Eleonora Smania
Il volo dei corvi (Грачи улетели, 2005) è l’eclettico romanzo di Sergej Nosov tradotto da Laura Pagliara ed edito nel settembre 2008 dalla casa editrice Voland all’interno della collana Sírin.
Sergej Anatol’evič Nosov è uno scrittore di prosa, saggista, poeta e drammaturgo nato a Leningrado il 19 febbraio del 1957. Laureato in ingegneria aereonautica, ha frequentato la scuola letteraria Gor’kij e, successivamente, lavorato come redattore della rivista “Koster” e direttore di Radio Rossija. Ha raggiunto il successo nel panorama teatrale grazie alle tragicommedie Don Pedro (Дон Педро, 1993) e Berendej (Берендей, 1994); mentre in ambito letterario grazie alla pubblicazione del romanzo La signora della storia (Хозяйка истории, 2000). Nel 2005 Il volo dei corvi è stato selezionato per il Booker Prize russo dello stesso anno e per il Premio letterario Nikolaj Vasil’evič Gogol’ nel 2006.
Link al libro: https://www.voland.it/libro/9788862430012
Ambientato nella Pietroburgo di fine anni Novanta, il romanzo narra le vicende di tre bislacchi uomini di mezza età legati l’un l’altro da un’improbabile amicizia: Boris Čiribëv, direttore scolastico e appassionato di storia ed etnografia, Michail Ščukin, custode di depositi dedito alla riparazione di vecchie macchine da scrivere e Leonid Tëpin, aspirante artista contemporaneo. Tuttavia, non è solo il particolare rapporto d’amicizia ad accomunarli, ma anche un singolare antefatto. Vent’anni prima, durante una notte di bevute, i tre amici fecero la pipì dal ponte Dvorcovyj sul fiume Neva. L’antefatto attira l’attenzione della giovane critica austriaca Katrin, la quale considera la bravata degli allora giovani ragazzi sovietici il primissimo esempio di arte concettuale russa messa in scena. I tre amici si ritrovano quindi inaspettatamente celebrati dalla giovane critica come pionieri dell’arte contemporanea e trascinati nel mondo dell’arte concettuale, contraddistinto da improbabili performance artistiche.
La prima caratteristica che risalta immediatamente è la manifestazione dell’aspetto comico all’interno del romanzo tramite le interazioni dei personaggi principali. La natura bislacca di Čiribëv, Ščukin e Tëpin contribuisce alla formazione dell’elemento comico nel romanzo. Le loro reazioni e modalità di interazione con gli altri personaggi e tra di loro appaiono talmente surreali da suscitare l’ilarità di chi legge.
La seconda caratteristica impossibile da ignorare è la particolare partizione del romanzo. Si osserva, infatti, una divisione in tre macro sezioni: prima parte (che comprende le vicende accadute a Pietroburgo ), seconda parte (flashback sul viaggio in Germania compiuto dopo l’antefatto del ponte Dvorcovyj) e terza parte (definita dall’autore come epilogo, ambientato nello stesso periodo della prima parte).
La prima parte è l’unica sezione del romanzo suddivisa in capitoli; all’interno di tale sezione si concentrano riflessioni sul concetto di arte e di vita intesa come performance artistica. La particolarità risiede nel fatto che tali riflessioni vengono elaborate da personaggi stravaganti come Čiribëv, Tëpin e Ščukin, che interagiscono l’uno con l’altro, esprimendo e mettendo in pratica le proprie concezioni di arte e di vita. La Pietroburgo nella quale i tre protagonisti si muovono appare onirica, metafisica, surreale, in linea con il mito creatosi attraverso le opere di Puškin, Gogol’ e Dostoevskij; allo stesso tempo si distacca in modo significativo da tale immaginario. La Pietroburgo di fine anni Novanta narrata nel romanzo è una città abitata da uomini smarriti e reietti, privati all’improvviso di una realtà a loro famigliare. La caduta dell’URSS, l’improvviso processo di privatizzazione e i bruschi cambiamenti sociali goffamente introdotti dalla classe dirigente nella vita dei cittadini sovietici hanno provocato in quest’ultimi una sensazione di smarrimento e di perdita. I simboli che facevano parte della loro quotidianità appaiono senza senso, spogli di significato.
“Com’è vivere in un quartiere dove ogni strada allude al sangue versato per te? Niente di particolare, si vive normalmente. Perché da tempo, ormai, nulla evoca più nulla.” (p.114)
Boris Čiribëv è un uomo che conduce un’esistenza normale tanto quanto mediocre. Si lascia influenzare facilmente dall’amico Tëpin, mostra indifferenza verso il suo ruolo di direttore scolastico, svolto per inerzia, e mal sopporta la vita coniugale con la moglie Elena Grigor’evna, costellata da continui litigi e incomprensioni. La passione per la storia di Pietroburgo gli permette di evadere per qualche minuto con la mente e di fantasticare, ripensando a tempi remoti e lambiccandosi il cervello sulle possibili origini di un certo edificio, di una data strada o del suo cognome.
“Boris Petrovič amava il passato più del presente. In generale non amava il presente. Il passato gli sembrava migliore almeno per un motivo: era più grande. Conteneva molte cose, di ogni genere; nel presente, invece, mancava sempre tutto. […] Quanto più l’ortica prosperava e il suolo era melmoso sotto i piedi e la stamberga era sperduta nella remota provincia, tanto più Boris Petrovič si incuriosiva: cosa c’era prima, qui?” (pp. 16-17)
In seguito all’incontro con Katrin, durante il quale viene elogiato come artista azionista, Čiribëv inizia gradualmente a ricercare nell’arte una risposta al suo desiderio di sentirsi parte di qualcosa, di trovare il senso della propria esistenza.
