Ekphrasis e macerie. Uno sguardo sulla poesia di Marie Luise Kaschnitz

Traduzione a cura di
Piergiuseppe Calcagni
Martina Mecco
Simone Scarlata

 

La letteratura tedesca del Novecento cela ancora, almeno per quanto riguarda il panorama editoriale italiano, voci femminili che godono di poco spazio. Un caso è quello di Marie Luise Kaschnitz, nata a Karlsruhe nel 1901 presso una famiglia aristocratica e morta a Roma nel 1974. Nata in una Germania che ancora non aveva conosciuto gli orrori della guerra e del Nazismo, Kaschnitz si ritroverà presto vincolata a spostarsi proprio a causa di questi avvenimenti e, soprattutto, a riflettere su questioni morali a essi connesse. Un’evasione sembra essere, ad esempio, quella proposta nelle liriche pubblicate tra 1942 e 1943 sul “Frankfurter Zeitung”. Evasione delineata in modo consapevole, basti pensare all’immagine proposta nella primissima strofa di Strom der Zuversicht, dove l’idilliaca dimensione tardoestiva del campo di grano viene rotta da un fulmine di morte. Qualche anno più tardi, in occasione del Büchner-Preis a lei conferito nel 1955, Kaschnitz parlerà della sua produzione poetica di quegli anni in termini di “espressione della nostalgia [Heimweh] di una vecchia innocenza o il desiderio [Sehnsucht] di un mondo dettato dallo spirito e dall’amore”. Un’indagine espressiva che conduce il lettore alla “natura dell’uomo”, natura che da intendere secondo un altro passo nuovamente tratto dalle parole dell’autrice: “non siamo dei politici, non siamo degli eroi, abbiamo fatto dell’altro…”.

L’esordio di Kaschnitz avviene, però, nell’ambito della prosa con Liebe beginnt (“L’amore ha inizio”), pubblicato nel 1933, lo stesso anno in cui comparvero in pubblicazione anche le sue prime liriche. La sua produzione poetica si presenta diversificata, sebbene le tematiche siano spesso orientate a descrivere avvenimenti esperiti dall’autrice stessa, creando così un corpus poetico profondamente intinto di materia autobiografica. Basti pensare alle numerose liriche dedicate – secondo una modalità in parte analoga a quella adottata da Ingeborg Bachmann – all’Italia, dove Kaschnitz ebbe modo di soggiornare in diverse occasioni con il marito archeologo. Affascinante è il legame creatosi con le città italiane, soprattutto quelle del Mezzogiorno: ad essere ritratti sono panorami che rasentano in parte la romantica poetica del sublime, dove l’io lirico – quasi mai esplicitato – è attento osservatore. A questo, si aggiungono liriche esistenziali di carattere più riflessivo, come ad esempio Niemand (“Nessuno”) o Verdächtiges Ich (“L’io sospetto”). Non bisogna dimenticare, inoltre, l’attrazione di Kaschnitz per la dimensione del mito, consolidata in Nacherzählungen, considerate da Michele Cometa come “il vertice della sua produzione in prosa” e realizzate, come diverse delle sue liriche, in un contesto profondamente autobiografico. Tanto nelle Nacherzählungen, quanto nella produzione poetica diviene fondamentale veicolare la comunicazione attraverso la costruzione di immagini che ne racchiudano e ne dispieghino il significato. Aspetto che, però, si complica se si pensa a come Kaschnitz ammetta di non essere veramente in grado di spiegare il legame che si cela tra immagine e parola.

Il suo rapporto con l’Italia, suggellato dai suoi componimenti, emerge anche all’inizio del suo discorso tenuto in occasione della vincita del prestigioso Büchner-Preis, già citato precedentemente. Kaschnitz esordisce infatti affermando: “La poetessa delle macerie, die Traumdichterin, mi ha definita non tanto tempo fa un periodico italiano…”. Questo appellativo di “Trümmerdichterin” non è tanto da intendersi come una tensione a rappresentare l’infranto, quanto una tensione continua a ricomporlo. Ricostruire le macerie tanto quanto i significati sembra essere, dunque, uno dei motivi che animano la poesia kaschnitziana, sebbene nel suo insieme tutto “steht noch dahin” – è ancora incerto.

