La psicosi di un assassino durante la rivoluzione

Linda Caregnato

 

Pavel Kohout è uno scrittore, drammaturgo e poeta ceco nato a Praga il 20 luglio del 1928 in una famiglia molto coinvolta politicamente, infatti, suo padre prende parte all’omicidio di Reinhard Heydrich. Kohout si iscrive all’università Karlová di Praga dove aderisce alla sezione giovanile del Partito Comunista. Ne diventa sostenitore soprattutto dal 1948 al 1953, periodo che si suole chiamare “realismo socialista”. Kohout verrà in seguito deriso per delle poesie che scrive in questo periodo e che dedica alla propria fidanzata, facendo dei paragoni tra il fare l’amore e il lavorare in fabbrica. Dopo la laurea diventa giornalista e inizia a lavorare per la televisione dello Stato nel 1956.

In seguito, le sue idee politiche cambiano, diventa la figura di spicco nella Primavera di Praga ed è uno dei primi firmatari di Charta 77, nonché uno dei suoi fondatori. A causa delle sue posizioni politiche è costretto all’esilio e va in Austria nel 1979 insieme alla seconda moglie Jelena Mašínová. Nel 1980 gli viene assegnata la cittadinanza austriaca e dopo la Rivoluzione di velluto, avvenuta nel 1989, continua a viaggiare tra Praga e Vienna.

Kohout è stato anche un importante drammaturgo e ha fondato la compagnia teatrale con cui metteva in scena opere da lui scritte ma anche opere di Shakespeare. Il suo dramma più famoso, Ubohý vrah (“Povero assassino”, 1972), è basato sull’opera di Leonid Nikolaevič Andreev e ha avuto la prima a Broadway nel 1976.

Pavel Kohout ha scritto inoltre diverse opere in prosa, le più famose sono Katyně (“La carnefice”, 1970) e Kde je zakon pes (“Dov’è sepolto il cane”, 1987). In italiano sono state tradotte La carnefice e Hvězdná hodina vrahů (“L’assassino delle vedove”, 1995). Entrambe presentano una trama molto originale e contorta, ma hanno anche un retroscena politico importante che non va ignorato.

L’assassino delle vedove è un romanzo che assorbe in sé diversi generi letterari: è un giallo, abbastanza classico nel suo genere, è un thriller, è un romanzo d’amore, è di guerra, è d’azione, e così via. Questa caratteristica rende il libro molto interessante e fa capire l’alto livello di scrittura di Kohout. Va detto, inoltre, che il libro potrebbe essere visto anche come un romanzo storico poiché le vicende narrate sono ambientate nel 1945, a pochi mesi dalla fine del protettorato nazista. Il tema iniziale però è quello di un omicidio avvenuto a Praga, ai danni di una ricca vedova tedesca. Basta questo evento a far sì che gli animi già tesi tra cechi e tedeschi si inaspriscano ancora di più. Così, per evitare che ci siano ripercussioni inutili sul popolo, visto che non si sa se l’omicidio sia avvenuto per mano di un rivoluzionario ceco, si decide di indagare segretamente sul caso. Affinché la polizia ceca non nasconda alla Gestapo informazioni importanti, al commissario ceco Jan Morava viene assegnato come compagno e supervisore l’agente della Gestapo Erwin Buback.

