Marianna Kovács
“Il dolore aiuta a ricordare, non solo il dolore ma tutto, perchè è necessario ricordare tutto, perchè esiste solo quello che ricordiamo, quello che dimentichiamo non c’è più, scompare dal passato, scompare dal mondo.” (p. 62)
György Dragomán è uno dei più interessanti scrittori contemporanei ungheresi. Nasce nel 1973 in Romania, nel territorio della Transilvania abitato dalla minoranza etnica ungherese. All’età di quindici anni si trasferisce con la famiglia in Ungheria, dove tutt’ora vive, scrive e pubblica con discreto successo. La realtà politica, sociale e culturale della Romania, luogo della sua infanzia, è molto presente nelle sue opere. In Italia sono stati tradotti due titoli: Il re bianco e Fiamme.
Il titolo originale di Fiamme è Máglya (rogo, falò), si pronuncia in modo simile, quasi analogo, a mágia (in ungherese la i non palatalizza la velare precedente). Sì, perché gli avvenimenti sono portatori un po’ di realismo magico e un po’ di fantastico. È interessante scoprire che il titolo é stato tradotto in inglese come Bone fire, come se, proprio come in ungherese, si volesse far intuire qualcosa di più rispetto a quello che suscita la sola parola bonfire. Come se il fuoco, il falò, il rogo del romanzo dovesse non solo spazzare via tutto, scheletri compresi, ma anche purificare le anime.
Ci si trova di fronte a una combinazione particolare di storia contemporanea, di esperienza dell’individuo tenuto in scacco e di magia che permea il quotidiano. In quella parte dell’Europa la storia viene vissuta profondamente, a livello fisico e viscerale.
Il romanzo non nomina direttamente il luogo del racconto, ma si può facilmente identificarlo con la Romania, forse addirittura con la Transilvania, patria dello scrittore. Il contesto storico è quello immediatamente successivo alla rivoluzione del 1989, quando il paese sta transitando sulla via tortuosa che porta alla democrazia. I simboli dell’epoca comunista sono appena stati rimossi. Dalle pareti delle scuole sono state da poco tolte o strappate le immagini del compagno generale. Sono ancora freschi i ricordi del falò delle fotografie del regime e dei libri di ideologia socialista. È un’immagine potente: il fuoco distrugge e purifica allo stesso tempo.
“[…] poi correvamo tutte, attraversavamo le sale, le aule, le camere dell’istituto e strappavamo dalle pareti i quadri e le scritte, ho ancora nell’orecchio lo scricchiolio delle cornici e il fragore dei vetri e il sibilo dei cartoni spessi che venivano stracciati, e poi il falò era pronto, faticava ad accendersi finché non avevamo annaffiato i libri dalle spesse copertine rosse con il gasolio che i settimanalisti usano di sabato per oliare il pavimento, e mentre finalmente il fuoco ardeva, mentre il compagno generale ci guardava sorridendo dalle fiamme scoppiettanti, in piedi intorno al fuoco noi avevamo cantato che non c’era più, che era tutto finito, olè olè, finché al posto del falò non erano rimaste che fuligginose schegge di vetro simili a denti neri consumati dalle fiamme.” (p. 13)
In questo ambiente vengono accentuati i piccoli sporchi segreti dei personaggi: cosa hanno fatto e cosa non hanno fatto durante i precedenti regimi, e quanto sono disposti a portare questi fardelli.
L’aspetto magico e quello storico vengono legati dal titolo, più che azzeccato. Da una parte ci sono gli elementi rituali, quasi di stregoneria, e dall’altra il falò dell’inizio del romanzo che i ragazzi dell’orfanotrofio accendono e dove gettano gli oggetti requisiti al generale dittatore non appena vengono a sapere della sua caduta. Il livello più profondo e stimolante della storia è fornito all’inizio proprio da questo elemento: il nuovo mondo distrugge tutto ciò che lo lega al passato un po’ per paura, un po’ per rabbia e un po’ per calcolo e contemporaneamente vuole dare giudizi morali, etichettando tutti come spie o altro. E per fare tutto questo riscrive la storia a piacimento.
La protagonista del romanzo è Emma, una ragazzina adolescente, orfana. I genitori sono morti in un incidente misterioso. La maggior parte degli avvenimenti viene filtrata attraverso la sua percezione. Vive in un istituto da alcuni mesi quando l’unico parente in vita, la nonna – di cui la ragazzina ignora l’esistenza – va a prenderla e la porta a casa.
Da questo momento Emma entra in un mondo nuovo e soprattutto con una persona sconosciuta a cui appartiene d’ora in poi e con cui dovrà creare un legame familiare più stretto. La situazione di partenza è efficace e fortunata per delineare gli sviluppi successivi del romanzo. L’epoca in cui Emma deve crescere è martoriata da tempeste storiche e da traumi individuali. La profondità del destino personale della nonna – nei racconti dei suoi ricordi – prende forma come sfondo degli avvenimenti.
Oltre a tutto ciò, la nonna non è una figura comune, è prodigiosa, anzi, è una maga che non disdegna attività rituali. Con i suoi trucchi da strega fa vedere a Emma i lineamenti del viso della madre nel fondo della tazzina del caffé, fa strani disegni sulla farina mentre impasta i dolci e prepara conserve di noci verdi in modo a dir poco scaltro.
La percezione sofisticata di Emma nella nuova casa è sollecitata da una serie infinita di esperienze. Si potrebbe dire che è proprio la scoperta di questa sensibilità che rende avvincente e vivace il mondo di questo romanzo. Qui la magia è la forma più elementare della coscienza e della percezione, è il continuo sorpasso dell’immaginazione. In questo superamento dei confini l’io può essere anche un altro, ne è un esempio l’immedesimazione di Emma nei suoi familiari, nei compagni e perfino negli animali.
“Non avere paura, cane, sono solo io, ma il cane ringhia e digrigna i denti, e quando provo ad accarezzarlo spalanca la bocca e mi afferra la coscia. […] Sbava, la saliva gli passa fra i denti e mi finisce sulla gonna, ha gli occhi venati di sangue, le sue grandi pupille marroni mi fissano, ci vedo riflesso il mio volto. […] Voglio che mi ubbidisca. Voglio che mi ascolti. Premo forte la mano sulla testa e di colpo ho il naso pieno dell’odore pungente del sapone e del lavaggio, i colori scompaiono, mi vedo il viso dal basso, i miei occhi non sono verdi ma grigi, ringhio, mi fanno male i denti, ma fa male tutto, ma ho della carne in bocca, carne e osso, voglio spezzarli con i denti, è proibito, eppure ho bisogno di mordere, ne sento già il sapore in gola. Non si può. So che non si può. Mi spavento. Spalanco la bocca. Lascio andare la carne. Ho la bocca vuota, la chiudo. Sono tornata in me.” (pp. 99-100)
Anche il ricordo e l’attraversamento del confine tra passato e presente fanno parte di questo processo.
“Le storie più dolorose si possono raccontare solo se chi le ascolta riesce a sentirle come se fossero accadute a lui, come se fossero sue.” (p. 79)
La magia nel romanzo è legata alla coscienza e alla percezione che vengono alimentate dalla capacità di straniamento. Basta l’immaginazione per dare alle cose più comuni e ordinarie un’anima, una vivacità e una nuova forma. Non c’è bisogno di essere per forza iniziati per farlo. Alcune stregonerie della nonna risultano pertanto un po’ forzate, ma la lettura è comunque godibile. È una storia in cui i sogni e le fantasie rendono più sopportabile la goffa brutalità del mondo reale.
“Ora non devo essere testarda, ma furba e bugiarda, non devo concentrarmi sul dolore ma sulla bugia, sulla bugia e sulla verità, l’una può essere esattamente come l’altra, basta volerlo e lo sarà, l’una è una pietra bianca, l’altra è una pietra nera, non importa quale scelgo, perché se la stringo tra le dita e la nascondo nel pugno, scompare nella mia mano, diventa mia, e dal quel momento conosco soltanto io il suo colore e posso farci quel che voglio.” (p. 177)
Da molti punti di vista il romanzo Fiamme è la continuazione della precedente opera di Dragomán Il re bianco: in entrambi i testi viene rappresentato il mondo attraverso gli occhi dei bambini, Dzsáta è il protagonista nel primo libro e Emma nel secondo. Entrambe le storie si svolgono in una Transilvania semi-immaginaria, ma mentre in Il re bianco una delle domande principali è come si può vivere e sopravvivere in una rigida dittatura, come perseverare, come alimentare l’individualità e la libertà nell’oppressione, in Fiamme ci si interroga su cosa può fare l’individuo quando all’improvviso arriva (almeno sulla carta) la libertà, ma le rovine, le memorie e i rappresentanti del sistema precedente pervadono ancora il presente.
Il mondo di Emma è diverso proprio per le caratteristiche del luogo e del momento storico. Fiamme è ambientato solo pochi anni dopo Il re bianco, ma si tratta di un periodo fatiscente, a pezzi e che cerca di riprendere una qualche forma. La rivoluzione è finita ma gli eroi morti aspettano ancora di essere seppelliti. La ricerca dei capri espiatori è in corso, la ripugnanza sorda, ma periodicamente palesata contagia anche Emma. Non si tratta di un momento più conciliante rispetto all’epoca de Il re bianco: ora l’odio si riversa sui peccatori del regime.
