Silvia Girotto
L’inchino del gigante. Cinque brevi racconti di viaggio e metamorfosi è il titolo dell’ultima pubblicazione in lingua italiana dello scrittore austriaco Christoph Ransmayr (1954), autore di numerosi romanzi e saggi, vincitore inoltre di vari premi letterari, tra cui il Premio Kleist e il Premio Heinrich Böll. Questa raccolta di scritti – in parte racconti e in parte discorsi in occasione del conferimento dei premi – è stata pubblicata a febbraio 2023 nella traduzione dal tedesco di Marco Federici Solari. Essi, precedentemente pubblicati in lingua tedesca tra il 1997 e il 2019 e scelti per la raccolta assieme all’autore, confermano ancora una volta l’importante lavoro di diffusione della casa editrice L’Orma anche per quanto riguarda figure contemporanee.
Link al libro: https://www.lormaeditore.it/libro/9788831312837
In questo volume sono presentati scritti incentrati sul tema dell’odeporica e della metamorfosi, che può essere comunque annoverata tra le modalità di viaggio intesa come passaggio da una condizione ad un’altra. È proprio attorno al tema della metamorfosi che Ransmayr riesce a creare forse il più emblematico tra gli scritti scelti, qui inserito con il titolo Signori e signore sott’acqua. Una storia per immagini tratta da sette fotografie a colori di Manfred Wakolbinger (“Damen und Herren unter Wasser. Eine Bildergeschichte nach 7 Farbtafeln von Manfred Wakolbinger”, 2007). La tematica del viaggio, cara all’autore in ogni sua produzione come testimoniato dalle differenti ambientazioni da lui scelte, viene qui infatti portata all’estremo. I ghiacci polari, le savane e le montagne del Tibet appaiono banali in confronto ai luoghi in cui l’essere umano non potrà davvero vivere appieno: le profondità marine, un mondo ancora più esotico di quello a cui Ransmayr ha abituato il suo pubblico. Il protagonista, trasformatosi in un calamaro senza sapere come e perché, si trova a osservare la sua nuova casa con l’occhio di uno scienziato che non interpreta ciò che vede solo come comportamento animale, ma attribuisce a questo nuovo mondo le riflessioni di quello umano. Ne deriva, qui come negli altri scritti della raccolta, un’analisi dell’umano attraverso le estremizzazioni dell’umanità.
Anche le altre opere racchiuse in L’inchino del gigante presentano uno schema simile: la rappresentazione di luoghi “altri”, non necessariamente esotici ma comunque distanti dall’immaginario europeo moderno, ritorna sempre alla riflessione su ciò che è noto, porta chi legge dalla prospettiva del conosciuto a ciò che è ignoto, tornando poi alla vita reale, concreta, trasformata ormai in una sorta di Unheimlich freudiano. Appare quindi una visione liberata, un nuovo punto di vista rispetto ciò che è quotidiano. Succede questo in La terza aria o Un palco sul mare (“Die dritte Luft oder Eine Bühne am Meer”, 1997), in cui l’ambientazione dell’indomabile costa irlandese permette al pubblico di uscire dalla sua zona sicura per immergersi nel personaggio dell’Oceano Atlantico, che:
“[…] frustrato dalle bufere del tardo inverno rotola con immane violenza addosso alla costa, pareti d’acqua alte venti o trenta metri si levano contro le rocce a strapiombo, s’infrangono sotto il rimbombo dei tuoni e in un caos gorgogliante crollano in cascate di mille braccia.” (pp. 13-14)
I canti popolari e le melodie dei villaggi irlandesi ripropongono poi un ritorno alla condizione umana, ma nel passaggio da conosciuto a sconosciuto – sotto forma di Natura – si nasconde forse anche una metamorfosi interiore nello stesso individuo che si immerge nella lettura.
Tale metamorfosi stimolata nel pubblico si sviluppa ulteriormente proponendo riflessioni sulla produzione letteraria in più di una delle sue opere. Il titolo del secondo scritto L’inchino del gigante o Del narrare (“Die Verbeugung des Riesen. Vom Erzählen”, 2003) esplicita questa tendenza a voler percorrere gli intricati sentieri metaletterari. Ransmayr si immerge così lui stesso in resoconti e descrizioni parlando delle difficoltà della scrittura e dell’essere uno scrittore e del potere della narrazione che conduce la mente umana a compiere i viaggi più incredibili e le metamorfosi più strane, passando poi alla critica dell’utilità della letteratura di fronte alle varie espressioni dell’umano.
Naturale proseguo di questo discorso è Chiacchiere. Undici discorsi brevi (“Gerede: Elf Ansprachen”, 2004), una serie di riflessioni offerte al suo pubblico in occasioni ufficiali come in conferimenti di premi letterari. In esse spicca la modernità dell’analisi, che contempla sia le grandi problematiche dell’epoca moderna che le singole difficoltà dell’individuo. Tutto partendo da esperienze della singola persona, che trova sempre un’occasione di critica al mondo che la circonda e a sé stessa. Innegabilmente da segnalare sono in particolare i discorsi in occasione del Premio Ernst Toller e del Premio Heinrich Böll, in cui – rivivendo la vita degli autori a cui sono intitolati i premi – si mostrano le difficoltà nell’inserirsi nei contesti umani di guerre, lotte e ingiustizie che mai vengono superati, al contrario di ciò che afferma il detto “La Storia è maestra di vita”.
Con Farmaco contro la mortalità. Tre storie per dire grazie (“Arznei gegen die Sterblichkeit. Drei Geschichten zum Dank”, 2019), si conclude il percorso personale dell’autore – almeno fino ad oggi – con tre brevi racconti incentrati sulla vita contemporanea e contenenti di conseguenza i problemi del tempo attuale come razzismo, sfruttamento e ingiustizia attraverso confronti innovativi e impensabili. Nel racconto Farmaco contro la mortalità si assiste infatti a un incontro tra il narratore e una bambina africana che trasporta dell’acqua. Questo offre la scintilla per avviare una riflessione sul rapporto tra l’Africa e quella che dovrebbe essere la civiltà, senza nascondere forti critiche al passato colonialista europeo e all’incapacità di assumersi le proprie responsabilità. Un vanto per la società parte dalla riflessione finale del racconto precedente circa la possibilità di utilizzare la letteratura per diffondere coscienza per presentare poi le innumerevoli possibilità dell’interpretazione. Infine Sulla bara di un uomo libero offre a Ransmayr la possibilità di immergersi nella storia familiare paterna per denunciare le ingiustizie della sua terra in un interessante confronto con Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist.
In ognuno di questi libri viene quindi presentato non solo un viaggio fisico, ma soprattutto un viaggio esplorativo della propria società, del mondo conosciuto ma nascosto sotto le abitudini e le narrazioni predominanti. Il viaggio che intraprende il pubblico di Ransmayr conduce a scoprire gli scoscesi sentieri del Tibet e le primordiali isole irlandesi insieme alle profondità dell’oceano, ma anche angoli spesso ancora inesplorati dell’esperienza come individuo e come collettività che l’autore non ha paura di esternare sotto forma di analisi e di critica del mondo in cui si trova, per riscoprirlo nuovamente.