Quo vadis, Russia? “Russki Mir” di Michail Šiškin

Sara Deon

 

Lo scorso anno sono state pubblicate per la casa editrice 21lettere due importanti opere dello scrittore russo Michail Šiškin: a marzo il romanzo epistolare Punto di fuga (“Pis’movnik”, 2010), vincitore del Premio Strega Europeo, e a ottobre la raccolta di saggi Russki Mir: Guerra o Pace?

Šiškin, che Andergraund Rivista ha anche avuto il piacere di intervistare poco dopo l’assegnazione del premio letterario italiano, è nato nel 1961 a Mosca ma dagli anni Novanta vive in Svizzera. È una delle penne più illustri del panorama russo contemporaneo, unico a ottenere i tre riconoscimenti nazionali quali il Russkij Buker (2000), il Nacional’nij Bestseller (2005) e il Bol’šaja Kniga (2010); in Italia è divenuto noto anche grazie alla pubblicazione per la casa editrice Voland di romanzi come Lezioni di calligrafia (“Urok kalligrafii”, 1993), La presa di Izmail (“Vzjatie Izmaila”, 2001) e Capelvenere (“Venerin volos”, 2007). 

Link al libro: https://www.21lettere.it/product-page/russki-mir-guerra-o-pace 

Russki mir: guerra o pace?


La prefazione all’edizione italiana di Russki Mir: Guerra o Pace? si apre con una sola, isolata affermazione: “Fa male essere russi” (p. 8). Una singola asserzione suggerisce fin da subito il posizionamento di Michail Šiškin in quanto russo, in primis, e in quanto scrittore russo poi, quindi una dichiarazione d’intenti di un punto di vista situato, per nulla inerte. D’altra parte, il prendere posizione in virtù del suo ruolo come scrittore non è estraneo a Šiškin, che già nel 2013 inviò una lettera dove si rifiutava di partecipare alla delegazione russa alla Fiera del Libro di New York, riportando tra le sue ragioni il rifiuto di rappresentare una nazione in cui ha preso il potere un regime criminale e corrotto, dove il processo democratico si è trasformato in una farsa. Anche in questo volume l’autore constata i limiti e il fallimento storico della letteratura di fronte allo scoppio di una guerra, allo stesso tempo interrogandosi su quali siano i doveri di uno scrittore: “fa quello che può – si fa capire“. Si devono pronunciare parole chiare. Il silenzio significa sostenere l’aggressore, la guerra” (p. 8). In questa prospettiva, il volume di Michail Šiškin si presenta come una guida utile a comprendere le idiosincrasie della Russia contemporanea, in cui anche l’Europa viene frequentemente citata a giudizio.

La Russia rimane inspiegabile e strana per l’Occidente. In questo libro ho voluto rivelare il mio Paese al lettore occidentale. Questa è la mia spiegazione della Russia, del suo passato, presente e futuro. È anche la mia dichiarazione d’amore per il mio Paese, che ha una natura meravigliosa e una cultura grandiosa, ma che continuamente diventa un mostro che divora i figli stranieri e i suoi stessi figli.(p. 9)

L’opera è stata pubblicata per la prima volta nel 2019 in Germania, con il titolo Frieden oder Krieg – Russland und der Western – Eine Annäherung. Sebbene siano trascorsi più di tre anni dalla sua pubblicazione originale, i saggi di Šiškin non risultano obsoleti, anzi: le sue analisi sul linguaggio della propaganda putiniana e la sua cultura della menzogna, le fratture intergenerazionali e interne alla Russia e le speranze democratiche storicamente disattese, lette all’indomani dell’invasione russa del 24 febbraio 2022, risultano premonitrici di un pericolo annunciato da tempo e di una guerra che, come sottolineato dallo stesso autore, era iniziata già nel 2014.

Mia madre era ucraina, mio padre russo. Ci sono milioni di matrimoni misti di questo tipo in Russia e Ucraina. A volte penso: è un bene che entrambi siano già morti e non vivano per vedere questa guerra tra Russia e Ucraina. Siamo nazioni sorelle. Come separare la nostra comune vergogna e il nostro dolore, il nostro mostruoso passato? La distruzione dei contadini in Russia e l’Holodomor in Ucraina? Tra le vittime c’erano sia russi che ucraini, proprio come tra gli assassinii di massa. Avevamo nemici comuni: noi stessi. Il nostro terribile passato tiene entrambe le nazioni in una morsa mortale e non ci libera nel futuro.(p. 111)

Russki Mir: Guerra o Pace? si presenta ai lettori come una raccolta di saggi eterogenea, accomunata dalla volontà di mettere in luce la continuità storica della Russia come nazione violenta e repressiva fin dalla sua fondazione: in questa prospettiva, Šiškin definisce il suo Paese “ulus”, termine di derivazione mongola che designa l’apparato statale e la sua popolazione. Sebbene gli aspetti storico-sociali disaminati dall’autore siano disparati, si possono riconoscere delle figure ricorrenti che si presentano come macro-temi nella sua trattazione dell’evoluzione russa. In primis, vi è lo svuotamento del linguaggio e la strumentalizzazione del medesimo a scopo di propaganda, in quello che l’autore definisce come “il paradosso della menzogna”. Tracciando una parabola che va dalla storia sovietica a quella contemporanea, includendo i piani quinquennali, la disfatta militare in Afghanistan, Černobyl′ e l’annessione della Crimea, Šiškin enfatizza la pervasività della menzogna come tratto intrinseco alla storia nazionale e necessario al mantenimento dello status quo: “mentivano su passato, sul presente e sul futuro, in qualsiasi occasione, importante o meno.” (p. 26)

Il più grande malinteso tra l’Occidente e la Russia deriva dal fatto che i termini democratici in Russia sono parole vuote, prive di significato, che non producono alcun effetto. In Occidente, i governi devono essere giudicati sulla base dei termini che usano; in Russia, sono solo delle facciate, e tutti in Russia sanno che dietro a queste facciate c’è solo il vuoto.(p. 22)

Poiché “è molto più bello credere nella propria missione storica che vegetare sulle rovine dell’impero” (p. 116), l’autore ricostruisce il mito dell’anima russa e della sua brama di sofferenza, fornendo la sua chiave di lettura delle rivendicazioni espansionistiche russe dietro l’attuale guerra in corso e la mitologia della Novorossija putiniana. Nonostante la sua visione della Russia sfoci spesso in un cinismo che sembra incontrovertibile, in ultima istanza emerge timido un messaggio di speranza. Infatti, in chiusura del volume Michail Šiškin menziona due futuri: il primo, quello semplice, è rappresentato dal deterioramento delle condizioni mediche, l’accorciamento dell’età media e il disastro ecologico in corso in Russia; il secondo, quello anteriore, è composto dai giovani russi che stanchi delle menzogne rivendicano a gran voce, nelle piazze o nelle redazioni giornalistiche – basti pensare al caso DOXA – una Russia diversa, come confessa un’adolescente durante una di queste proteste: “Lassù ci hanno portato via tutto quello che c’era nel Paese. Sono venuta perché non ci portassero via il futuro (p. 240). Per Šiškin, è lei a rappresentare il futuro della nuova Russia, giacché, per concludere con le sue parole, nella battaglia tra i dittatori e la parola libera, alla fine ha sempre vinto la parola. Nel duello storico russo tra il poeta e lo zar, quest’ultimo non ha alcuna possibilità.” (p. 234)

 

Apparato iconografico: 

Immagine di copertina: https://www.theatlantic.com/photo/2021/02/photos-second-weekend-protests-russia/617888/