“Hitchcock diceva che fare film è un gioco da ragazzi”. Intervista a Antonio Lukič

Intervista a cura di
Claudia Fiorito
Martina Mecco

 

Antonio Lukič (1992 -) è nato a Užhorod ha studiato all’Università di Cinema e Teatro Karpenko-Karyi di Kyïv. Il suo cortometraggio di laurea U Mančesteri jšov došč (It was showering in Manchester) ha ottenuto il premio per il miglior cortometraggio al festival del Cinema di Odessa nel 2016. Al suo lungometraggio di debutto, Moï Dumky Tychi (My thoughts are silent), è stato assegnato il premio della Giuria nella sezione “East of the West” al Festival  Internazionale del Cinema di Karlovy Vary, dove ha debuttato. Nel 2021 è stato insignito dell’Onorificenza Nazionale per il Merito Artistico. Il suo secondo lungometraggio, Ljuksemburh, Ljuksemburh (Luxembourg, Luxembourg), ha avuto la sua prima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2022. 

Abbiamo incontrato Lukič alla 57a edizione del Festival Internazionale del Cinema di Karlovy Vary (KVIFF), dove era presente per la proiezione di Ljuksemburh, Ljuksemburh. Durante un incontro nella hall dell’Hotel Růže, il regista ha risposto ad alcune nostre domande circa la sua poetica cinematografica e la sua concezione del cinema ucraino contemporaneo.

Trovi qui la recensione di Andergraund Rivista a Moï Dumky Tychi.

 

Antonio Lukič al KVIFF // © Andergraund Rivista 2023


AR: Possiamo dire che ti sei affermato come il regista della commedia ucraina contemporanea, anche se sappiamo che non sei molto d’accordo con questo appellativo. Durante i tuoi anni di studi hai avuto modo di entrare in contatto con personalità afferenti all’ambito cinematografico o letterario che sono diventate per te un modello?

AL: Non amo molto i generi puri, preferisco quelli ibridi. Percepisco la vita come triste e felice al tempo stesso, un connubio di dolore e miracoli. Per questo apprezzo, ad esempio, lo stile dei fratelli Coen o i film di Martin Mcdonagh. Parlando di cinema italiano, il mio cinema viene spesso paragonato a quello di Sorrentino, a causa del modo eccentrico con cui mostro i personaggi. A dire il vero, non sono un grande fan dei film di Sorrentino, preferisco il cinema italiano più datato: il Neorealismo di Federico Fellini, Vittorio De Sica o Roberto Rossellini, che, tra l’altro, ha girato un film in Ucraina durante gli anni del Nazismo. Si tratta di un film molto strano incentrato su un prete italiano che si ritrova a svolgere l’attività di apostolato in Ucraina [L’uomo della croce del 1943, N.d.R.]. Ho una teoria: i paesi col maltempo e con delle condizioni di vita non particolarmente buone hanno sviluppato un ottimo senso dell’umorismo, pensate al cinema britannico o a quello svedese. Ed è molto strano che, forse, la commedia ucraina non sia percepita come qualcosa di “normale” perché l’aspettativa nei confronti del cinema ucraino è di tutt’altro tipo. Per questo, ogni volta che devo introdurre la proiezione di un mio film dico “è legale, non state violando nessuna legge morale se ridete guardando un film ucraino”. Anche ora, in tempo di guerra, produciamo molte cose divertenti online, tipo i meme, che aiutano le persone a superare un momento così complesso. Fa strano pensare a quanto successo abbia effettivamente la commedia in Ucraina.

 

AR: Qual è, di solito, la reazione del pubblico ucraino ai tuoi film e alla commedia in generale?

AL: Mi ha sorpreso molto il fatto che dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina almeno il 60% dei cinema e dei teatri sono ancora in attività. Il resto dei centri hanno semplicemente chiuso, altri sono stati distrutti dai russi. Il pubblico chiede di vedere prodotti cinematografici e teatrali ucraini. Penso che il pubblico fosse grato per questo film, ha reagito molto positivamente nonostante la situazione. Penso sia un ricordo della realtà che vivevamo prima dell’inizio dell’invasione su larga scala. Da quando l’invasione su larga scala è iniziata ci saranno decenni di film sulla guerra e sulle sue conseguenze. 