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Marie Luise Kaschnitz e il coraggio di non essere eroi


Neapel sehen und sterben

Kinder, Großmutter ist tot.
Sie war zuletzt ein kleines Gerippe
das immer Hunger hatte
vielleicht
überhüpfen sie jetzt
die ersten Flugzeuge auf dem Bornstedter Feld
vielleicht wartet sie
auf die blauen Dragoner
aus ihrer Kindheit
vielleicht, wenn sie den Sarg zunageln
erschrickt sie
denkt, die Gestapo kommt.
Sie sagte oft
Neapel sehen und sterben
und sah es nie
und starb.

Vedi Napoli e poi muori

Bambini, la nonna è morta.
In ultimo era uno scheletro minuto
che aveva sempre fame
forse
ora fanno decollare
i primi aerei dal campo di Bornstedt
forse lei aspetta
sul dragone blu
della sua infanzia
forse quando inchiodano la bara
si spaventa
pensa, arriva la Gestapo.
Spesso diceva
vedi Napoli e poi muori
e mai la vide
e morì.


Hiroshima

Der den Tod auf Hiroshima warf
ging ins Kloster, läutet dort die Glocken.
Der den Tod auf Hiroshima warf
sprang vom Stuhl in die Schlinge, erwürgte sich.
Der den Tod auf Hiroshima warf
fiel in Wahnsinn, wehrt Gespenster ab
hunderttausend, die ihn angehen nächtlich
auferstandene aus Staub für ihn.

Nichts von alledem ist wahr.
Erst von kurzem sah ich ihn
im Garten seines Hauses vor der Stadt.
Die Hecken waren noch jung und die Rosenbüsche zierlich.
Das wächst nicht so schnell, daß sich einer verbergen könnte
im Wald des Vergessens. Gut zu sehen war
das nackte Vorstadthaus, die junge Frau
die neben ihm stand im Blumenkleid
das kleine Mädchen an ihrer Hand
der Knabe der auf seinem Rücken saß
und über seinem Kopf die Peitsche schwang.
Sehr gut erkennbar war er selbst
vierbeinig auf dem Grasplatz, das Gesicht
verzerrt von Lachen, weil der Photograph
hinter der Hecke stand, das Auge der Welt.

 Hiroshima

Chi gettò la morte su Hiroshima
andò nel monastero, dove suonò le campane.
Chi gettò la morte su Hiroshima
saltò dalla sedia nel cappio, si strangolò.
Chi gettò la morte su Hiroshima
è diventato pazzo, allontana i fantasmi
centinaia di migliaia, che lo attaccano ogni notte
risorti dalla polvere per lui.

Niente di tutto ciò è vero.
Solo di recente l’ho visto
nel giardino della sua casa fuori città.
Le siepi ancora giovani e i cespugli di rose delicati.
Non crescono così in fretta, che uno possa nascondersi
nella foresta dell’oblio. Era ben visibile
la nuda casa di periferia, la giovane donna
accanto in un vestito a fiori
la bambina per mano
il fanciullo sedeva sulla sua schiena
e brandiva la frusta sopra la sua testa.
Lui pure era ben riconoscibile
a gattoni sul prato, il viso
sferzato dal ridere a causa del fotografo
dietro la siepe, l’occhio del mondo.


Reggio

Wer den Fisch verfehlt
Darf nicht wieder jagen.
Klage und Fastenspeisen
Warten seiner daheim.

Am Ufer der Meerenge steht er
Geduldig auf glatten Steinen
Zieht auf und ab das runde
Korbnetz der Alten.

Sieht sie ausfahren wieder und wieder
Inmitten der blaugrünen Ströme
Der weißen Strudel und blitzend
Aufheben den Wurfspieß.

