Giusi Sipala
“Scrivevano in modo teso, mostravano in modo intenso.”
Julio Cortàzar
Trauma ed esilio hanno rappresentato, a partire da Freud e Kafka, temi ricorrenti nella letteratura occidentale, e censura ed emigrazione hanno accomunato la vita culturale dell’Europa centrale e orientale. Proprio a causa della censura, le diverse letterature di quest’area dovettero scoprire il vantaggio di operare tramite metafore, in modo da parlare della realtà senza incorrere in tagli. Trauma è una parola che fa ormai parte in modo organico dell’opera dello scrittore romeno di origini ebraiche Norman Manea, che, nel corso della sua esistenza, lo ha vissuto doppiamente, prima con la deportazione e poi con l’esilio. Fonte primaria della sua esperienza traumatica è l’infanzia fragile vissuta in un lager della Transnistria, dove nel 1941, all’età di cinque anni, viene deportato insieme alla sua intera famiglia a causa delle politiche antisemite del governo autoritario di Antonescu – alleato della Germania nazista durante il secondo conflitto mondiale. Trauma a cui si aggiungerà più tardi, nel 1986, quando Manea avrà già cinquant’anni, l’esilio oltreoceano causato dal clima dispotico sempre più teso dovuto alla dittatura di Ceaușescu.
Sopravvissuto alla follia nazista del genocidio degli ebrei, Manea viene restituito alla realtà antecedente l’esperienza del lager, ma la sua intera esistenza ne viene irrimediabilmente segnata, tanto che l’impulso a raccontare, a scrivere e comunicare la sua esperienza e la sua visione del mondo e della realtà lo spingerà ad abbandonare la carriera di ingegnere. A Bucarest, dove intraprende gli studi universitari, entra in contatto con un gruppo di intellettuali e scrittori, tra cui Florin Mugul, Sorin Titel, Mircea Iorgulescu e Radu Petrescu, trovando così un ambiente creativo stimolante alle sue prime prove di scrittura. Nel 1975 Manea pubblica una selezione di racconti brevi sugli anni bui della guerra e di quelli immediatamente successivi alla sua conclusione. La censura eliminerà dal circuito editoriale questo volume, giudicandone i contenuti troppo ambigui nei racconti non incentrati sul tema del lager; ne includerà, invece, di nuovi, tra cui quello che darà titolo alla nuova raccolta pubblicata per la prima volta nel 1981 dalla casa editrice “Dacia” di Cluj-Napoca: Octombrie, ora opt (“Ottobre, ore otto”). Con quest’opera, fortemente rappresentativa dell’esperienza traumatica vissuta dall’autore, Manea dà inizio alla sua biografia letteraria. L’edizione italiana, tradotta nel 1998 da Marco Cugno e pubblicata lo stesso anno da “Il Saggiatore”, fa riferimento alla seconda edizione romena della raccolta di Manea, pubblicata nel 1997 dalla casa editrice “Biblioteca Apostrof”.
Il titolo della raccolta, Ottobre, ore otto, prende il nome dall’ultimo dei racconti in essa contenuti e racchiude diversi significati simbolici. Per prima cosa, denota il momento in cui gli ebrei di Bucovina vengono deportati nel lager in Transnistria, riportando quindi il lettore a una realtà precisa e connotata temporalmente; nello stesso tempo esprime, però, il carattere ambiguo e “non-epico” – come viene definito dalla critica – del racconto e della stessa realtà narrativa. Il titolo, anche se precisa l’ora in cui avvengono i fatti, non dice nulla riguardo il giorno o l’anno nè addirittura il luogo, mantenendo quindi la narrazione su un livello impersonale, esattamente come fa tacendo il nome del protagonista o qualsiasi specifico riferimento al nazismo, alla guerra, al lager. Inoltre, il numero otto, più volte ripetuto, si ricollega all’immagine dell’ottagono, figura geometrica intermedia tra il quadrato e il cerchio, che vuole significare, di conseguenza, un mondo intermedio tra la realtà, simboleggiata dal quadrato, che rappresenta il trauma del lager, e la volontà dell’individuo di trovare la pace con se stesso e gli altri, simboleggiata dal cerchio.
Questa doppia valenza apre le porte ad un’analisi più estesa dell’intera opera e di ogni racconto in essa contenuto: innanzitutto perchè ci permette di identificare il volume non come una semplice raccolta di racconti ma come un vero e proprio short story cycle, cioè un ciclo di racconti connessi l’uno all’altro da un tema centrale e di cui ogni racconto ne rappresenta un aspetto. Connessione creata dall’autore ma che sarà il lettore stesso a riscoprire e ricollegare, rimodellando di volta in volta il messaggio che ogni racconto vuole lasciare e che alla fine modificherà l’intera esperienza intepretativa della raccolta. Ciò ci fa capire con più chiarezza la scelta di Manea di rappresentare il trauma dell’Olocausto nella forma breve: raccontare una tragica esperienza di vita, per di più attraversata da un bambino che in questo contesto cresce, e a cui quindi vengono negate le gioie di un’infanzia e un’adolescenza spensierate, significa per Manea non solo descrivere le sofferenze e le privazioni di quei tempi, ma soprattutto tentare di spiegare come il perdurare del ricordo di quelle sofferenze, nonostante la riacquisita libertà, influisca sulla vita dopo il lager, offrendo una più chiara immagine di questa esperienza anche a chi non l’ha vissuta in prima persona. La connessione tra un racconto e l’altro viene resa possibile grazie alla presenza, in ogni storia, di un elemento (un oggetto, un gioco infantile, un evento familiare o una favola) che rappresenta, per la sua forza simbolica, un aspetto della vita trascorsa dentro e fuori il lager, quindi durante e dopo il trauma.
