Se la babuška è una dispotica matriarca russa: “La treccia della nonna” di Alina Bronsky

Sara Deon

 

Dopo il grande successo in Italia di L’ultimo amore di Baba Dunja di Alina Bronsky, pubblicato da Keller Editore nel 2016, l’autrice tedesca di origine russa ritorna quest’anno in traduzione con La treccia della nonna, pubblicato lo scorso gennaio presso la stessa casa editrice. 

Link al libro: https://www.kellereditore.it/2022/01/27/la-treccia-della-nonna/ 

Donne caparbie, coriacee, indipendenti ma nostalgiche di un senso di comunità a loro estirpato per disparate ragioni: a un primo livello sembra questo ad accomunare le due opere della scrittrice pubblicate finora dalla casa editrice. A un’analisi più profonda, però, Bronsky indaga molteplici aspetti sotto la trama dell’esperienza femminile: storie di migrazione e le difficoltà di integrazione, il conflitto generazionale tra madri e figlie, l’alienazione esasperante di donne verbose che parlano sempre senza essere mai capite. Se da un lato Baba Dunja ritornava al suo villaggio come prima samosela (termine per definire i residenti abusivi che, dopo il disastro di Černobyl’, tornarono nelle aree contaminate), inaugurando la ricostituzione di una comunità di qualche anima senescente, la protagonista di La treccia della nonna si lascia alle spalle un Paese a cui non farà più ritorno. 

Infatti, l’ex ballerina russa Margarita Ivanovna – chiamata affettuosamente Margo –  è emigrata dal suo Paese col marito Čingiz e il nipote Max verso la Germania, ossia verso la promessa di una nuova, libera esistenza per l’intera famiglia. Approfittando scaltramente di remote origini ebraiche, i tre ottengono lo status di rifugiati. Tuttavia, al suo arrivo in Germania Margo viene travolta dalle fobie e dai sospetti: il terrore verso i turchi e il suo forte antisemitismo, l’ossessione per i germi che si annidano ovunque, il disgusto per tutti i cibi che contengono zucchero, la maniacale sorveglianza nei confronti del nipote persino all’interno delle aule scolastiche. Fin dalle prime pagine, il Nuovo Mondo tedesco per il trio assume le forme di un regno del terrore, costantemente vessato dalle critiche e dagli ordini della sua unica sovrana – Margarita Ivanovna. In particolare, è sul nipote Max che ricadono le ossessioni della nonna, che si traducono in un continuo mortificarlo come un bambino dalla salute cagionevole e dall’intelletto poco sviluppato. Invece, è proprio Max a svelare al lettore la realtà di ogni giorno dell’eccentrico trio, tra difficoltà linguistiche e shock culturale. 

Così attraverso lo sguardo infantile – ma non per questo meno lucido e attento – del nipote Max si rivela fin da subito la pressoché inesistente agency del nipote e del nonno Čingiz, costantemente alla mercé della baba russa: ora devono aiutare le vicine a traslocare, ora devono mangiare la pappa d’avena e rifuggire qualsiasi leccornia, ora devono affidarsi esclusivamente a lei perché sennò è morta certa.

Oltre al trio citato,  infatti, ci sono altri due personaggi principali, accomunati dalle origini russe: la pianista ebrea Nina e la figlia Vera, coetanea di Max. In quello che gradualmente diverrà l’allargamento della famiglia nucleare con l’inclusione di Nina e Vera, a Margarita Ivanovna, sempre attenta a qualsiasi micro-dettaglio, sfuggirà un drammatico cambiamento che è sotto agli occhi di tutti: la relazione adulterina del marito Čingiz con Nina. Tuttavia, nell’inevitabile scoperta del tradimento, l’autrice disattende le aspettative comuni del lettore: Margarita non si infurierà con Nina, bensì vedrà la possibilità di una nuova, più estesa famiglia. 

La nonna non riusciva a decidere se detestasse di più le città grandi o quelle piccole. Odiava il posto in cui eravamo andati a vivere e da quando Nina si era trasferita non ne faceva più mistero. Aveva ormai interiorizzato il fatto che si fosse fatta seppellire viva in provincia esclusivamente a causa mia, mentre le altre donne esponevano le proprie famiglie ai pericoli delle metropoli sull’onda di capricci deplorevoli. Aveva dimestichezza con le grandi città e la nostra emigrazione era stata una fuga non solo dal futuro, ma anche dai gas di scarico e dalla criminalità, sebbene non disdegnasse nemmeno lei l’atmosfera stimolante delle metropoli. Durante i primi anni in Germania ero fermamente convinto che non sarei sopravvissuto due minuti a Francoforte.” (p. 184)

La treccia della nonna, che dà il titolo all’opera, diventa una sorta di figura retorica. Max è spesso testimone del rituale di tintura e cura dei lunghi capelli rossi della nonna, e lo stesso stato della treccia segnala il cambiamento di umore e l’evoluzione della donna. In molti popoli slavi, la treccia delle donne era considerata alla stregua della barba per gli uomini: depositaria della forza vitale femminile. Il graduale degradamento nel corso del romanzo della sua acconciatura, fino a un cambiamento che segnala una drammatica rottura, segnala non solo l’evoluzione naturalmente non lineare di Margo in quanto individuo soggetto a stravolgimenti personali e collettivi, ma anche in quanto donna russa emigrata forzatamente in un altro Paese che per lungo tempo continua a risultarle ostile.

Fermo-immagine dal videoclip della canzone “Грустная Сука” della band russa IC3PEAK

La protagonista esaspera fino allo stravolgimento la celeberrima massima tolstojana sulle famiglie infelici: in questo breve romanzo la disfunzionalità non ammette spazio per la felicità o l’infelicità in famiglia, tutti sono dominati dalla matriarca Margarita Ivanovna. Il suo è un affetto mostrato per contrasto, per mezzo della cattiveria e di un pungente sarcasmo; e tuttavia non si ha alcun dubbio che di amore si tratti. Per di più, i modi affettati e sguaiati di Margo, pur rendendola un personaggio scomodo, ne sottolineano la forza decostruttrice: Margarita si sottrae al patto sociale che ammette nella femminilità solo la pura compostezza, gentilezza e remissività. In questo micro-cosmo lei non è moglie acquiescente e nonna premurosa, bensì regnante al limite del dispotismo. È proprio nel suo essere imperfetta fino all’antipatia che Margo rivendica le complessità dell’essere donna, migrante, nonna e moglie, generando così una figura letteraria impossibile da dimenticare.

 


Apparato iconografico: 

Immagine copertina: https://www.neuepresse.de/Nachrichten/Kultur/Alina-Bronsky-ueber-Tschernobyl-und-die-greise-Heldin-ihres-neuen-Romans 

Immagine 1: https://clippz.ru/ic3peak/video/grustnaya-suka_q0dg1v3b.html