Dort an der Meerenge, wo
Um die blendende Mittagsstunde
Messina geisterklar
Im Wasser steht.

Wo am Abend die Insel versinkt
In veilchenfarbene Wolken.
Die Hügel, die Täler und
Der heilige Aetna.

Reggio

Colui a cui scappa il pesce
Più non può cacciare.
Ad attenderlo a casa
Il pianto ed il digiuno.

In riva allo Stretto s’erge
Paziente su piatti ciottoli
Ed alza e abbassa la tonda
nassa degli avi.

Li vede uscire ancora e ancora
In mezzo ai flutti turchesi
ai bianchi gorghi e il subito
Levarsi della fiocina.

Lì nello Stretto dove
Nell’abbaglio meridiano
L’evanescente Messina
Affiora dalle acque.

Dove a sera l’isola affonda
In nuvole violacee.
I clivi, le valli e
Il sacro Etna.


Anders

Will sich nicht mehr behaupten
Armes Haupt.
Fällt in den Nacken
Zählt das Schilf am Himmel
Und die Fischerlichter die Sterne.
Sinkt auf die Brust
Da ticken die Warnsignale
Eine bündige Sprache.

Wer endete seine Musik
Noch mit vollem Akkord
Oder gar mit Posaunen?

Wir haben gesungen
Die Katze hat uns geholt.
Jetzt singen wir wieder
Sagen noch manchmal
Du Meer
Du Liebe
Aber anders
Mit kleinerem Atem.

Altro

Non si sostiene più,
povero capo.
Ricade nel collo
Conta il canneto in cielo
e il banco di luci delle stelle.
S’affossa sul petto
Dove i moniti ticchettano
Un linguaggio conciso.

Chi ha concluso la sua musica
Nel pieno dell’accordo
O col tuonare di un trombone?

Abbiamo cantato
Il gatto ci ha distratti.
Adesso cantiamo di nuovo
Diciamo ancora
Tu mare
Tu amore
Ma altro
Con più corti respiri.


Schluss

Dein Gedicht
Schlag es dir in den Hals
Bring dich zum Schweigen

Wenn du redest geht dir nicht rein
Was die andern zu sagen haben

Das Ohneich
Das Ohnedu
Das Ohnewann
Das Ohnewo

Die Maschine
In der man es manchmal
Knirschen hört

Schluchzen nicht mehr.
Nur die Handvoll Mensch im Getriebe.

Schweig.

Fine

La tua poesia
Ficcatela in gola
Taci

Quando parli non capisci
Ciò che gli altri hanno da dire

Il senza-io
Il senza-tu
Il senza-quando
Il senza-dove

Le macchine
Dove a volte si sente
Lo stridio

Non singhiozzano più.
Solo un pugno di uomini nell’ingranaggio.

Taci.


Erste Hilfe

 Wo immer du
Du warst nicht unerreichbar
Meine Gierhand riß dich zurück
Aus dem schmutzigen Meersaum
Im Rundnetz
Über den Strand zu den Felsen
Zog ich dich Riese.
Wie schienst du mir unzerstört
Ich wärmte deinen Leib mit meinem Leib
Meinen Atem stieß ich dir in den Mund
Nur dass deine Augen unter dem roten Garn
Die schon erstarrten hart wie Kieselsteine
Nichts spiegelten
Nicht den Himmel
Noch meine zornigen Tränen.

Primo soccorso

 Dove tu sempre
Non eri irraggiungibile
La mia mano avida ti strappò
Dalla fangosa battigia
Nella tonda rete
Sopra la spiaggia verso le rocce
Ti trascinai – gigante.
Come mi sembravi indistrutto
Scaldavo il tuo corpo col mio corpo
Buttai il mio fiato nella tua bocca
Solo affinché i tuoi occhi sotto il filo rosso
Già impietriti come selce
Non riflettessero nulla
Non il cielo
Né le mie lacrime d’ira.


 

Ringraziamo Georg Maag per le sue preziose segnalazioni sulle poesie HiroshimaSchluss.