“La notte di Valpurga” di Gustav Meyrink: dove il confine scompare

Silvia Girotto

 

Tra Ottocento e Novecento proliferano in Europa nuove correnti artistiche e letterarie in risposta al cambiamento dell’epoca. Con l’industrializzazione e i continui progressi scientifici, la velocizzazione della vita del singolo porta con sé la necessità di un cambiamento anche del mercato editoriale. I gusti variano e sempre più sono gli autori e le autrici che hanno possibilità di diffondere le loro opere e i loro generi. Questo porta a un incremento non solo di testi egregi dal punto di vista stilistico e tematico, ma anche di produzioni intrappolate nel concetto di Trivialliteratur, che comprende i testi che condividono lo scopo di vendere il più possibile. È la “letteratura di consumo” e ricadono in questo ambito i più disparati generi, dai romanzi rosa ai libri di avventura.

In tale cornice viene incasellata anche la cosiddetta “letteratura fantastica”, definita oggigiorno come un ‘modo’ più che un ‘genere’, per cui la si riconosce come una categoria ampia, non propriamente codificata ma che si differenza in maniera chiara da generi quali fantascienza e fantasy. Cvetan Todorov mostra ne La letteratura fantastica (“Introduction à la littérature fantastique”, 1970) in primo luogo la difficoltà nel definire un genere letterario, ma spiega successivamente cosa intenda lui per fantastico:

Così penetriamo nel cuore del fantastico. In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote.” (p. 26)

Todorov identifica in questo paragrafo la peculiarità del fantastico: la sensazione di costante incertezza durante la lettura, il dubbio che le immagini proposte possano essere vere, ma senza indizi determinanti in tal senso. Per l’autore il fantastico è “il lasso di tempo di questa incertezza” e, come ribadisce Margherita Cottone in La letteratura fantastica in Austria e Germania (1900-1930). Gustav Meyrink e dintorni (2009), questa “categoria dell’indecisione” aiuta a distinguerla dalla fantascienza, in cui le leggi che dominano il mondo rappresentato appaiono possibili in futuro o in un mondo ‘altro’, e dalla fantasy, dove viene accettato tutto come senza spiegazione logica.

Questa logica dell’incertezza appare una strada percorribile a molti tra autori e autrici, che talvolta decidono di dedicarsi in toto a questo ambito, risultando tuttavia – come accennato – scrittori di letteratura di consumo. Sono presenti lavori di importanza discutibile e strabordanti clichés, tuttavia quasi ogni autore o autrice della Jahrhundertwende si dedicherà almeno una volta a questo ambito letterario. È il caso di Schnitzler con Traumnovelle (“Doppio sogno”, 1925-26), di Thomas Mann con Der Kleiderschrank (“L’armadio”, 1899), ma anche di E. T. A. Hoffmann con diversi racconti all’inizio del secolo precedente.

La letteratura fantastica risulta di grande diffusione tra Ottocento e Novecento soprattutto in Austria e Germania, vista la necessità di reagire all’ordine borghese e al razionalismo illuminista. La fiducia nella scienza deve essere minata poiché appare inquietante, come nell’opera di Hoffmann Der Sandmann (“L’uomo della sabbia”, 1816), in cui il progresso scientifico porta con sé immagini distopiche. Obiettivo di tale progresso è la cancellazione della paura attraverso la dimostrazione che tutto obbedisce a regole precise. Tale paura, che gli autori di letteratura fantastica vogliono riportare in auge in quanto fondamentale nell’esperienza umana, pervade le loro opere in quanto fonte di piacere.

Gustav Meyrink (1868-1932) nella sua opera racchiude perfettamente questi sentimenti di opposizione al razionalismo, mostrando in particolar modo la declinazione del sentimento antiborghese nell’impero asburgico. Nel romanzo Walpurgisnacht (“La notte di Valpurga”, 1918) è evidente la contrapposizione tra l’immobile e razionale borghesia e la reazionaria massa popolare. La storia è infatti ambientata in una Praga divisa a metà: la parte alta, sicura e rispettabile, e il quartiere Nuovo Mondo, la Praga popolare. I due ambienti sono fisicamente e socialmente divisi, non vengono a contatto tra loro se non in rari casi, fino a quanto il dottor Flugbeil, medico di corte, non incontra nella dimora della sua conoscente – la Contessa Zahradka – una figura spettrale: essa pare essere in un primo momento il fratello deceduto di uno dei presenti per rivelarsi poi Zrcadlo, un attore pazzo proveniente dal Nuovo Mondo. L’inganno scuote il cuore e la mente di Flugbeil, che una volta solo si accorge che quella in corso è la notte di Valpurga, il momento in cui secondo le leggende popolari creature magiche e maligne si ritrovano per i loro sabba, momenti in cui possono verificarsi eventi incredibili.

L’intera vicenda è basata sulla contrapposizione tra due immagini, tra due realtà differenti che vengono a contatto, rispettando in tale modo proprio quella definizione di fantastico che Todorov offre. In primo luogo, la notte di Valpurga è appunto il momento in cui realtà e magia si incontrano/scontrano, non permettendo più a Flugbeil di distinguere ciò che è da ciò che sembra. In secondo luogo, la stessa ambientazione rispecchia questa suddivisione, non solo con l’opposizione mondo popolare/mondo borghese, ma anche con la scelta della stessa Praga, “soglia” tra Oriente e Occidente in un impero che già era considerato l’ultimo baluardo d’Europa. Due ambienti quindi vicini tra loro ma in contrapposizione, come lo sono anche il mondo del fantastico e del reale, con un debole confine a dividerli. Un confine talmente sottile che i due aspetti della città si toccano in maniera angosciante ed estremamente intensa nel momento in cui il Flugbeil cerca Lisa la Boema con il suo cannocchiale. Lo stesso strumento è presente anche nel racconto Der Sandmann, in cui Nathanael osserva l’automa Olimpia dalla finestra per la prima volta e inizia così il suo percorso verso la pazzia, passando proprio dal mondo reale, in cui tutto può essere spiegato, a quel limbo di incertezza che è l’ambito fantastico.

Ulteriore rappresentazione di questa divisione è il personaggio di Zrcadlo, il cui nome significa “specchio” in lingua ceca, trasmettendo l’idea di due immagini – una vera e una falsa, ma indistinguibili – che si contrappongono. È in presenza di Zrcadlo che si verificano alcuni degli eventi più sconcertanti della narrazione, come se tale presenza sancisse lo scontro tra mondo reale e magico con una conseguente sensazione di angoscia causata da un evento ricollegabile al concetto di Unheimlich (tradotto comunemente come “perturbante”) di Freud. Questo rimanda all’idea di qualcosa di conosciuto, di heimlich, che trasmette tuttavia sensazioni di disagio.

Questa idea chiave della narrazione meyrinkiana è espressa attraverso un discorso della figura del Tartaro, che il principale personaggio femminile della storia, Polyxena, ascolta spiegare il concetto di ewli, stregone fachiro della tradizione asiatica in grado di entrare nel corpo di altri esseri umani e parlare attraverso di loro.

“«Un ‘ewli’ è uno stregone fachiro. Uno stregone fachiro ha bisogno di un’altra bocca, altrimenti non può parlare. Perciò sceglie, quando vuol parlare, la bocca di un morto.»

«Allora pensi che Zrcadlo sia un morto?» […]

«Non so, forse è un mezzo… […] Sì, un morto apparente»” (pp. 101-102)

Questo sembra essere ciò che succede proprio a Zrcadlo nel capitolo precedente, che aveva già affermato che nella notte di Valpurga gli spiriti si scatenano liberi nel mondo, in particolare in alcuni momenti della Storia chiamati “notti di Valpurga cosmiche”, in cui “[T]utto sarà sconvolto, quello che sta sopra finirà sotto e quello che è sotto prenderà il suo posto.” (p. 87)

Non è certo un caso che Meyrink decida di utilizzare concetti della tradizione asiatica, essendosi in primo luogo lui stesso interessato a misticismi di matrice orientale, mentre in secondo luogo introdurre la tradizione orientale nella città di Praga simboleggia un ulteriore superamento di quella ‘soglia’ presente in tutta la narrazione. Gli stessi concetti di Oriente e Occidente rimandano tra l’altro alla suddivisione tra ‘spiritualità’ e ‘ragione’ e la stessa Praga è legata a questo misticismo, all’esoterismo e al mistero. L’ambientazione praghese relazionata al concetto di soglia esprime inoltre la condizione della cultura tedesco-ebraica nella città, in particolar modo nel periodo immediatamente precedente la dissoluzione dell’impero austro-ungarico con il fermo emergere delle richieste di maggiore autonomia delle popolazioni annesse all’impero, con un conflitto tra le varie culture che si acuisce sempre più. La situazione dell’ebreo tedesco è proprio quello di costante tensione tra due poli: rifiutato dai tedeschi ma incapace di integrarsi nella comunità ceca, che parla una lingua che gli appare ostile. “Deterritorializzato” è la parola con cui Deleuze definisce l’ebreo tedesco in Kafka. Per una letteratura minore, mostrando come possibili strade in tale condizione da un lato quella percorsa da Kafka, puntare sulla semplicità della lingua deterritorializzandola ulteriormente, e dall’altra la riappropriazione di questo spazio riempiendo la lingua di simbolismi e sensi esoterici. La rielaborazione della lingua ha lo scopo di definirsi in contrapposizione di quella ceca, ma anche della stessa Praga, ostile come la sua lingua. L’immagine che ne deriva è quindi soggettiva, un modo di percepire la città. Praga è quindi identificata come un centro spettrale e inquietante e tale rappresentazione è presente in grande quantità nella letteratura di lingua tedesca. In quanto luogo di esperienze inquietanti, la città è l’ambientazione perfetta per l’incontro tra reale e irreale in un confondersi dei confini tra aldilà e al di qua. Lo stesso Meyrink la descrive così nel breve racconto Die geheimnisvolle Stadt (“La città misteriosa”, 1923):

È come se i morti chiamassero noi vivi fino al luogo dove una volta avevano trascorso la loro esistenza per sussurrarci all’orecchio, che Praga non per caso portava il nome di ‘soglia’ – perché in realtà essa è una soglia tra l’al di qua e l’aldilà, una soglia, molto più sottile rispetto ad altri posti. – Dopodiché si prosegue come sotto un impulso, non si vede e non si sente più nulla di ciò che non si conosceva già prima, ma una sensazione che non si può più dimenticare perfino nell’età più avanzata viene portato a casa – uno strano sentimento, come di aver oltrepassato in qualche modo una soglia.” (p. 127)

La notte di Valpurga offre quindi ai lettori un assaggio delle concezioni spirituali asiatiche, in particolare concentrandosi sull’ambito dell’esoterismo. Meyrink, nato a Vienna ma trasferitosi a Praga negli anni giovanili, incontra in un momento di crisi l’occultismo, di cui diventa profondo conoscitore e maestro, tanto che la sua stessa scrittura ne viene influenzata con immagini e frasi che lo portano ad essere quasi annoverato nell’ambito poetico, tanto intensa è la trasformazione onirica. Marino Freschi, nell’introduzione a La notte di Valpurga, sottolinea l’interesse storico-culturale dell’insegnamento esoterico – la cui origine pare essere proprio asiatica – e ricorda come si parli esplicitamente della loggia del “Fratelli d’Asia” in più di una sua opera. Così Freschi: “Nel libro viene alla luce la metafora esoterica dell’Asia che è poi anche un segnale per la provenienza ‘orientale’ ovvero ebraica degli stesso rituali massonici” (p. XVII). È bene inoltre ricordare come questi riferimenti all’Oriente non siano prerogativa di Meyrink. Anche Kafka ricorre a metafore e riferimenti orientaleggianti, basti pensare a Beim Bau des Chinesischen Mauer (“Durante la costruzione della muraglia cinese”, 1917) e al paragone tra Austria imperiale e impero cinese con il racconto Eine kaiserliche Botschaft (“Un messaggio dell’imperatore”, 1918) per la loro comune immobilità di fronte al progresso. Lo stesso riferimento è riscontrabile in Kubin, come ricorda Ripellino in Praga magica (1973): in Die andere Seite (“L’altra parte”, 1907) l’autore situa la città di Praga nel cuore dell’Asia, cambiandole nome in Perla.