Nel libro ci sono diversi personaggi ma i protagonisti indiscussi sono tre. Morava, l’eroe poliziotto per eccellenza dei gialli: estraneo alla corruzione, è forte, coraggioso e intelligente. Poi c’è l’agente Buback, inizialmente viene presentato come il prototipo perfetto di nazista: biondo, corpo robusto, così razionale e sveglio da essere glaciale. Infine, c’è Antonín Rypl, l’assassino: il suo aspetto fisico viene abbastanza trascurato nelle descrizioni ma Kohout fa penetrare il lettore così tanto nel suo io che gli viene trasmesso in tempo reale ogni suo pensiero, emozione o cambiamento. I tre personaggi designati dall’autore sono molto diversi tra di loro e in comune hanno solo il fatto di essere i tre narratori del libro. Infatti, la struttura del libro prevede un’alternanza, abbastanza regolare, di tre narratori diversi. Ognuno racconta le proprie vicende e solo verso la fine le loro tre storie si intersecano. Bisogna apprezzare la bravura di Kohout di mantenere costanti le sequenze degli eventi e i meccanismi psicologici dei suoi protagonisti. In effetti, proprio a causa del fatto che i tre narratori si alternano, spesso le azioni vengono interrotte e riprese quando ritorna il narratore che le stava raccontando. Ma Kohout non fa questa operazione in maniera caotica, c’è sempre molto ordine, cosa che permette al lettore di non dimenticare la scena lasciata in sospeso. Uno schema equivalente lo si ha anche con i pensieri e le caratteristiche personali dei protagonisti. L’autore non confonde mai i pensieri di Buback con quelli di Morava. Per esempio, mantiene chiari e netti i confini psicologici dei suoi personaggi. Le vicende narrate sono importanti, ma quello che emerge maggiormente è le complessità della mente umana. Se Morava, Buback e Rypl sono tre persone completamente diverse, con alle spalle storie altrettanto differenti, è vero anche che si riesce a conoscere il loro animo profondo. Kohout ha saputo inserire nel suo libro una moltitudine di elementi ma l’ha fatto in modo sapiente, dando sì una storia da leggere ma facendo scoprire anche i pensieri più intimi dei protagonisti.

Lo sfondo politico però rimane centrale in tutta la storia. Lo si capisce bene all’inizio, quando il potere tedesco viene ancora percepito forte e indissolubile, ma lo si comprende soprattutto verso la fine, quando la situazione politica precipita e tutti i personaggi del libro vengono travolti dall’isteria collettiva e da un senso di instabilità sociale, in quanto non si sa chi saranno i futuri amici o nemici del nuovo potere politico. È sicuramente un momento emozionante e si percepisce la paura, ma anche l’adrenalina, di chi ha le ore contate per salvare il proprio futuro. C’è un frammento che rispecchia appieno questa crisi, dove Buback parla con la sua fidanzata Grete:

‘Te lo devo dire io che siamo seduti nella fossa dei leoni? Tutta Praga sa che questo è il quartiere tedesco, e i leoni arriveranno, anzi, altro che i leoni!, le iene, non appena avranno sentito che la Germania è davvero con le spalle al muro. Tu per loro sarai un uomo della Gestapo e io una puttana crucca: non avranno pietà di noi. Com’è che mi lasci ancora qui ad aspettare, amore? Devo fare la fine di quelle sei vedove?’

Rimase paralizzato a quel pensiero.

‘Perché dovresti…?

Comincia la festa degli assassini, amore. Accorrono in volo per il loro banchetto come insetti attratti dalla luce, non c’è momento in cui si ammazza meglio di quando in cielo brilla la stella del tuo popolo, siamo stati noi gli ultimi a mostrarlo all’Europa.’” (pp. 265-266)

Hitler è morto e i due tedeschi vedono scappare segretamente i loro connazionali da Praga. Non è un buon segno, anche se la Gestapo cerca di nascondere la crisi. Ma a preoccuparsi sono anche Morava e il suo superiore Beran. Era anche loro lo scopo di liberarsi del protettorato tedesco ma sono anche intimoriti all’idea che siano i russi a sostituirli perché allora Morava, e chi altri lo ha aiutato, verrebbero visti come collaborazionisti tedeschi. La città viene presa d’assalto dai rivoluzionari che però operano senza un ordine e sembrano trucidare peggio dei tedeschi. Sono persone senza controllo, si chiamano “compagni” tra di loro ma uccidono tanto i tedeschi come i cechi. Sembrano però più vendette personali che vere azioni rivoluzionarie. Morava lo esprime molto bene in un dialogo con il capo commissario Beran:

“‘Signor capo, […] non si tratta di testardaggine […] ma di preoccupazione riguardo alla purezza di una rivoluzione che deve appunto porre fine a ogni forma di disumanità. Solo a partire da mezzogiorno di oggi […] ha ucciso una decina di persone, tre in modo sadico e tutti senza ragione, poiché in precedenza si erano arresi. Lasciar correre perché si tratta solo di tedeschi sarebbe commettere un terribile errore. Li uccide con tanta foga perché è lecito, per qualcuno magari è già un eroe, pare che gli si siano aggregati altri tipi della sua stessa pasta. E se dovessero trasformarsi in una banda di assassini? Cosa faranno quando avranno finito con i tedeschi? Cominceranno con i cechi? Si metteranno a giustiziare i collaborazionisti, veri o presunti.’” (p. 342)