“Scendendo nei sotterranei della metro, Boris Petrovič pensava alla propria vita. Quanto c’era di artistico o di creativo in essa? Era davvero stato un artista? Se lo era stato, l’aveva dimenticato. O non se ne era reso conto. Ogni tanto si concedeva stravaganze da artista che lui stesso non è in grado di decifrare.” (p. 95)
Le stravaganze da artista alle quali si riferisce accadono più spesso e si rivelano sempre più essenziali per Čiribëv. Esemplare è la realizzazione raggiunta da Čiribëv di fronte al Quadrato nero di Malevič sul concetto di autentico nell’arte; la conversazione con uno sconosciuto gli permette di giungere a una drastica conclusione: il quadro che credeva riflettesse perfettamente in modo autentico le idee che l’autore voleva trasmettere è coperto da un vetro blindato, che lascia trasparire il riflesso dell’osservatore.
“A dirlo in modo approssimativo, il Boris Petrovič riflesso nel vetro occultava al Boris Petrovič rinchiuso nel vetro la verità che, ad essere precisi, Boris Petrovič si aspettava in coscienza di incontrare entrando all’Ermitage.[…] Per quanto strizzasse le palpebre, il suo doppio si insinuava insistentemente negli occhi, e il nero vergine fino a poco prima chiaramente distinguibile ora non lo era più. […] Boris Petrovič si sentì tradito. Gli avevano rifilato sé stesso per Malevič. ” (p. 107)
Alla figura di Boris Čiribëv si contrappone quella di Leonid Tëpin, aspirante artista concettuale irruento e scapestrato. Il quesito che pone non solo a se stesso ma anche ad altri è molto semplice, eppure non di facile soluzione: cosa rende un artista contemporaneo tale?
Le differenze tra l’artista e un individuo qualunque, tra arte e vita appaiono agli occhi di Tëpin poco distinte e ambigue. Nel caso di ambiguità simili, individuare i limiti etici e morali consentiti all’arte sembra una sfida molto più ardua. Discutendo con Katrin, Tëpin tenta di comprendere la differenza tra un artista che, per questioni estetiche, uccide un essere vivente e un individuo che uccide un essere vivente per necessità.
“– Supponiamo che il gatto sia affetto da una malattia pericolosa per gli altri gatti. O per gli uomini.
– È molto crudele – disse Katrin.
– Non lo metto in dubbio. Ma potrebbe essere una performance, un fatto di vita artistica?
– Una performance brutta, molto brutta.
– Per quale motivo quest’arte è brutta?
– Cattiva, molto cattiva. – ripeteva Katrin.” (p. 62)
Cosa distingue la mano di un artista ispirato che uccide il gatto per la sua performance da quella di un boia che deve uccidere il gatto perché pericoloso? Fino alla fine del romanzo, Tëpin tenta di capire cosa significhi essere un artista affinché possa essere riconosciuto come tale. È certo che ciò che era accaduto vent’anni prima sul ponte Dvorcovyj sia una performance artistica di tutto rispetto; tuttavia, non riesce ad ottenere il riconoscimento che sente di meritare.
“ – Perché seminare spavento nei filobus andando in giro nudi è arte, mentre pisciare nella Neva non lo è?
– Si potrebbe parlare di arte, di arte attuale, se tu per primo avessi trattato la questione come … come arte, come … come fatto artistico, ma tu hai solo pisciato senza un retro pensiero!
– Retropensiero! Che roba è? – chiese zio Tëpa […].
– In quello che hai fatto non hai messo un contenuto artistico! Non hai manifestato l’idea della tua azione come atto artistico. Non hai creato nulla, hai solo pisciato! Non sei un artista, non sei un creatore.
– E chi sono?
– Un impostore.” (p. 89)
Michail Ščukin, d’altro canto, non si dilunga in arzigogolate riflessioni legate all’arte: sfrutta invece il tempo libero a disposizione per occuparsi del suo amato hobby, ossia sistemare vecchie macchine da scrivere.
“Una volta ruppe di proposito il meccanismo di ritorno del carrello di una macchina da scrivere del club armeno per avere la possibilità di tornare ad aggiustarlo. E non lo faceva perché riparare macchine gli procurasse dei guadagni, ma solo perché gli piaceva il processo in sé: smontaggio, riparazione, posizionamento dei particolari, regolazione, assemblaggio.” (p. 68)
La passione per la riparazione di macchine da scrivere si tramuta in creazione artistica per Ščukin. La performance artistica di Ščukin non sta nell’utilizzo della macchina da scrivere, ma nello scomporla e ricomporla a piacimento. Una problematica con la quale si trova a dover fare i conti è la costante crescita di produzione dei computer, che vanno a sostituire le macchine da scrivere. Si pone il dilemma per Ščukin: stare al passo con i tempi avendo la consapevolezza di non poter più aggiustare macchine da scrivere come una volta, oppure rimanere ancorato al passato?
Ciascun personaggio giungerà a determinate conclusioni che li condurranno a compiere drammatiche scelte.
Il volo dei corvi è un romanzo assolutamente da leggere. È una riflessione tragicomica ricca di riferimenti legati all’ambiente artistico russo e internazionale (l’autore inserisce all’interno del suo romanzo artisti ed intellettuali contemporanei pietroburghesi) ingegnosamente elaborata dall’autore sul concetto di arte contemporanea, sulla figura dell’artista e sull’unione tra arte e vita nella Pietroburgo scossa dalla crisi degli anni 90.
Apparato iconografico:
Immagine copertina: https://www.sobaka.ru/city/portrety/38719