L’Ucraina della Rivoluzione della Dignità: dalla rivoluzione politica alla rivoluzione culturale (?)

Simone Attilio Bellezza

 

La svolta democratica: la rivoluzione del 2013-2014

La Rivoluzione della Dignità del 2013-2014 (o Euromajdan, come viene chiamato spesso in occidente) ha costituito una tappa fondamentale nel processo di formazione della nazione ucraina come una comunità politica, sociale e culturale coesa: le proteste popolari contro l’allora presidente Viktor Janukovyč erano state causate dalla sua decisione di abbandonare la politica di collaborazione con l’Unione Europea a favore di un riavvicinamento alla Federazione russa. Le ragioni dello scontento popolare erano però più profonde e legate al tentativo messo in atto da Janukovyč di trasformarsi in dittatore seguendo le orme del suo padrino politico Vladimir Putin. Le proteste, poi sfociate in una vera e propria rivoluzione con tanto di fuga del presidente e conseguente vuoto istituzionale, si connotarono politicamente in maniera molto precisa: gli ucraini rivendicavano un orgoglio nazionale legato alla propria scelta democratica ed europeista (testimoniato già dalle proteste del 2000-2001 e dalla rivoluzione arancione del 2004-2005), anche attraverso la contrapposizione sempre più netta con l’elemento russo, visto come simbolo di ingiustizia e dittatura. La retorica del Majdan Nezaležnosti (Piazza dell’Indipendenza al centro di Kyïv), con i suoi frequenti richiami alle tradizioni “democratiche” della Rus’ di Kyïv e della tradizione cosacca, fu un’ulteriore conferma che l’identità ucraina post-sovietica si stava costruendo attorno ai principi di democraticità e di appartenenza all’Europa. Lo stereotipo antirusso trovò conferma nell’invasione della Crimea e delle regioni occidentali di Donec’k e Luhans’k da parte di Mosca, che aveva attaccato il nuovo corso politico ucraino nel tentativo di far fallire la costruzione di un genuino regime democratico[1].

Oltre che alle riforme politiche, al nuovo presidente ucraino Petro Porošenko è toccato così anche di immaginare una nuova politica culturale del Paese che, da una parte, contribuisse al rafforzamento dell’identità collettiva nello sforzo bellico ad est contro la Russia e, dall’altra, traducesse praticamente la richiesta di costruzione di una cultura nazionale nettamente distinta da quella russa. Sono stati tre gli ambiti principali d’azione del nuovo corso ucraino: la politica della memoria storica, la politica linguistica e, infine, quella religiosa. Si procederà qui ad analizzare sinteticamente questi tre differenti ambiti per concludere poi con un paragrafo sulla politica della cultura cinematografica dedicato al caso del Centro Nazionale “Oleksandr Dovženko”, che costituisce un interessante esempio pratico di cosa si intenda per conservazione e promozione della cultura nazionale.

Courtesy of Vitalij Grybov

La politica della memoria

La saldezza della costruzione di un’identità nazionale dipende molto dalle politiche della memoria messe in atto in ciascun stato: in Ucraina questa è oggetto dell’azione dell’Istituto Ucraino della Memoria Nazionale, fondato nel 2006. Porošenko scelse come direttore l’attivista politico e “public historian” Volodymyr V’jatrovyč: originario di Leopoli, dopo gli studi all’università cittadina si fece subito notare per la forte ispirazione politica delle sue ricerche, dedicate soprattutto alla Seconda guerra mondiale e ai partigiani nazionalisti, di cui spesso ignorava colpevolmente i crimini commessi durante il conflitto contro ebrei e polacchi. V’jatrovyč fu il principale ispiratore (e forse anche autore) di un pacchetto di leggi denominate “leggi sulla decomunistizzazione”, che nel 2015 furono prima discusse e poi approvate dal Parlamento, creando un grande scandalo internazionale[2]. Il testo di questi quattro provvedimenti prevedeva infatti il divieto di celebrare i regimi totalitari, sia quello nazi-fascista sia quello comunista, e istituiva norme precise sulla commemorazione della lotta dei nazionalisti ucraini. Il testo era sufficientemente impreciso da suscitare i timori che esso potesse colpire non soltanto chi faceva vera e propria apologia dei regimi hitleriano e staliniano, ma anche impedire un normale dibattito pubblico e scientifico sul passato nazionale. Diveniva inoltre reato accusare pubblicamente i partigiani nazionalisti di quei crimini che essi avevano effettivamente compiuto durante la guerra e queste leggi furono quindi fortemente criticate soprattutto in ambito internazionale dalla diaspora ucraina in occidente. Ciononostante, negli anni successivi la magistratura applicò raramente e con grande tolleranza la legge, evitando che questa norma potesse ledere la legittima libertà d’espressione[3].