L’uomo che descrive è proprio Rypl, l’assassino delle vedove. Il paradosso che vuole evidenziare Kohout è che un assassino psicopatico diventa improvvisamente un eroe coraggioso ammirato da tutti. Dopo essere riuscito a scappare alla polizia si salva grazie alla situazione caotica in città. Ne approfitta così per ammazzare per puro gusto, dando libero sfogo al suo sadismo. Morava e Buback sono impossibilitati ad agire: Buback perché vuole salvare la fidanzata Grete e sé stesso, Morava perché è bloccato dalla burocrazia interna della polizia che sta ora prendendo decisioni importanti. Buback, in quanto tedesco, viene visto come nemico e viene fermato nel suo tragitto verso Grete ma ha anche il riconoscimento di collaborazionista per il suo aiuto dato alla polizia. Il distretto, invece, è nel caos perché non si sa più chi è il nemico e gli agenti non riescono a mettere in ordine la situazione. Il caso dell’assassino passa ora in secondo piano e a Morava non vengono più dati gli strumenti per catturarlo.

Ma cosa spinge Rypl a uccidere le vedove? È la domanda che Morava si pone per tutto il romanzo e la risposta è l’amore, per sua madre. Antonín Rypl ha sempre vissuto con lei dopo che il padre li ha abbandonati per stare con una vedova di guerra. La madre, ferita nel profondo per l’abbandono, fa crescere nel figlio il risentimento verso le vedove, descrivendole come delle femme fatale senza morale e che non hanno rispetto per i mariti morti. Nel romanzo, oltre che i tre protagonisti, ci sono altre donne che parlano, e sono proprio le future vittime di Rypl, delle vedove. L’autore le fa conoscere ai lettori prima che (esse) muoiano, forse per sensibilizzarli e farle sentire più vicine, in modo tale che il lettore rimanga spiazzato dalla loro morte.

I tre protagonisti sono accumunati anche dal fatto che amano qualcuno. Se Rypl prova un amore edipico per la madre morta, Morava si innamora e poi si fidanza ufficialmente con Jítka, la segretaria del distretto di polizia. Lei si offre, insieme a Grete, di fare da esca per catturare l’assassino ma il piano non funziona e perde la vita insieme al bambino che porta in grembo. Questo evento non è un punto di cesura nel testo se non per Morava, l’unico personaggio a rimanere stabile nella storia, che, invece di piangere, diventa di ghiaccio ed è ora deciso a catturare l’assassino.

Buback è probabilmente l’unico personaggio a subire una progressiva trasformazione durante il romanzo. Se all’inizio viene descritto come il prototipo perfetto di uomo tedesco, con il trascorrere dei mesi subisce un cambiamento positivo diventando sempre più umano. A cambiarlo è, anche in questo caso, l’amore. All’inizio prende una cotta per Jítka ma poi si innamora di Grete, l’amante del suo capo. Quello che all’inizio è solo un rapporto carnale finisce col diventare una relazione seria, tantoché Grete si offre come esca per aiutare Buback nel caso dell’assassino delle vedove. Ciò che colpisce anche del tedesco è che approfondisce segretamente un suo dubbio esistenziale: lui si sente più tedesco o più ceco? La sua vera madre era morta quando lui era molto piccolo ed era ceca, mentre la seconda moglie del padre era tedesca come lui, quindi Buback, è sempre stato cresciuto come un tedesco. L’instabilità politica mette in crisi la sua identità capendo, alla fine, di sentirsi più ceco che tedesco. Questa sua consapevolezza lo fa avvicinare così tanto al commissario Morava da convincerlo a rimanere a Praga per catturare l’assassino della fidanzata del suo amico.

Questo per dimostrare che il romanzo L’assassino delle vedove non è un giallo banale e che la guerra porta sempre a gravi conseguenze non solo sul piano politico, ma anche su quello civile, sociale e morale.

 

Bibliografia:

Pavel Kohout, L’assassino delle vedove, Fazi Editore, Roma, 2005.

Apparato iconografico:

Immagini: http://librinuovi.net/5929/lassassino-delle-vedove-di-pavel-kohout