L’alcolismo nell’Unione Sovietica degli anni Sessanta attraverso “Moskva-Petuški”

Stefania Feletto

 

Venedikt Erofeev (1938-1990) è uno degli scrittori russi più celebri del secondo Novecento, rappresentante del Postmodernismo in letteratura e dissidente sovietico. L’opera che consacra Erofeev ad una fama (principalmente post mortem) è il romanzo-poema Moskva-Petuški, pubblicato per la prima volta in samizdat nel 1973 sulle pagine dell’almanacco letterario “AMI” di Gerusalemme, ma comparso a puntate in Russia solo tra il 1989 e il 1890 sulla rivista “Trezvost’ i kul’tura” (“Sobrietà e cultura”), dopo la fine dell’Unione Sovietica. Per la sua verosimiglianza, Moskva-Petuški è stato paragonato ad un report clinico di un paziente dipendente da alcool: il protagonista, Venedikt, senzatetto in preda a crisi d’astinenza, percorre con l’električka il tratto che collega Mosca a Petuški, cittadina industriale a più di cento chilometri dalla capitale. Il viaggio verso Petuški e dunque il ricongiungimento con l’amante e il figlio sono il pretesto, per Venedikt, per raccontare aneddoti, ricordi, storie di bevute, fare conoscenza con altri personaggi grotteschi, in tutto simili a lui, per dare poi spazio a riflessioni filosofiche sulla vita russa e sulla condizione umana più in generale, il tutto sotto il costante effetto dell’alcol. Il romanzo riscosse notevole successo in Russia proprio perché permise a molti cittadini, ormai ex-sovietici, di riconoscerne la realtà fedelmente descritta. Erofeev, che ha utilizzato esplicitamente elementi autobiografici e condivide la propria identità con quella del protagonista, è riuscito a raccontare con sarcasmo la situazione sociale e la piaga causata dall’alcolismo, in cui egli stesso era coinvolto in quegli anni.

Venedikt Erofeev negli anni Ottanta
Venedikt Erofeev negli anni Ottanta

Per capire quanto fosse radicato il problema dell’alcolismo in Russia e come venisse alimentato dalla gestione dell’economia statale, vale la pena ripercorrere brevemente le tappe principali che hanno portato alla diffusione di quella che è la bevanda alcolica più comune in questo Paese, ossia la vodka. Le prime testimonianze dell’esistenza di questa bevanda permettono di affermare che la sua produzione inizia nel XV secolo e, se in un primo momento il suo consumo era un fenomeno contenuto, frequente solo nelle taverne dei grandi centri urbani, nei secoli a venire sarebbe stato incoraggiato e la sua commercializzazione avrebbe garantito allo Stato una significante forma di entrate. Per finanziare la rapida esecuzione di piani grandiosi, Pietro I fu il primo che avviò una propaganda in favore dell’alcol nel 1716. Un’ulteriore spinta al mercato arrivò nel 1861, quando, finita la servitù della gleba, ci fu un incremento di attività quali la produzione di vodka, con il conseguente aumento del numero di impianti di distillazione e l’abbassamento dei prezzi. Inoltre, nei primi anni del 1890 ci fu un innalzamento del consumo di alcol che rifletteva la crescita dell’industria, la migrazione della popolazione rurale verso le città e la sua trasformazione in una popolazione di operai. In modo simile a quanto era accaduto in Europa, i bevitori ora provenivano dalle masse che si erano postate nei centri di produzione: una gran quantità di persone che si trovava male alloggiata, in ambienti sporchi e promiscui, a vivere in condizioni di miseria, insufficientemente nutrita e priva di istruzione. Chi provò a limitare l’uso di alcolici fu invece lo zar Nicola II che, nel 1919 e per tutta la durata della Prima guerra mondiale, ne vietò la vendita. Lo zar pensava che la sobrietà avrebbe portato a un ordinato processo di reclutamento dell’esercito e avrebbe eliminato l’ubriachezza che danneggiava la salute pubblica, ma il divieto di per sé eliminò un terzo delle entrate statali, proprio quando era necessario finanziare e sostenere una guerra prolungata. La legge del 1919 venne annullata da Stalin nel 1924 e nell’agosto del 1925 fu adotta una risoluzione che stabiliva un monopolio governativo sulla produzione di vodka. La manovra di Stalin doveva essere temporanea, fino a quando l’economia non si fosse ripresa, ma questa risoluzione non venne di fatto mai sospesa.

L’inizio del rapido aumento del consumo di alcol in URSS coincise con l’inizio del boom dell’alcol in Europa. Già nel 1958, la produzione statale di vino e vodka era raddoppiata in URSS e nel 1965 era triplicata rispetto al 1950. Il dopoguerra vide un diffuso sviluppo della produzione illegale di alcolici, che durante la guerra era stata tenuta sotto controllo dalla politica implacabilmente repressiva della leadership sovietica. La prima risoluzione sulla lotta contro l’alcolismo adottata dal Comitato Centrale del Partito Comunista e il governo sovietico apparvero nel 1958 quando fu ordinato di scoprire ed eliminare le produzioni illegali di alcol, le cui vendite stavano superando quelle statali. Nel dopoguerra si formò in Russia una cultura del consumo di alcol nuova, per cui il bere non si limitava ai soli giorni festivi, ma si estendeva anche nei giorni di lavoro e avveniva nei luoghi di lavoro. Il consumo di alcol aumentò costantemente durante il periodo dell’ottepel’ (disgelo) e nel periodo della zastoj (stagnazione). Le due successive risoluzioni del Comitato Centrale del Partito Comunista non fermarono purtroppo la piaga dell’alcolismo in URSS.