Nel pacchetto era anche inclusa una norma che rendeva pubblico il patrimonio degli archivi dell’ex-KGB ancora conservato dal Servizio di Sicurezza dell’Ucraina post-sovietico: a dirigere questo archivio fu chiamato lo storico Andrij Kohut che ha saputo distinguersi per la sua capacità di rendere facilmente accessibili quantità sempre crescenti di documenti. Questa politica archivistica particolarmente liberale aveva come fine anche quello di favorire lo studio del periodo sovietico e si rivelò un grande successo poiché la contestuale progressiva chiusura degli archivi russi ha fatto sì che sempre più storici del periodo sovietico, provenienti da tutti i paesi del mondo, decidessero di dedicarsi alla storia ucraina sfruttando la grande quantità di documenti disponibili[4].

Nelle elezioni politiche presidenziali del 2019 il candidato dell’opposizione Volodymyr Zelens’kyj ebbe la meglio su Porošenko: il nuovo presidente era un ebreo russofono e aveva vinto con una proposta politica che insisteva meno sull’opposizione alla Russia e cercava di immaginare una via d’uscita dal conflitto. Zelens’kyj prese la decisione di sostituire V’jatrovyč con Anton Drobovyč, un attivista di formazione filosofica con forti legami in occidente. Quest’ultimo ha smorzato i toni nazionalisti del suo predecessore, mentre ha continuato sulla linea di maggiore apertura degli archivi, con varie iniziative dedicate alla storia delle repressioni sovietiche che davano la possibilità ai discendenti di cercare il destino dei propri familiari scomparsi o uccisi.

La politica linguistica

La guerra della Russia all’Ucraina ha avuto fra le altre conseguenze quella di rappresentare un punto di svolta per l’appartenenza linguistica. La compresenza delle due lingue aveva infatti reso gli ucraini bilingui passivi quasi nella loro totalità e un’altissima percentuale pratica anche un bilinguismo attivo, scegliendo di usare ciascuna lingua in ambiti differenti. L’invasione russa ha creato un momento di forte tensione: la propaganda putiniana utilizzava infatti l’argomento della difesa dei russofoni come giustificazione del suo intervento nelle regioni orientali, rendendo la lingua di comunicazione interpersonale una scelta ideologica. In reazione all’invasione un numero crescente di ucraini ha scelto coscientemente di limitare se non addirittura di rinunciare completamente all’uso del russo per parlare ucraino[5]. Tale dinamica spontanea dal basso è stata accompagnata da un dibattito in politica e nella sfera della cultura.

Questo contesto ha permesso al governo ucraino di inaugurare per la prima volta nella storia dell’Ucraina post-sovietica una politica linguistica volta a tutelare la lingua ucraina: si è abolita la legge sulle minoranze linguistiche approvata da Janukovyč nel 2012, che permetteva alle amministrazioni locali di utilizzare il russo come lingua ufficiale. Nel 2017, all’interno della riforma del sistema educativo, si è stabilito che sia possibile studiare a scuola in lingue differenti dall’ucraino solo nei primi quattro anni di scuola; successivamente tutte le materie (ad eccezione delle lingue straniere) devono essere insegnate in ucraino. Questa norma è stata giustamente criticata dalla Commissione di Venezia e ha causato alcuni attriti soprattutto nella minoranza ungherese: i magiari d’Ucraina erano infatti soliti compiere il percorso scolastico in ungherese per poi trovare lavoro o proseguire gli studi all’università in Ungheria. Questa nuova legge costituisce oggettivamente un handicap per le minoranze linguistiche e deve per questo essere emendata, va però notato che non vi sono state significative proteste al riguardo da parte dell’ipotetica popolazione russofona dell’Ucraina a ulteriore conferma del fatto che la scelta in favore dell’ucraino era ormai appoggiata dalla maggioranza della popolazione.