Il lettore prende parte a questa esperienza dalla prospettiva limitata, ma non meno tragica, di un bambino che non riuscendo ancora a discernere il bene dal male, proietta su questi elementi le sensazioni traumatiche, spesso da incubo, che l’autore vuole comunicare. Un semplice pullover può diventare un veicolo di morte, il furto di un gomitolo colorato può restituire a un individuo la dimensione ludica che la triste realtà gli ha negato e che, anche nei momenti in cui sembra riaffiorare, rimane sempre preannunciatore di morte, come lo stesso titolo di un racconto, “La morte” appunto, ci fa notare. Esattamente come il bambino, all’interno della narrazione, si renderà conto che sono le sensazioni a fargli rivivere il passato, così il lettore si accorgerà che è attraverso gli oggetti che l’autore ha descritto che si accenderà in lui la riflessione che lo avvicina – immedesimandosi – all’esperienza del lager, per meglio comprenderla. Si realizza così l’intersezione tra il quadrato e il cerchio dell’ottagono.
Le potenzialità espressive del racconto breve diventano, nel contesto di quest’opera, efficaci mezzi di comunicazione di complesse e spesso dolorose esperienze che l’uomo della società moderna ha vissuto e che sente la necessità di trasmettere anche alle generazioni future. Qualsiasi opera letteraria nasce e si sviluppa grazie alla combinazione e alla coesistenza di due importanti aspetti: è al tempo stesso storia e discorso. È storia perché rievoca nel suo svolgersi una certa realtà, avvenimenti che si presuppone abbiano avuto luogo e che, comunque, assumono una loro dimensione che il lettore accetta come reale quando si accinge a leggere un testo. È discorso perché il modo in cui ci vengono presentati questi avvenimenti è scelto dal narratore, che decide quale strategia adottare in base allo scopo che vuole raggiungere e al messaggio che vuole lanciare. La natura allusiva e metaforica del racconto breve, la sua forza agglutinante di una realtà enormemente più vasta di quella del semplice aneddoto, e che perciò influisce nel lettore molto di più di quanto la sua brevità potrebbe fare sospettare, si trasforma in un efficace e potente mezzo di comunicazione di un’esperienza tanto grande e traumatica come quella dell’Olocausto.
Il principio di brevitas, nozione della retorica classica diversamente interpretabile e aperta a diverse possibilità di realizzazione, non ci permette da solo di individuare e delimitare l’area del racconto breve. Esso, infatti, non si può spiegare facendo riferimento soltanto alla sua estensione materiale, che di per sé è un fatto puramente esteriore, ma ha a che fare piuttosto col modo di narrare, che è invece uno statuto costitutivo del racconto in quanto struttura narrativa. Il racconto breve e la sua forma di espressione letteraria si muovono all’interno di una dimensione temporale che si potrebbe definire “verticale”: ad essere fondamentale non è più l’estensione nel tempo e del tempo della storia che, accumulando progressivamente fatti ed emozioni, ci permette di maturare il senso complessivo di quegli avvenimenti che lo scrittore ha deciso di raccontarci. Nel racconto è importante, invece, la tensione narrativa, l’accumularsi di azioni e reazioni che si condensano nella coscienza del lettore, incalzato da un’intensa pressione formale ed espressiva.
Il problema della tecnica narrativa diventa importante proprio nel momento in cui si intendono rappresentare esperienze tragiche e assolute come quelle di chi ha vissuto il trauma della deportazione e vuole comunicarlo in maniera efficace e penetrante, nella speranza che conoscere il Male possa contribuire ad esorcizzarlo. Tutto questo è importante, inoltre, quando si vuole raccontare non soltanto quel frammento di realtà che riguarda l’aver vissuto la tragicità del lager, ma anche e soprattutto l’esperienza esistenziale di chi al lager è sopravvissuto e si ritrova a doversi reintegrare nella normalità della vita. È proprio questo il punto di partenza da cui prende avvio il progetto narrativo di Ottobre, ore otto.
“Octombrie, ora opt constituie, după părerea noastră, cea mai reprezentativă carte de până acum a prozatorului și una dintre cele mai bune culegeri de proză scurtă apărute în ultimii ani.”
(Ottobre, ore otto costituisce, a nostro parere, il libro fino ad oggi più rappresentativo del prosatore e una delle migliori raccolte di narrativa breve apparse negli ultimi anni).
Bibliografia:
Aurica Stan, Exilul ca traumă/Trauma ca exil, Iași, Editura Lumen, 2009.
Claudiu Turcuș, Estetica lui Norman Manea, București, Cartea românească, 2012.
Forrest L. Ingram, Representative Short Story Cicles of the Twentieth Century, The Hague, Mouton&Co.N.V., 1971.
Irina Petraș, Oglinda și drumul. Prozatori contemporanei, București, Cartea românească, 2013.
Julio Cortàzar, Algunos aspectos del cuento, 1962, traduzione it. di Vittoria Martinetto, Alcuni aspetti del racconto, in Racconti, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994, p. 1323.
Norman Manea, Ottobre, ore otto, Milano, Il Saggiatore, 1997.
Valeriu Cristea, Octombrie, ora opt, in România literară, 18 febbraio 1982, p.9 (la traduzione dei brani tratti da questo testo sono stati fatti per l’occasione da me G.S.)
Apparato iconografico:
Immagine 1: https://it.gariwo.net/giusti/dissenso-est-europa/norman-manea-23691.html
Immagine 2: https://www.dimanoinmano.it/it/cp192087/narrativa/narrativa-straniera/ottobre-ore-otto