Si tratta di una storia personale ed è curioso diventare il personaggio di un tuo film. Nella mia vita ho avuto diversi traumi, alcuni legati a questioni famigliari. Molti cittadini ucraini hanno storie simili da raccontare, mostrare. Ma riuscire a spiegarle è difficile. Spesso, quando parlo coi miei studenti, metto a confronto il processo cinematografico con il Neorealismo italiano: le rovine diventano il migliore oggetto decorativo per un film. Quando parlo di rovine non intendo solo gli edifici distrutti, ma anche ciò che non si può più ricostruire nei legami tra le persone.

 

AR: Parlando della guerra, hai dovuto portare avanti parte del lavoro su Ljuksemburh, Ljuksemburh dopo il 24 febbraio. In che modo l’invasione su larga scala dell’Ucraina ha impattato lo svolgersi dei lavori di produzione?

AL: Il film è stato girato prima dell’inizio dell’invasione su larga scala. Avevamo già quasi tutto pronto e quindi il problema più grande è stato riuscire a mettere in salvo i materiali che avevamo. Non voglio affermare che abbiamo finito di produrre il film sotto le bombe, come di solito i giornalisti vogliono sentirsi dire: non si tratta di un reality show, mi irrita questa percezione. Ma, in ogni caso, concludere la produzione di Ljuksemburh, Ljuksemburh è stata un’avventura abbastanza rischiosa. Ci sono stati diversi tagli nella sceneggiatura che riguarda l’infanzia dei due protagonisti e nelle parti in cui l’elemento della commedia è preponderante. Per esempio, mi è stato impossibile andare a Bali per girare delle scene che volevo girare lì. Nella realtà ucraina attuale in molti hanno perso il proprio padre e questo tema nel film è stato limato in funzione degli eventi.

 

AR: Una volta hai detto che la vita è un riproporsi di momenti cringe. In che modo trasponi questa idea nei tuoi film e come affligge la caratterizzazione psicologica dei tuoi personaggi?

AL: Penso di essere molto immerso nella teoria cinematografica e credo che la caratterizzazione dei personaggi non dica niente di noi. Il personaggio nasce da una scelta. Provocare il cringe e mettere un personaggio in una posizione molto sconveniente è una provocazione volta a cercare di coglierne l’essenza. Spesso cerco di immaginarmi la situazione peggiore in cui qualcuno si può ritrovare. Naturalmente baso tutto questo processo sulla fiction, non intendo dire che provo piacere nel mettere qualcuno a disagio nella vita reale. Attraverso la fiction si possono affrontare situazioni di questo tipo. La dimensione dell’inconveniente è particolarmente favorevole a cogliere l’essenza di un personaggio, a mio avviso. Penso che Hitchcock avesse ragione quando diceva che fare film è un gioco da ragazzi: basta prendere la realtà e rimuovere tutti i momenti noiosi. Se decidessi di trasporre in un film la mia vita per quello che è probabilmente otterrei un prodotto noioso, tragico. Ognuno di noi morirà un giorno e non credo sia interessante vedere come mangiamo, come andiamo al bagno, come ci facciamo la doccia. Credo che i film non abbiano la sola funzione di intrattenere, occorre che lo spettatore si sforzi. Ad esempio, non puoi guardare un film di Antonioni senza sforzarti, è come leggere un libro di filosofia: ti annoi, ma poi ti arricchisce. In breve, la dialettica di prendere la realtà e trasporla fedelmente in un film non ha alcun senso per me.

 

AR: Parlando del modo in cui sviluppi i tuoi personaggi, in entrambi i tuoi film sono centrali i rapporti con i genitori. L’intento è quello di mostrare il rapporto genitori-figli in Ucraina o c’è una componente autobiografica?

AL: Il mio primo film riguardava un ragazzo alto e sua madre, il mio secondo film un padre e due ragazzi bassi [alla proiezione serale del film il regista promette di girare il suo prossimo film su protagonisti di media statura, N.d.R.]. L’aspetto più curioso è il fatto che la maggior parte dei film che produciamo non è una nostra invenzione. Il cinema americano è stato creato da persone che non sapevano parlare bene in inglese, ad esempio Frank Capra. Nato in Sicilia, è arrivato negli Stati Uniti quando aveva nove anni e, sebbene non parlasse bene inglese, ha prodotto tra i migliori film di Hollywood. Cercava di produrre film nella lingua del cinema e non in italiano o in inglese. Esistono forme del cinema che difficilmente si adattano ad altre realtà, se prendo a modello il cinema hollywoodiano e lo applico alla realtà ucraina attuale probabilmente fallisco nel mio intento. La questione su cui attualmente noi registi ucraini stiamo concentrando i nostri sforzi e le nostre riflessioni è “quale migliore forma cinematografica si adatta ad esprimere la nostra realtà?”. Riguardo a storie incentrate su questioni famigliari, io cerco spesso di sviluppare tematiche con cui mi sento a mio agio. Questo tipo di narrativa si basa sulla realtà, è molto difficile per me immaginare di realizzare un film epico. Tempo fa per me era molto complicato immaginare di girare un film di guerra ambientato in Ucraina, mi veniva molto più semplice pensare a un film come La vita è bella di Roberto Benigni. Penso sia questo il tipo di format che si adatta al contesto ucraino ma chissà, forse un giorno verranno girati film epici ed eroici… Riesco bene a immaginarmi la guerra in un documentario ma non in un film di fiction, mi viene difficile. Consiglio sempre agli studenti di sceneggiatura di parlare di qualcosa che conoscono, di cui sono responsabili, farsi padrone delle tragedie altrui per raggiungere la fama in quanto regista non è una scelta saggia. Forse è solo una speculazione, ma credo che condividere qualcosa che si osserva o si è osservato, anche attraverso il filtro della metafora, sia la cosa migliore.

 

AR: E per quanto concerne il tema del viaggio? Anch’esso ricorre in entrambi i tuoi film.

AL: La componente del road-movie e il tentativo di trovare un punto di comprensione tra generazioni diverse sono due temi importanti della cinematografia ucraina. E, inoltre, l’incessabile ricerca di qualcosa è proprio un Leitmotiv, un archetipo narrativo del nostro cinema. L’Ucraina è un Paese in costante ricerca. Non a caso, in Ljuksemburh, Ljuksemburh i protagonisti sono due gemelli ucraini che sono alla ricerca della loro figura paterna nell’Europa occidentale, in Lussemburgo.

 

AR: Credo che questo rapporto tra l’Ucraina e l’Europa occidentale venga ampiamente tematizzato nei tuoi film. In Moï Dumky Tychi il protagonista vuole portare i suoni degli animali ucraini in occidente e in Ljuksemburh, Ljuksemburh, come dicevamo, i due protagonisti vanno alla ricerca del loro padre in Lussemburgo…

AL: Esatto, anche il mio prossimo film tratterà un tema molto simile. Per me è molto interessante mostrare ciò che stiamo facendo ora. Sto cercando di spiegare al mondo intero chi siamo attraverso il cinema, che è un modo di creare un ponte tra il nostro Paese e il resto. Inoltre, è importante spiegare che il nostro cinema è ben lontano dalla produzione di epoca sovietica. Ora, dopo il 24 febbraio, la grande domanda è: l’Ucraina può essere compresa dal mondo occidentale? Entrambi i miei film sono un tentativo di trovare questo ponte, di comprendere come trasmettere e letteralmente “tradurre” questa realtà impiegando una prospettiva per certi versi ironica.

 

AR: Parlando dell’evoluzione del cinema ucraino, quale credi sia la sua funzione primaria ora?

AL: Come dicevo, dall’inizio dell’invasione su larga scala abbiamo molte più storie tragiche da raccontare. Ma ritengo che la cosa più importante al momento sia salvare la nostra industria cinematografica. Molte persone coinvolte sono morte, altre sono al fronte, altre ancora hanno abbandonato il Paese. Spero davvero che riusciremo a salvarla.

 

AR: A proposito di futuro, ci puoi svelare in cosa consiste il tuo prossimo lavoro?

AL: Sto lavorando su un film satirico-dark che ha per protagonista una ragazza che, sebbene sia morta, continua a vivere e cerca di farsi strada tra una serie di inconvenienti. Penso andrà a concludere questa trilogia di film cringe. Sarà un film dark che a che fare con le conseguenze della guerra, ma incentrato anche sul tentativo della protagonista di comprendere la sua identità. Forse sarà il mio primo film privo di una componente autobiografica. Permarrà comunque il mio tentativo di creare un legame tra il cinema ucraino e il resto del mondo.

 

Karlovy Vary, 07/07/2023