La domanda importante del romanzo è quindi come affrontare i traumi individuali e nazionali in un mondo che cambia e che fa fatica a fare i conti con il proprio passato. Si deve mantenere viva la memoria delle cose peggiori, parlarne, o è più saggio tacere e dimenticare? Si può vivere una vita normale e piena nonostante aleggino gli spiriti del tempo andato, non solo in tutto il paese ma anche nella propria casa?
“Nonna dice che posso tacere, a volte è più facile. Ma devo sapere che più a lungo taccio più difficile sarà tacere ma anche parlare. […] Dice che una volta anche lei aveva taciuto a lungo, tanto a lungo da perdere quasi la capacità di parlare. […] Dice che allora nonno la aiutò. La aiutò raccontandole la sua storia, le sue storie.” (p. 79)
Una delle frasi più importanti del libro fa riflettere su cosa si è disposti a fare per i propri ideali e fa capire la logica delle persone intimidite dalla dittatura:
“Tutta la vita del nonno parla del no, ma per questo qualcun altro doveva dire di sì al posto suo. Altrimenti non si sarebbe salvato.” (p. 302)
I sentimenti vorticosi che nel romanzo emergono attraverso Emma sono sufficienti per affascinare il lettore. Tuttavia, da questo punto in poi le storie raccontate dalla nonna riaprono le ferite e fanno capire quanto siano pesanti i macigni della vita precedente. Scopriamo come aveva aiutato a nascondere gli amici ebrei, quale importanza e segreto ricopriva allora la legnaia da dove Emma periodicamente sente provenire un pianto misterioso. La nonna racconta perché e come è finita in manicomio, quali erano i suoi traumi insostenibili.
Da questo punto di vista il presente del romanzo non è altro che il passato vissuto dalla nonna, la sua replica. Potrebbe trattarsi di una ripetizione rituale o del superamento del confine temporale, la fusione del presente e del passato.
Verso la fine del romanzo viene allestito un altro falò con i rami delle piante del giardino della nonna su cui viene inciso tutto ciò di cui le due donne vogliono liberarsi e ciò che desiderano. Nella danza attorno al falò viene coinvolta anche Emma e non è difficile notare il riferimento magico e rituale. In questa scena viene modellato l’uomo di argilla in modo curioso e astuto in quanto prende vita dalla terra umida e scivolosa ai piedi delle due protagoniste.
“Nel fango argilloso giace una figura, ha tronco, testa, braccia, gambe. È fatta di terra, d’argilla, sul petto e sulla testa vedo le impronte dei nostri piedi. […] Nonna parla, mi dice di tirare, di non avere paura. È solo un uomo d’argilla, si chiama Osso della Terra. Sarà il nostro servo, abiterà nella legnaia, l’abbiamo evocato perchè ci sorvegli. Non dico nulla, tengo saldo il braccio dell’uomo d’argilla, è sodo come se dentro ci fosse dell’osso. Lo tengo e tiro con forza.” (pp. 280-281)
Questa storia funziona davvero come una magia. Il confine tra realtà ed eventi magici è sfocato, alla deriva dell’immaginazione e dei fatti accaduti. Tutta la storia scorre e fluttua a volte in modo triste a volte ansioso, oppure semplicemente nella forma del ricordo. È un romanzo magico e stimolante che vale la pena di leggere più volte perchè è serio, ma non pesante e soffocante. È introspettivo ma non straziante e banale. È discretamente sincero e toccante, ma non calcolato. È istruttivo ma non didascalico. Misura e affascina, ma non è né rigido né vertiginoso.
Bibliografia:
György Dragomán, Il re bianco, Torino, Einaudi, 2009
György Dragomán, Fiamme, Torino, Einaudi, 2017
György Dragomán, Máglya, Budapest, Magvető, 2014
Sitografia:
https://www.holmi.org/2014/12/bazsanyi-sandor%E2%80%93santha-jozsef-ket-biralat-egy-konyvrol-dragoman-gyorgy-maglya (ultima consultazione: 27/01/2022)
http://www.kalligramoz.eu/Kalligram/Archivum/2015/XXIV.-evf.-2015.-oktober/Imago-k-Dragoman-Gyoergy-Maglya (ultima consultazione: 27/01/2022)
http://www.jelenkor.net/userfiles/archivum/Jelenkor%202015-3.pdf (ultima consultazione: 27/01/2022)
https://felonline.hu/2015/02/22/az-emlekezet-feher-foltjai-dragoman-gyorgy-maglya/ (ultima consultazione: 27/01/2022)
https://cultura.hu/aktualis/dragoman-gyorgyot-dicserik-a-kritikusok/ (ultima consultazione: 27/01/2022)
https://www.nytimes.com/2021/02/23/books/review/gyorgy-dragoman-bone-fire.html (ultima consultazione: 27/01/2022)
Apparato iconografico:
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