Martina Greco
Pubblicato nel 2015, Područje bez signala (“Zona senza segnale”) è il secondo romanzo di Robert Perišić, scrittore croato di grande fama internazionale. L’opera è stata edita in Italia da Bottega Errante, nella traduzione di Elvira Mujčić che ha sostituito al titolo originale il più accattivante I prodigi della città di N.. Entrambi i titoli risultano carichi di ironia e significati metaforici che si intrecciano tra loro, come le vite dei personaggi che compongono il romanzo. Il titolo croato, Zona senza segnale, rimanda all’immagine di un posto remoto, tagliato fuori dal villaggio globale, uno di quei paesini dimenticati dove non è ancora approdata la globalizzazione omologatrice, dove avvengono ancora eventi prodigiosi che, a ben vedere, di prodigioso non hanno nulla. Come ci insegna l’autore, infatti, la realtà è troppo complessa e ingarbugliata perché i prodigi non siano altro che una copertina invitante per chi ha ancora bisogno di credere in qualcosa.
Link al libro: https://bottegaerranteedizioni.it/product/i-prodigi-della-citta-di-n/
La storia prende inizio con l’arrivo di due cugini, Nikola e Oleg, in un paesino di montagna la cui collocazione esatta non è specificata, ma che, come si ha modo di appurare nel corso della lettura, rientra sicuramente all’interno dei confini politici dell’ex Jugoslavia. Ciò che li conduce in questo villaggio sperduto è l’intenzione di riaprire una fabbrica ormai abbandonata, per produrre due turbine da consegnare illegalmente a uno Stato socialista sotto embargo internazionale. Nonostante la motivazione di fondo sia tutt’altro che romantica, l’impresa si trasforma presto in un’avventura ricca di pathos, non del pathos epico che caratterizza le storie dei grandi eroi, ma di quel pathos sommesso, diluito e reale, frutto di grandi dispiaceri e piccole gioie, di illusioni, delusioni e rimpianti, che scaturisce dalla storia soggettiva di ogni essere umano. La soggettività nello specifico ha un ruolo fondamentale nel romanzo, poiché le voci e le vite dei protagonisti si alternano e si intrecciano continuamente, inserendosi in una dimensione corale in cui ognuno è diverso, ma tutti si realizzano, crescono e si formano solo attraverso la relazione con l’altro. Per dirla con uno dei personaggi:
“Il mio io, questo io che si rigira nella lingua, che si deposita nella grammatica, che si sedimenta in questo corpo abbandonato, il mio io è un nascondiglio di cartone […] allora dico il nostro io, perché in ogni caso è io, Sobotka, la base per un Dio, perché siamo tutti io: lo senti anche tu, lo sento anche io, siamo uniti nell’io. Ci hai mai riflettuto, Sobotka, che tutti sono io? E che tutti dicono “io”, pensando la stessa cosa, a questa cosa dentro che difendono, ma che difendere non si può? Che dici Sobotka, questo significa che siamo tutti lo stesso essere, sparpagliato ma lo stesso, lo stesso sentire, lo stesso inganno, la stessa bugia” (p. 331)
L’ambientazione del paesino sperduto permette all’autore di creare un’opera comunitaria in cui nessuno spicca e ognuno arricchisce con la propria esperienza personale la storia collettiva, una storia fatta di persone che hanno vissuto in maniera diversa eventi simili, dai quali ognuno è uscito con una propria cicatrice, con un marchio di una forma particolare, e tutti questi marchi, uniti dal filo conduttore della narrazione, formano un puzzle variegato e affascinante di vite vissute in condivisione e in solitudine. L’alternanza tra dimensione privata e dimensione collettiva è resa a livello stilistico tramite un continuo passaggio dalla prima alla terza persona, da una narrazione esterna delle vicende a una serie di narrazioni interne attraverso le quali ogni protagonista si lascia andare a riflessioni intime, come in un diario segreto. In questo modo al lettore è concessa la possibilità di conoscere non solo gli avvenimenti, ma anche il punto di vista, le ansie e le speranze di ogni singolo soggetto della narrazione. Così Oleg, presentato inizialmente come un affarista beffardo, privo di qualunque traccia di moralità, si rivela pieno di rimorsi e capace di un affetto sconfinato; Nikola, nemesi di Oleg, inetto e insicuro, finisce per prendere in mano le redini dell’intera situazione; Sobotka, lavoratore indefesso e capo degli scioperanti ai tempi del socialismo, svela le amarezze e le delusioni che hanno accompagnato le sue vittorie. E piano piano, andando avanti con la lettura, si scoprono i conflitti interiori di Erol e la sua ossessione per Amleto, la follia autoindotta di Slavko, l’ansia di realizzazione di Šeila, il desiderio di libertà di Branoš, il pragmatismo di Lipša e i deliri lucidissimi di Nedra.
Utilizzando l’ espediente gogoliano dell’arrivo di un personaggio esterno, l’autore dà voce agli abitanti di un paesino di provincia che sembrava sprofondato nell’oblio delle mancate opportunità. Il parallelismo con Gogol’ e, in particolare, con la sua commedia satirica L’ispettore generale (“Revizor”), è reso evidente dal (non) nome del luogo in cui è ambientata la vicenda: la città di N. In entrambe le opere la città di N. è un posto isolato, remoto e addormentato i cui meccanismi sociali si riattivano a seguito di un’intrusione inattesa dall’esterno. Se i personaggi gogoliani gettano in quest’occasione la propria maschera svelando la grettezza delle loro abitudini, gli abitanti della città di N. creata da Perišić approfittano della nuova scintilla vitale per fare i conti con un passato ingombrante, i cui resti erano rimasti depositati in un angolo, come un’allucinazione inquietante che si preferisce ignorare. La riapertura della fabbrica di turbine, che fino al crollo del socialismo aveva costituito il cuore pulsante dell’intera cittadina, diventa una spinta per fare i conti con ciò che fino a quel momento gli abitanti di N. avevano trascurato: la memoria. Riemergono così, tra i lavori di ricostruzione, i ricordi del socialismo, un sistema che voleva essere perfetto ma aveva fallito, i ricordi della guerra, un conflitto che fino al giorno prima sembrava impossibile a quegli stessi che il giorno dopo si erano ritrovati da soli in una terra distrutta, con le mogli e le figlie all’estero, diventate estranee a loro e al loro paese. E infine, si fa i conti con un nuovo sistema, quello capitalista, che ha promesso e deluso, sedotto e abbandonato. Nei ricordi dei personaggi la grande storia si scontra con le vicende personali degli uomini comuni, generando un’esplosione di detriti fatti di timore, ansia, follia, amore, affetto e morte. E attraverso quest’esplosione essi si liberano del peso della dimenticanza, regalando al lettore le proprie esperienze di vita, all’apparenza semplici ma in realtà molto complesse. Una delle tematiche centrali del romanzo è proprio l’opposizione tra apparenza e realtà, tra copertina e contenuto, tra semplicità e complessità. L’opera funge in questo senso da lente di ingrandimento attraverso la quale si riescono a scorgere i dettagli più segreti e intimi che complicano e arricchiscono ogni episodio apparentemente ordinario.
Cresciuto in un mondo in cui la retorica semplificativa si è rivelata il più potente strumento di distruzione di massa, Perišić dà vita a un vero e proprio inno alla complessità, individuando nella letteratura uno dei pochi mezzi ancora in grado di indagare la realtà e l’uomo senza sprofondare in rappresentazioni tanto definitive quanto fuorvianti.
Apparato iconografico:
Immagine di copertina: http://www.kriticnamasa.com/item_en.php?id=1490