cz/uploads/articleGallery/2199/1.jpeg Bohumil Kubišta, Staropražský motiv (Alt-Prager Motiv), 1911.
Immagine 1: https://forumeditrice.it/percorsi/lingua-e-letteratura/s-confini/incontri-praghesi