La letteratura fantastica di Meyrink si avvale di ulteriori peculiarità della letteratura dell’epoca. In primo luogo, il Grauen, ovvero l’orrore, il crudele e scioccante, presente in maniera esemplare in Das Wachsfigurenkabinett (“Il baraccone delle figure di cera”, 1908) con la narrazione del tentativo di fare sopravvivere separatamente parti del corpo umano. In secondo luogo – particolarmente visibile in Walpurgisnacht – l’erotismo, collegato al Grauen attraverso la figura della donna-vampiro. All’interno del filone della letteratura fantastica viene approfondito e sviluppato il tema del vampirismo in comunione con l’immagine della femme fatale, arrivando – come afferma Cottone in La letteratura fantastica in Austria e Germania – a contrapporre all’uomo satanico l’immagine “della donna demoniaca, della ‘Belle dame sens merci’, il cui fascino è ancora più forte da defunta” (p. 52). Nel caso di Walpurgisnacht questa figura è Polyxena, la giovane aristocratica che non è davvero un vampiro, ma ne possiede le caratteristiche principali. Osservando il ritratto di un’ava, Polyxena nota la sua somiglianza con la donna e mostra una tendenza per il sangue che viene definita da Meyrink addirittura come un “amore”. La ragazza passeggia per Praga alla ricerca di tutti i luoghi in cui è stato versato del sangue e nei suoi incontri sessuali con il giovane Ottokar lei gli morde il collo.

La torre Daliborka a Praga, ambientazione del discorso di Ottokar negli ultimi capitoli di “Walpurgisnacht”. Nella storia Polyxena si nasconde al suo interno per assistere all’evento.

Polyxena è in ogni caso solo una tra le tante figure che nel romanzo portano verso il dubbio e il caos: quella di Meyrink è, come dice Cottone,

“[…] una Praga sconvolta e irredimibile, una città ‘di pazzi e assassini’, dove tutto precipita verso la distruzione e la fine. […] una visione apocalittica […] che Meyrink ancora nel saggio ‘Die Stadt mit dem heimlichen Herzschlag’ sembra confermare.” (p. 97)

Come si può appunto osservare anche nei suoi saggi e in altri racconti, Meyrink non si allontanerà mai da questa visione di Praga. Essa rimane la città del fantastico vero e proprio, un luogo il cui fascino risiede nella possibilità di crogiolarsi nell’incertezza.

 

Bibliografia:

Angelo Maria Ripellino, Praga magica, Torino, Einaudi, 1973.

Cvetan Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1977.

Gilles Deleuze, Félix Guattari, Kafka. Per una letteratura minore, Macerata, Quodlibet, 2021.

Gustav Meyrink, An der Grenze des Jenseits. Erzählungen und Essays. 1923-1932, da Eduard Frank, Das Haus zur letzten Latern. Nachgelassenes und Verstreutes, München, Albert Langen – Georg Müller Verlag, 1973.

Gustav Meyrink, (a cura di) Sebastiano Fusco, Gianni Pilo, Il Golem e altri racconti, Roma, Newton Company editori s.r.l., 1994.

Gustav Meyrink, La notte di Valpurga, con introduzione di Marino Freschi, Cles (TN), Edizione Studio Tesi, 1995.

Margherita Cottone, La letteratura fantastica in Austria e Germania (1900-1930). Gustav Meyrink e dintorni, Palermo, Sellerio editore, 2009.

Materiale multimediale:

Infinite Fire Webinar VII – dr. Marco Pasi on Gustav Meyrink and his esoteric novels https://www.youtube.com/watch?v=SPj3QOg8YXA

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina e Immagine 1: https://laantiguabiblos.blogspot.com/2016/06/el-golem-gustav-meyrink.html

Immagine 2:
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5a/Daliborka-Turm_vom_Schlossgarten_-_panoramio.jpg