Nel 2019, a termine del suo mandato, Porošenko è riuscito anche ad approvare la legge che traduceva praticamente il principio della costituzione del 1996 (già presente nella costituzione sovietica del 1989) secondo cui l’ucraino è la lingua di stato. Questa legge stabilisce che la prima lingua di comunicazione in ambiti ufficiali e pubblici debba essere l’ucraino, anche se prevede che il cittadino possa continuare a utilizzare un’altra lingua in risposta agli ufficiali che utilizzano l’ucraino. L’ucraino è inoltre la lingua che deve essere usata nei mezzi di comunicazione di massa (come la televisione e la stampa, ma l’utilizzo di altre lingue straniere, fra le quali anche il russo, è consentito a patto che non superi il 49% della produzione totale. La legge è entrata pienamente in vigore a partire dal novembre 2021: Zelens’kyj ha deciso di non modificarla e di applicarla così come era stata approvata, dimostrando un desiderio di continuità nella politica linguistica[6].

La politica religiosa

La popolazione ucraina è divisa fra molte confessioni cristiane e include numerose comunità religiose più piccole, fra le quali l’ebraica e la musulmana. Tale molteplicità religiosa non è problematica, con la sola eccezione della chiesa ortodossa del patriarca di Mosca: quest’ultima ha infatti sempre più legato il suo destino al potere politico putiniano e si è schierata più di una volta a sostegno di Mosca e delle sue politiche espansionistiche. Dopo l’inizio del conflitto nel 2014, la gerarchia della Chiesa ortodossa del Patriarcato di Kyïv, che era formalmente sottomessa al patriarca di Mosca, si è mossa di concerto con il presidente Porošenko per ottenere la piena indipendenza: l’azione del presidente ucraino si è rivelata risolutiva e il patriarca di Costantinopoli, nel gennaio 2019, ha concesso l’autocefalia al Patriarcato di Kyïv. Il Patriarcato di Mosca ha reagito dichiarando uno scisma dal resto delle chiese ortodosse che riconoscono l’autorità del patriarca di Costantinopoli[7].

Anche a seguito di questa autonomia, la forza della chiesa del Patriarcato di Kyïv è cresciuta negli anni successivi, vedendo invece diminuire il numero di fedeli e di chiese che riconoscono il patriarcato di Mosca. Benché sia vero che spesso i credenti non conoscono nemmeno l’appartenenza della propria parrocchia alle varie confessioni (anche a causa della comunanza del rito ortodosso), questo passo ha significativamente rafforzato l’identità nazionale, poiché nella tradizione ortodossa ogni nazione ha diritto a una chiesa nazionale autocefala e Porošenko ha abilmente venduto l’autocefalia come una sua vittoria nella costruzione di uno stato pienamente indipendente[8].

Una politica attiva nella promozione della cultura nazionale

Oltre che nei succitati ambiti di “macropolitica” l’Ucraina post-Rivoluzione della Dignità ha avviato una politica specifica nell’ambito della promozione di una cultura nazionale. Quest’ambito è altamente problematico: non è così semplice definire in termini precisi cosa sia la cultura nazionale e come essa vada promossa. Era tuttavia evidente che, anche a fronte della aggressiva propaganda russa anche a livello di mezzi di informazione internazionali, che la cultura ucraina dovesse trovare maggiori ambiti di espressione e sviluppo. Un vero punto di svolta è stato rappresentato dall’istituzione nel giugno del 2017 dello Ukrainian Institute, ovvero una istituzione il cui compito è quello di far conoscere la cultura ucraina nel mondo. Entrato in funzione nell’estate del 2018, con la nomina a direttore dell’esperto di promozione culturale Volodymyr Šejko, questo istituto ha rappresentato un’innovazione che metteva l’Ucraina e la sua cultura allo stesso livello delle grandi culture nazionali mondiali, promuovendo progetti internazionali di collaborazione e divulgazione scientifica e artistica. I successi, nonostante gli scarsi fondi su cui il governo ucraino poteva contare, hanno portato alla riconferma del direttore alla fine del 2021; l’Istituto ha significativamente contribuito a creare un clima di collaborazione con l’Ucraina all’estero dopo l’attacco del 24 febbraio[9].

Nell’ambito della promozione di una cultura nazionale sul fronte interno, un’iniziativa culturale di grande portata è stato il rilancio del Centro Nazionale “Oleksandr Dovženko”: nato in varie tappe dal 1994 al 2000, questo Centro intitolato al padre nobile del cinema ucraino costituisce il più grande archivio della produzione cinematografica nazionale, nonché il principale impianto di creazione e diffusione dei film. Dal 2016 al 2019 il Centro Dovženko ha attraversato un periodo di completa ristrutturazione sotto l’abile guida del nuovo direttore, Ivan Kozlenko: originario di Odesa e divenuto famoso grazie a un romanzo di argomento queer[10], Kozlenko si è adoperato per trasformare un archivio per specialisti in uno dei luoghi più interessanti di sperimentazione artistica del Paese. Il Centro ha accolto iniziative che venivano da tutte le altre arti, organizzando conferenze, mostre, spettacoli e proiezioni che l’hanno consacrato come uno dei principali centri di produzione e diffusione della cultura nazionale non solo della capitale, ma dell’intero Paese. Nonostante questi successi, il direttore non è stato confermato alla scadenza del mandato nel 2021 e all’inizio del 2022 il Ministero della Cultura ha annunciato di aver ceduto il Centro all’Agenzia Statale Ucraina per il Cinema, che ha dichiarato di voler scindere il centro in tre istituzioni separate[11]. Nonostante le sovrastanti preoccupazioni dovute al conflitto, il mondo della cultura ucraina sta in questi mesi dibattendo del futuro di questo centro che così tanto aveva fatto per lo sviluppo artistico nazionale e per la promozione della cultura cinematografica ucraina. Ciò che si può constatare è che nel periodo seguito alla Rivoluzione della Dignità lo stato ha per la prima volta attuato una politica culturale attiva, basata su una legislazione apposita e sostenuta col finanziamento di specifiche istituzioni. Tale politica è stata perseguita in maniera coerente da entrambi i presidenti e ha contribuito al rafforzamento del senso di appartenenza alla comunità nazionale ucraina, contribuendo così a spiegare la forza della coesione nazionale in reazione all’invasione su larga scala del 24 febbraio.

Bibliografia e Sitografia:

Anna Aliinyk, Taras Kuzio, The Euromaidan Revolution, Reforms and Decommunisation in Ukraine, in “Europe-Asia Studies”, vol. 73 n. 5, pp. 807-836.

Bohdan M. Ažnjuk (a cura di), Movne zakonodavstvo i movna polytika. Ukraïna, Jevropa, svit, Kyïv, Vydavnyčnyj dim Dmytra Burago, 2019.

Denys Shestopalets, Church and State in Ukraine after the Euromaidan: President Poroshenko’s Discourse on Religion, 2014-2018, in “Politics and Religion”, vol. 13 n. 1, pp. 50-179.

Georgiy Kasianov, Memory Crash. The Politics of History in and around Ukraine 1980s-2010s, CEU Press, Budapest-Vienna-New York 2022.

Ivan Kozlenko, Tanžer, Komora, Kyiv 2018; sul significato del romanzo si veda Vitaly Chernetsky, Ukrainian Queer Culture: the Difficult Birth, in Kārlis Vērdiņš, Jānis Ozoliņš (a cura di), Queer Stories of Europe, Newcastle upon Thyne, Cambridge Scholar Publishing, 2016, pp. 206-225.

Marina Pesenti, Cultural revival and social transformation in Ukraine. The role of culture and the arts in supporting post-Euromaidan resilience, research paper of the Ukrainian Fortum of the Chatham House, https://www.chathamhouse.org/sites/default/files/2020-11/2020-11-16-cultural-revival-and-social-transformation-in-ukraine-pesenti_0.pdf (ultimo accesso 13/09/2022).

Nicolas Denysenko, Explaining Ukrainian autocephaly: politics, history, ecclesiology, and the future, in “Canadian Slavonic Papers”, vol. 62 n. 3-4, pp. 426-442.

Olena Kuchar, Istorija stvorennja «Ukraïns’koho Instytutu»: namiry, realiï, perspektyvy, in “Ukraïns’kyj Tyžden’”, 26 giugno 2017 https://tyzhden.ua/Culture/195383 (ultimo accesso 13/09/2022).

