Paolo Ciocci
Lo scorso maggio è uscita la traduzione italiana di Solenoide di Mircea Cărtărescu, a cura di Bruno Mazzoni per la casa editrice il Saggiatore. Mazzoni aveva in precendenza già tradotto per Voland Edizioni buona parte dell’opera dello scrittore romeno, dall’ibrido prosa-poesia Il Levante, ai racconti lunghi contenuti in Nostalgia, fino ai tre volumi di Abbacinante. Mircea Cărtărescu è un autore romeno contemporaneo tra i più tradotti e conosciuti al mondo, nonché professore presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bucarest, capace di spaziare da studi accademici sul postmodernismo romeno ad una sperimentazione letteraria che attinge a piene mani anche da ambiti dello scibile in apparenza lontani dalla letteratura.
Link al libro: https://www.ilsaggiatore.com/libro/solenoide/
Solenoide è l’ultima opera dello scrittore romeno tradotta in italiano, il cui fulcro è rappresentato proprio da un rifiuto della frammentazione ironica e della rassegnazione verso l’inconoscibilità della realtà, tratti tipici della letteratura postmoderna. L’intero romanzo riunisce infatti, sotto un unico sguardo poliedrico, gli strumenti d’indagine tipici della scienza e della matematica con quelli della filosofia naturale e del linguaggio. Questi risultano mescolati su diversi ordini di grandezza e di lettura da una prosa ipertrofica che passa dalla metanarrazione al diario. Inoltre, sono tutti quanti tesi in una contorsione che anela verso una conoscenza di pattern e correlazioni su una struttura intrinseca del mondo, che riunisca in sé la soggettività sensoriale e l’aggressione inevitabile del noumeno al di fuori della propria soggettività.
“Non l’asfissia, non lo strangolamento prodotto dal cappio intorno al collo, non la fuoriuscità degli occhi dalle orbite, né l’illividimento del volto e della lingua portavano alla mistica apparizione di un mondo impossibile da svelare, ma la terribile aggressione sui suoi centri cerebrali, templi di marmo e avorio in cui dimoravano gli dèi di un’altra realtà.” (p. 417)
Il professore di romeno protagonista di Solenoide conduce questa ricerca muovendosi tra ricordi d’infanzia, vite di matematici e scrittici e tra annotazioni di sogni, senza disdegnare contaminazioni non finzionali dalla vita bucarestina durante la dittatura di Nicolae Ceaușescu. È tuttavia inutile domandarsi dove finisca il confine eventuale tra materia finzionale e materia autobiografica, così come sarebbe riduttivo cercare una separazione tra gli scenari onirici e i luoghi reali visitati dal protagonista nel corso della sua ricerca. Realtà autobiografica e finzione ipnagogica si muovono seguendo le stesse regole e sono solamente due forme di rappresentazione della realtà subordinate a due direzioni in apparenza dicotomiche: il solipsismo imprescindibile derivante dagli organi sensoriali con cui si è nati e l’inafferrabilità di ciò che indicibile e indecidibile dietro la realtà, necessariamente incompleta e incoerente rispetto a qualunque sistema descrittivo formale, morale o sensoriale adottato.
“Ho sempre avuto paura, ho sempre accolto non gli oggetti, ma la realtà che c’è dietro, la realtà in sé, con un orrore parossistico: Perché sono qui? Perché la mia mente tesse il mondo come un rocchetto? […] Chi mi ha rinchiuso in questa testura folle di quark ed elettroni e fotoni? Perché ho organi e tessuti simili a quelli degli scarafaggi e dei rettili? Cosa c’entro io con le mie dita, la mia casa, le mie stelle, i miei genitori, la mia pelle?” (p.475)
Cărtărescu cerca quindi lacerazioni nella realtà su cui la coscienza stessa emerge da una semplice fluttuazione del caso, in bilico tra nostalgia e solitudine. Lo sforzo di indagine però non può essere compiuto con la sola letteratura, che viene infatti contaminata di continuo da sperimentazioni basate su concetti fisico-matematici. Mentre autori rappresentanti del postmodernismo quali Thomas Pynchon (che in Contro il giorno cerca di applicare alla narrazione le leggi che descrivono il fenomeno della birifrangenza di un fascio di luce) sfruttano queste contaminazioni per delineare al massimo la frammentazione e l’incompiutezza della realtà, Cărtărescu sfrutta concetti quali l’infinito cantoriano e i politopi (poliedri che aiutano a visualizzare ulteriori dimensioni spaziali) di Alicia Boole Stott per costruire una percezione delle dimensioni ulteriori della conoscenza, autoassemblandosi e convergendo verso “un punto incandescente, mistico-logico-poetico-matematico” (p. 519). Da questo punto di vista, è forte l’eco con opere quali Flatlandia di Edwin A. Abbott, dove l’elevazione matematica verso un punto di vista composto da più di 4 dimensioni spazio-temporali coincide con una condizione di illuminazione metafisica e liberazione dalla dannazione non dissimile dal satori buddhista. Cărtărescu non si limita ad immaginare la possibilità di questi punti di vista, ma imprime all’opera intera la struttura di un poliedro n-dimensionale, dove le coincidenze inconcepibili e gli oggetti simbolici che ritornano come variazione periodica all’interno della narrazione hanno la stessa funzione di visualizzazione, data delle facce colorate dei politopi, di mondi con direzioni ulteriori.
“Quale motore viscerale e metafisico riesce a convertire l’oggettivo in soggettivo? Ho pensato spesso che ci sbagliamo quando guardiamo la realtà come un dato semplice ed elementare, mentre essa è, in realtà, l’animale più contorto, più stratificato, più pieno di organi, resine, tubi, grassi e cartilagini che si possa immaginare. L’animale nel quale viviamo, il verme anellide con la carne fatta di polvere infinita di stelle.” (p. 626)
Nonostante il solipsismo in prima persona della narrazione, la ricerca incessante non è esclusiva né di Cărtărescu né del protagonista del libro e nemmeno della sola specie umana, poiché tanto gli acari quanto le divinità sono soggetti alla stessa paura e dannazione nei confronti della morte e dell’oblio della materia da cui ogni forma di coscienza è emersa casualmente. Tutte queste vite si muovono sullo sfondo entropico e onirico di una Bucarest nata e costruita già in disfacimento, un riflesso dell’umanità“ridotta al suo grido d’aiuto” (p. 921) ma che allo stesso tempo, riprendendo un verso di Dylan Thomas “infuria, infuria contro il morire della luce!”. Lo stile di Cărtărescu ricalca e raschia la superficie di tutti i contorcimenti dei suoi personaggi e dei suoi lettori, portando alla luce gli interrogativi più profondi e fondamentali vita, sulla coscienza e sul dolore e rendendo corale e comune a tutte le specie viventi la ricerca di lacerazioni nell’incompletezza della realtà.
Solenoide di Mircea Cărtărescu è un’opera in cui ritrovare la potenza della contaminazione tra metodologie d’indagine filosofiche, letterarie e scientifiche adottate da diverse forme di coscienza per interrogare la realtà, amalgamate da una prosa meticolosa e sfolgorante che abbraccia uno slancio panpsichista dalla scala subatomica alla scala universale verso la conoscenza e verso la liberazione dal dolore.
Bellissima recensione. Ho letto già le prime 350 pagine e mi sta coinvolgendo ed entusiasmando. Grandissimo scrittore