Martina Cimino
Pubblicata nel dicembre 2016 da Stilo Editrice, Deviando sollecito dalla rotta è un’antologia di poesia lettone tradotta e curata da Massimo Maurizio che non ha avuto la rilevanza che merita. Il volume, passato quasi inosservato all’interno del panorama editoriale italiano, concede anche a un pubblico non specialista di entrare in contatto con una produzione letteraria altrimenti preclusa. I testi, presentati con il corrispettivo russo a fronte, sono infatti accompagnati da una prefazione esauriente che ne delinea i principali tratti e introduce al contesto autoriale.
Link del libro: https://www.stiloeditrice.it/scheda-libro/orbita/deviando-sollecito-dalla-rotta-9788864791852-18.html
L’autore è il collettivo Orbìta (Tekst-gruppa Orbìta), costituitosi a Riga nel 1999 e formato da quattro poeti: Semën Chanin, Vladimir Svetlov, Sergej Timofeev e Artur Punte. Il loro percorso collettivo, iniziato a Riga con esibizioni in strada e nei locali, è iscrivibile all’interno di una poesia russofona dell’oralità fortemente ancorata alla componente testuale, a cui si richiama anche il nome del gruppo. Pertanto, nonostante la loro produzione sfoci nell’arte performativa avvalendosi di molteplici mezzi espressivi – fotografia, musica, videoart, istallazioni –, il testo rimane quella componente irrinunciabile che rivela la volontà di creare un dialogo equilibrato tra due culture. Volontà riconducibile alla scelta di scrivere in russo all’interno di un paese da poco liberatosi da una lunga occupazione sovietica (1944-1991) e in preda a forti contraddizioni. A partire dalla proclamazione d’indipendenza dello stato lettone, avvenuta il 21 agosto 1991 ma riconosciuta dall’Unione Sovietica soltanto il 6 settembre dello stesso anno, si assiste a una conseguente marginalizzazione culturale della popolazione russofona e a un relativo processo di occidentalizzazione, evidente anche nella poetica del gruppo. Infatti, un tratto distintivo di Orbìta è la loro eterogeneità. E scrivere sia in russo che in lettone, come ad esempio fa Punte, significa essere fortemente consapevoli della posizione liminare che la Lettonia ricopre, intraprendendo un percorso artistico che non solo tenta una conciliazione tra la cultura locale e quella che era stata egemonica fino a quel momento ma che guarda alle frontiere come punto di rinascita e integrazione. Perciò, i testi di Orbìta, pur inserendosi in una prospettiva dialogica in cui il legame con la tradizione letteraria russa persiste, dimostrano di avere una natura intrinsecamente europea che, come affermato dagli stessi fondatori, Timofeev e Punte, nell’intervista rilasciata al quotidiano Diena, deriva dalla particolarità del contesto di Riga e Fergana, unici luoghi in cui si è sentita l’urgenza di trovare uno stile che si potesse distaccare almeno in parte da quello diffuso nella Russia contemporanea e che permette, perciò, di considerare questi testi come una poesia che sia lettone e apolitica a prescindere dalla lingua usata.
È, dunque, operando in questa direzione che il verso libero, arricchito da rime interne, ripetizioni e anafore, diventa lo strumento prediletto per raccontare quell’impossibilità conoscitiva che ha contraddistinto il XX secolo ed è diventata forse la peculiarità più esaustiva della poesia contemporanea.
[…] noi siamo sempre i soliti, abitanti gelatinosi del cielo
perduti nelle giungle deserte di cemento armato
stiamo in piedi in pose scomode come pseudo orangotanghi non ancora scoperti
sulla riva incolta di un agognato champagnsea
attendiamo il segnale e moriamo di sete
a questo punto giunse a nuoto l’inchiostro
e attraverso le lenti rosee e bluastre delle meduse
baluginarono le saponette consumate di lisci volti inespressivi
(Semën Chanin, Naščupyvaja gubami gorlyško, “Scandagliando il collo con le labbra” p. 45)
In questo modo, lontana da ogni forma di lirismo e di affermazione di sé, la parola poetica diventa riflessione, pensiero silenzioso dell’io che, venendo espresso in primis per se stesso, si accompagna a un’epica del quotidiano in cui gli oggetti, considerati per la loro riconoscibilità, sono i primi e unici referenti della vita reale. Una vita altrettanto insondabile che impedisce ai poeti di giungere a una descrizione esaustiva del reale e li spinge a compiere un percorso costituito di tenui illuminazioni rimbaudiane che, nel tentativo di essere mimetico, oltrepassa però costantemente quel confine reale che definisce le relazioni tra individui e oggetti. Così, senza margine di identificazione il poeta cede spesso alla vita dell’altro, riconoscendolo come proiezione critica di sé in cui spera di trovare un segno che possa impedire una completa disgregazione della propria identità.
l’esistenza di questo segreto
non ci permetterà di sentirci vicini l’uno all’altro
di questo strano segreto
che costringe a tacere
ad aggrottare le sopracciglia a distogliere lo sguardo
Del segreto, testimoni involontari del quale
noi due siamo diventati
Ciò di cui si può soltanto tacere
crea vicinanze talmente impossibili
che non esistono due persone
che fingono con più impegno
di non conoscersi
tu puoi non essere accanto a me, ma questo
muro trasparente resterà comunque
(Vladimir Svetlov, Naličie etoj tajny, “l’esistenza di questo segreto” p. 79)
Dunque, all’interno di quest’ultimo disperato tentativo conoscitivo, lo spazio rimane quell’unica componente ancora familiare in cui cercare un senso e placare l’inquietudine di fondo che pervade i testi e la loro costruzione sintattica. Non è perciò casuale il ricorso frequente a toponimi o a riferimenti concreti, come in Gastarbajtery (Lavoratori migranti) di Artur Punte o in Narisuetsja na avtovokzale (Farà la sua comparsa alla stazione degli autobus) di Semën Chanin, al fine di creare uno spazio familiare che offra una possibilità di riparo e incontro. Tuttavia, anche quest’atto non rivela alcuna coordinata abbastanza stabile da contrastare quel senso di vertigine e di gorgo che 1
Se vivi in un posto piccolo
che la maggioranza di chi vi transita
ritiene una spiacevole necessità
perché deve rallentare
e il numero di chi vi transita in una giornata
supera di diverse volte
il numero degli abitanti
allora dovrebbe esserti da subito chiaro
quanto sospetta sembri
una macchina parcheggiata
all’ombra davanti a un camion
sul ciglio stretto del tunnel
formato dal flusso di transito
sulle corone degli alberi…
che cosa c’è sotto il telo
che cosa c’è dietro ai vetri
posteriori oscurati…
ma forse non è nulla di che
soltanto una coincidenza
(Arthur Punte, šosse, “la strada”, p. 21)
è l’aspirapolvere della vicina del piano
di sopra o è atterrato un aeroplano
è nebbia o nella stanza c’è tanta oscurità
che non si vede manco il fumo e la parola maman
fumare nel buio è solo come spostare il fumo
è incomprensibile
è la teiera che fischia o è la marea che si ode
oppure il grattarsi la faccia butterata del custode
forse è la tua testa che ti fa tanto male
o un albero che cresce sghembo giù in cortile
fruscia la carta
si rizzano i capelli
un bussare titubante
chissà che cosa è e non si scorgono cifre nelle vicinanze
(Semën Chanin, eto pylesos haverchu u sosedki, “è l’aspirapolvere della vicina del piano”, p. 55)
Sitografia di Orbìta:
Apparato iconografico:
1. Immagine di copertina quella tratta dall’edizione di Stilo Editrice