Paul D’Anieri, Ukraine and Russia. From Civilized Divorce to Uncivil War, Cambridge, Cambridge UP, 2019.

Polly Corrigan, Political Police Archive in Ukraine and Georgia: A Research Note, in “Europe-Asia Studies”, vol. 72 n. 1, pp. 117-131.

Simone Attilio Bellezza, Il destino dell’Ucraina. Il futuro dell’Europa, Brescia, Morcelliana-Scholé, 2022.

Vitaliy Tereshchuk, Cultural Diplomacy as a Tool of Ukraine’s Foreign Policy: Institutional Dimension, in “Historia i Polityka”, n. 28 (2019), pp. 59-70.

Volodymyr Kulyk, Shredding Russianness, Recasting Ukrainianness: the Post-Euromaidan Dynamics of Ethnonational Identifications in Ukraine, in “Post-Soviet Affairs” vol. 34 n. 2-3, 2018, pp. 1-20.

 

Note:

[1] Cfr. Paul D’Anieri, Ukraine and Russia. From Civilized Divorce to Uncivil War, Cambridge, Cambridge UP, 2019; Simone Attilio Bellezza, Il destino dell’Ucraina. Il futuro dell’Europa, Brescia, Morcelliana-Scholé, 2022.

[2] Su V’jatrovyč e sulla politica della memoria in Ucraina si veda Georgiy Kasianov, Memory Crash. The Politics of History in and around Ukraine 1980s-2010s, CEU Press, Budapest-Vienna-New York 2022.

[3] Per un’analisi del testo delle leggi cfr. Anna Aliinyk, Taras Kuzio, The Euromaidan Revolution, Reforms and Decommunisation in Ukraine, in “Europe-Asia Studies”, vol. 73 n. 5, pp. 807-836.

[4] Polly Corrigan, Political Police Archive in Ukraine and Georgia: A Research Note, in “Europe-Asia Studies”, vol. 72 n. 1, pp. 117-131.

[5] Volodymyr Kulyk, Shredding Russianness, Recasting Ukrainianness: the Post-Euromaidan Dynamics of Ethnonational Identifications in Ukraine, in “Post-Soviet Affairs” vol. 34 n. 2-3, 2018, pp. 1-20.

[6] Sulla politica linguistica si veda Bohdan M. Ažnjuk (a cura di), Movne zakonodavstvo i movna polytika. Ukraïna, Jevropa, svit, Kyïv, Vydavnyčnyj dim Dmytra Burago, 2019.

[7] Nicolas Denysenko, Explaining Ukrainian autocephaly: politics, history, ecclesiology, and the future, in “Canadian Slavonic Papers”, vol. 62 n. 3-4, pp. 426-442.

[8] Denys Shestopalets, Church and State in Ukraine after the Euromaidan: President Poroshenko’s Discourse on Religion, 2014-2018, in “Politics and Religion”, vol. 13 n. 1, pp. 50-179.

[9] Vitaliy Tereshchuk, Cultural Diplomacy as a Tool of Ukraine’s Foreign Policy: Institutional Dimension, in “Historia i Polityka”, n. 28 (2019), pp. 59-70; Olena Kuchar, Istorija stvorennja «Ukraïns’koho Instytutu»: namiry, realiï, perspektyvy, in “Ukraïns’kyj Tyžden’”, 26 giugno 2017 https://tyzhden.ua/Culture/195383 (ultimo accesso 13/09/2022).

[10] Ivan Kozlenko, Tanžer, Komora, Kyiv 2018; sul significato del romanzo si veda Vitaly Chernetsky, Ukrainian Queer Culture: the Difficult Birth, in Kārlis Vērdiņš, Jānis Ozoliņš (a cura di), Queer Stories of Europe, Newcastle upon Thyne, Cambridge Scholar Publishing, 2016, pp. 206-225.

[11] Marina Pesenti, Cultural revival and social transformation in Ukraine. The role of culture and the arts in supporting post-Euromaidan resilience, research paper of the Ukrainian Fortum of the Chatham House, https://www.chathamhouse.org/sites/default/files/2020-11/2020-11-16-cultural-revival-and-social-transformation-in-ukraine-pesenti_0.pdf (ultimo accesso 13/09/2022).

 

Apparato iconografico:

La copertina e la prima immagine sono state concesse da Vitalij Grybov.

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