La più importante campagna antialcol venne messa in atto da Gorbačëv nel 1985: ci fu un aumento dei prezzi di vodka, vino e birra, di cui la vendita venne limitata e permessa solo in determinate fasce orarie. L’assunzione di queste bevande venne inoltre vietata nei treni a lunga percorrenza e nei luoghi pubblici, così come si cercò di promuovere uno stile di vita sano, e l’astensione dal consumo durante matrimoni, anniversari e festeggiamenti. Nemmeno questa iniziativa portò a significativi risultati, dando invece l’ennesimo colpo all’economia statale e determinando il passaggio di questo mercato nelle mani della mafia russa. Le crescenti difficoltà nel reperire alcolici spinsero molti ad utilizzare sostanze sostitutive all’alcol ma che procurassero gli stessi effetti, come per esempio acque di colonia, prodotti per la pulizia dei vetri o per lucidare i metalli. Ciò comportò un aumento dei morti, ancora una volta tra le classi più povere del Paese.

“Papà, non bere”, poster sovietico contro il consumo di alcolici
“Papà, non bere”, poster sovietico contro il consumo di alcolici

Moskva-Petuški, scritto tra il 1969 e il 1970, fotografa la situazione di quegli anni il modo fedele: Venedikt propone un celebre catalogo di cocktail nei quali utilizza i più svariati ingredienti, tra cui vernici per mobili, deodorante per piedi, olio per freni, insetticida per insetti piccoli e così via. I personaggi che compaiono nel suo romanzo sono disperati, ubriaconi, che con Venedikt compilano, sul posto di lavoro, dei grafici in cui indicano quanti grammi di alcol consumano al mese, e attraverso l’andamento di questi grafici si possono trarre informazioni su questi dipendenti, sulle loro qualità e sui loro pregiudizi. Nella definizione di Fouquet di alcolista, ossia “un individuo che ha perso la libertà di astenersi dal bere”, si ritrova la figura di Venedikt, scrittore e personaggio: quest’uomo non è in grado di smettere né può tornare indietro ad un consumo di alcol moderato. Il suo stato di salute è compromesso, sia sul piano fisico, ma soprattutto su quello psicologico, con disturbi deliranti e psicotici. Parte di queste manifestazioni psicotiche sono già anticipate in un’altra importante opera di Erofeev, Zapiski psichopata (“Memorie di uno psicopatico”), un diario giovanile e sperimentale che riprende gli anni tra il 1956 e il 1957. In entrambi queste opere l’alcol è un elemento centrale e risulta il mezzo per elevare il personaggio allo stato di “folle in Cristo”, lo jurodivyj, colto nel suo monologo autobiografico. Progressivamente estraneo alla società e sempre più vicino a quel modello di uomo del sottosuolo dostoevskiano, Erofeev trova la possibilità di affermare una propria visione del mondo solamente indossando la maschera dello jurodivyj: il suo essere costantemente in stato di ebbrezza gli permette di criticare la società in cui vive, fingendosi pazzo e dunque non subendo le conseguenze che un tale atteggiamento avrebbe comportato per una persona comune, in un regime totalitario in cui la libertà di pensiero non era ammessa. Venedikt, per sua stessa ammissione, è “malato dell’anima”, frustrato, emarginato e l’alcol non risulta esserne la causa principale, anzi, sembra essere un aiuto per avvicinarsi ad un’estasi mistica e una verità superiore. Nella società sovietica degli anni Sessanta, l’alcolismo era una condizione a cui il sistema stesso aveva spinto gran parte della popolazione, alla quale non venivano offerte possibilità né alternative. L’alcol era diventato la via di fuga verso una realtà altra, grazie al quale era concesso di potersi esprimere negativamente e sarcasticamente nei confronti del sistema. Erofeev, rifiutato dal rigido sistema statale, è riuscito a dare voce al fondo della scala sociale di quegli anni, attraverso delle opere che restano oggi un caposaldo della letteratura russa.

 

Bibliografia:

Alexandr Nemstov, A Contemporary History of Alcohol in Russia, Stockholm, E-print, 2011.

Gaetano Liguori, Vincenzio D’Auria, Frdinando Russo, Arcangelo Cimminiello, Alcol: tra clinica e letteratura, Milano. FrancoAngeli, 2006.

Ilaria Remonato, Dal russo all’italiano: gli itinerari linguistici di Moskva-Petuški, in “mediAzioni”, Vol. 14, 2013. Disponibile al link: http://www.mediazioni.sitlec.unibo.it/images/stories/PDF_folder/document-pdf/2013/remonato2013.pdf (ultima consultazione: 16/08/2021)

Michele Colucci, Il diavolo e l’acquavite: quel viaggio Moskvà-Petuškí, in “Belfagor”, Firenze, Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l., Vol. 38, No. 3, 1983, pp. 265-280.

Rémy Malka, Pierre Fouquet, Gérard Vachonfrance, Alcologia, a cura di Luigi Gallimberti, Milano, Masson Italia, 1986.

Venedikt Erofeev, Mosca-Petuški: poema ferroviario, traduzione di Paolo Nori, Macerata, Quodlibet, 2014.

Venedikt Erofeev, Memorie di uno psicopatico, traduzione di Lidia Perri, Torino, Miraggi Edizioni, 2017.

Apparato iconografico: