Pohani Dorohy (Bad Roads) di Natalija Vorožbyt

Anna Mangiullo

 

Regia: Natalija Vorožbyt

 

Sceneggiatura: Natalija Vorožbyt

Fotografia: Volodymyr Ivanov

Montaggio: Oleksandr Čornyj

Produttore: Jurij Minznjanov, Dmytro Minznjanov

Produzione: Kristi Films

Distribuzione: Arthouse Traffic

Origine: Ucraina

Lingua: Russo, Ucraino

Durata: 105’

Genere: Drammatico

 

Link al Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=swu-WpRTpAE

Link a cui reperirlo: https://takflix.com/en/films/bad-roads

 

Natalija Vorožbyt (1975 -). Dopo essersi formata all’Istituto di Letteratura Maksim Gor’kij di Mosca si dedica all’attività teatrale, lavorando soprattutto nel Regno Unito e collaborando con produzioni russe. Dopo lo scoppio della guerra nel 2014, fonda il Teatro degli Sfollati (Teatr Pereselencja) per far raccontare ai profughi del Donbas la propria storia. Debutta come regista nel 2020 con “Pohani Dorohy”.

 

Trama: Quattro episodi ambientati sulle strade rovinate di un Donbas in guerra. Quattro destini di vita diversi e disgiunti tra loro, accomunati dal trauma della realtà bellica. Le strade “cattive” formano anche in parte la coscienza delle persone che le percorrono.

 

Interpreti:

Ihor Koltovs’kyj – Igor Onyščuk

Anna Žuravs’ka – ragazza del II episodio

Maryna Klimova – giornalista

Zoja Baranovs’ka – la donna autista

 


Tutte le strade portano in Donbas”. Si potrebbe sintetizzare così uno dei topoi presenti nella nuova scena artistica ucraina: il Donbas. Pohani Dorohy, presentato durante la Settimana della Critica di Venezia nel 2019, non a caso in italiano presenta il sottotitolo Le strade del Donbas.

Un sottotesto che, alla mente dei più, rimanderà al romanzo dello scrittore Serhij Žadan, Vorošylovhrad – in italiano pubblicato con il titolo La strada del Donbas – e che, a sua volta, è servito da sceneggiatura per il film di Jaroslav Lodygin, Dyke Pole (The Wild Fields, 2018), e a cui la stessa Natalija Vorožbyt ha contribuito nella scrittura della sceneggiatura insieme a Žadan.

Sebbene i due film abbiamo come minimo comune denominatore il Donbas e il tema della strada – cattiva –, si tratta di due opere agli antipodi l’una dall’altra, per temi e strutture. Nel film di Vorožbyt la strada non è tanto un luogo di formazione ma diventa piuttosto teatro di incontri – e scontri –. Teatro, a ragione: la sceneggiatura originale del film si basa interamente sul copione dell’omonima opera teatrale da lei scritta, presentata per la prima volta nel 2017 al Royal Court di Londra.

La pièce presenta sei episodi, tutti ambientati in punti non ben definiti del Donbas e tratti da storie vere che Vorožbyt ha raccolto nel corso degli anni. Gli episodi sono brevi microstorie chiuse in sé stesse, costruite aristotelicamente nel rispetto delle unità di luogo, tempo e azione.

La disposizione delle storie, in parte rispettata anche nel film, presenta un primo episodio sotto forma di semi-monologo in cui, una donna, probabilmente la stessa Natalka, racconta del suo viaggio in Donbas per raccogliere testimonianze dirette sulla guerra e in particolare sull’aeroporto di Donec’k, “predmet moho doslidžennja” (“oggetto della mia ricerca”), come si ripete spesso nel testo. L’aeroporto di Donec’k è tristemente noto per essere stato campo di scontri tra i ribelli delle repubbliche separatiste e l’esercito ucraino, vicende che saranno al centro di un altro film di cui Vorožbyt ha curato la sceneggiatura, Kiborgy (Cyborgs, 2017, per la regia di Achtem Sejtablajev).

A differenza che in Kiborgy – annoverato tra i cento migliori film della storia del cinema ucraino, ma dagli intenti eccessivamente patriottici e propagandistici – a Vorožbyt, con Pohani Dorohy, non interessa narrare questo tipo di guerra, ma quella vissuta dal punto di vista delle persone. La regista vuole mostrare il trauma collettivo attraverso l’intimità del singolo, come nel caso del secondo episodio, in cui tre ragazze liceali, sgranocchiando semi di girasole alla fermata dell’autobus, parlano di relazioni amorose, com’è normale che sia alla loro età. Ma, in questo caso, i loro ragazzi sono dei militari dell’esercito ucraino.

La presenza militare torna anche nel terzo episodio ambientato in un posto di blocco di una stazione di servizio bombardata e vede protagonista un direttore di scuola alla guida di un miniautobus che, ubriaco e senza documenti, deve vedersela con un soldato, un comandante ucraino; oppure, ancora, nel quarto episodio, al limite tra l’ironico e il grottesco, in cui un militare viaggia con un’infermiera che vuole riportare il corpo del soldato amato a casa: vuole riportare letteralmente il solo corpo, dal momento che è stato decapitato dalle forze armate separatiste.

Dal grottesco Vorožbyt passa al triviale, quando nel quinto episodio della pièce si racconta la storia di una giornalista ucraina catturata da un militante delle forze d’occupazione che tenta di violentarla, attaccandola fortemente anche a livello verbale. Le parole saranno anche l’unica arma che la giornalista giocherà contro di lui.

Il sesto e ultimo episodio chiude questa narrazione in modo inaspettato, in cui sembra di rivivere Dogville di Lars Von Trier: questo è l’unico inventato e vede protagonista una donna che per sbaglio investe la gallina di due contadini. La donna cerca di sdebitarsi ma i contadini alzano sempre più la posta in gioco.

Il film è stato realizzato in due versioni differenti: una versione dedicata alla distribuzione ucraina della pellicola, in cui sono entrati a far parte solo cinque episodi della pièce (tutti ad eccezione del primo), e una versione per la distribuzione internazionale, in cui sono stati selezionati solo quattro episodi, escludendo l’episodio introduttivo e quello dell’infermiera. Questa scelta forse può essere un tentativo di bilanciare meglio il peso delle figure maschili e femminili: da molti, infatti, il film viene considerato come una narrazione della guerra dal punto di vista delle donne, ma in realtà è un tema che coinvolge l’uomo in quanto essere vivente, indistintamente dal genere, “dipinge la violenza che esce fuori dal nulla e scatena grandi conflitti”, mostra come singole persone di età diversa e in contesti separati affrontano la violenza, imparano a gestire la paura e a contrastare l’odio. La sola speranza che Vorožbyt ha “è che la guerra allenti la presa dal cuore degli uomini aprendo la via verso una nuova epoca”.

La pellicola può essere considerata un tentativo completamente riuscito di trasposizione dalla pagina allo schermo, in cui la matrice teatrale traspare lievemente, come nella scelta di utilizzare piani sequenza abbastanza lunghi, oppure nel peso che i dialoghi giocano nel film, tramite cui traspare il lato caratteriale dei personaggi e che concedono al film delle note ironiche –  come nell’episodio del direttore di scuola in dialogo con il soldato e il comandante –.

Un altro fattore importante, che fa trasparire invece l’origine documentaria alla base di tutto, è la lingua: nel film, così come nella pièce, i dialoghi sono recitati in russo e in ucraino – e in suržyk a base ucraino-russa, la lingua in cui elementi del russo e dell’ucraino vengono uniti insieme – : questa non la si deve considerare come una presa di posizione ideologica, quanto piuttosto come la volontà da parte della regista di rispecchiare una specifica realtà linguistica che, in Ucraina, a seconda delle regioni, come nel caso del Donbas, è particolarmente variegata. Una scelta discutibile, ma che sicuramente non tradisce l’intento realistico alla base dell’opera.

Pohani Dorohy è stato ritenuto da alcuni la conclusione della cosiddetta trilogia militare che comprende anche il documento Donbas (2018) di Sergej Loznica e Atlantyda (Atlantis, 2019) di Valentyn Vasjanovič, ma potrebbe piuttosto essere considerato il punto di congiunzione tra i primi due e Zabuti (The Forgotten, 2019) di Darija Onyščenko, molto più vicino al film di Vorožbyt nel tema e nella rappresentazione di come la storia viene “subìta” dalle persone. Una storia che in Ucraina, ormai da anni, si chiama guerra.