Sara Deon e Martina Mecco
“Solo le donne e i libri
sono stati bruciati sul fuoco dell’Inquisizione.”
(Dubravka Ugrešić)
Il titolo del terzo numero di Andergraund Rivista, “L’altra metà. Voci e figure femminili”, si rifà a una citazione tratta dall’opera miliare per il pensiero femminista del Novecento Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. Nel saggio, la filosofa francese sottolinea il livello di disparità che intercorre tra l’uomo rappresentato come il Soggetto, l’Assoluto, e la donna relegata al ruolo di Altro. Dunque, la donna trova definizione e si identifica solo in relazione all’uomo, non viceversa; per citare de Beauvoir, la donna “è l’inessenziale di fronte all’essenziale”. Per riprendere l’interrogativo rivolto dalla suddetta, a lungo ci si è interrogati sul perché le donne non abbiano contestato la sovranità maschile, il perché di una tale passività storico-sociale.
Tuttavia, la storia del Novecento nei Paesi dell’Europa Orientale e Centrale mostra una narrazione femminile ben lontana da quella di una presunta passività: dal contributo delle donne nei due conflitti mondiali e nelle ricostruzioni nazionali post-belliche fino alle forme di dissenso e resistenza sotto regimi dalle diverse bandiere, le donne hanno rivelato con crescente evidenza di non essere meramente un Altro contrapposto a un Assoluto. Eppure, questo binarismo di stampo maschilista si è a lungo trasposto e affermato nel canone letterario, laddove dei romanzi o delle opere scritte da uomini si sottolineava il carattere di universalità, mentre si riteneva che quelli scritti dal donne fossero destinati a un pubblico femminile, con l’idea diffusa che se l’uomo descriveva l’Universale, la donna descriveva il Particolare.
Nella celebre raccolta di saggi Sputiamo su Hegel, la scrittrice e teorica femminista italiana Carla Lonzi si focalizza sull’assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile. Secondo Lonzi, nel mondo patriarcale – un mondo fatto dagli uomini, per gli uomini – anche la creatività, che dovrebbe essere per definizione una pratica liberatoria, segue il medesimo schema patriarcale: è realizzata dagli uomini e per gli uomini. La donna, in quanto Altro, si vede negato lo stesso riconoscimento: nella sua creazione, non è prevista la medesima liberazione. La “creatività patriarcale”, come la definisce la teorica femminista, è la forza proattiva, che genera e plasma, mentre la donna è ingabbiata nel ruolo di spettatrice, gratificata dalla creatività maschile che osserva e assorbe, senza poterla ricambiare.
Quando si guarda al binomio donne e letteratura, il testo novecentesco che ha avuto maggiore influenza e risonanza è senza dubbi Una stanza tutta per sé della scrittrice britannica Virginia Woolf. Woolf affermava che una donna che vuole scrivere ha bisogno di cinquecento sterline l’anno e una stanza tutta per sé. Tuttavia, applicare questa visione della scrittura femminile nei territori dell’Europa Centrale e Orientale risulta forzato, perché la celebre affermazione di Woolf è frutto di una precisa mentalità di matrice borghese che difficilmente riesce a trovare applicazione nelle aree di cui si occupa questa rivista. Non bastavano, infatti, cinquecento sterline l’anno e una stanza tutta per sé perché le scrittrici di queste aree geografiche potessero scrivere: c’era l’espropriazione del proprio immobile con l’introduzione forzata di coinquilini come avvenne a Marina Cvetaeva, le difficoltà che Božena Němcová ha dovuto affrontare nel XIX secolo per crearsi uno spazio all’interno di un panorama intellettuale dominato da uomini, l’attivismo e i rischi derivati dalla militanza rivoluzionaria come per Rosa Luxemburg. Eppure le donne scrivevano, senza soldi o senza spazio privato, con l’ostilità aperta di stati minacciati dalla realtà demistificata che descrivevano nelle loro opere.
Prendendo le distanze da una visione eurocentrica e prescrittiva di come dovrebbe essere definita la letteratura scritta dalle donne, questo numero vuole mettere in risalto la polifonia dell’esperienza femminile nei territori dell’Europa Centrale e Orientale, il suo sentire transnazionale, universale.
Dall’istruzione elementare all’accademia, fino all’editoria, in Italia si assiste sempre di più a un’invisibilizzazione del contributo delle donne alla letteratura, nazionale o internazionale: una damnatio memoriae che oblitera grandi nomi della letteratura globale, prodotto ancora di una visione patriarcale della cultura come prima citato. Il solo fatto che spesso gli atenei italiani elargiscano talvolta dei corsi ad hoc di “letterature di genere” o “letteratura delle donne” come alterità rispetto ai tradizionali corsi di letteratura (ancora dominati da scrittori uomini), benché la loro presenza sia necessaria, fa emergere in maniera sempre più evidente l’obliterazione di cui queste sono state, e sono ancora, oggetto.
Negli anni Settanta, la seconda ondata femminista in Europa e soprattutto negli Stati Uniti mirava a un’operazione di archeologia femminista: queste donne, spesso studiose, accademiche e scrittrici, volevano riscoprire autrici, le cui biografie e opere, per diversi motivi, erano finite nell’oblio. Non tutti i testi contenuti in questa pubblicazione sono espressamente femministi, ma l’intento di questo numero vuole esserlo: ricreando un mosaico che rivela come l’esperienza femminile nel corso del Novecento si sia definita, la speranza è quella di dare visibilità ad alcuni nomi che, più di altri all’interno di questo numero, sono pressocché sconosciuti in Italia.
Oltre all’introduzione della sezione di ucrainistica, nel terzo numero sono presenti alcuni articoli di redattori e redattrici di altri atenei italiani, che hanno accolto positivamente la prima Call for Papers rilasciata da Andergraund Rivista. Nel numero sono contenuti complessivamente ventiquattro articoli, due traduzioni e due articoli in appendice. Oltre all’analisi di opere specificamente letterarie, è presente un articolo di cinema e uno di carattere storico-sociale. Inoltre, sebbene costituiscano la maggioranza, non tutti gli articoli sono dedicati a sole autrici: attraverso lo sguardo di taluni scrittori, alcuni degli articoli contenuti esplorano disparate rappresentazioni femminili, fuori da un’esperienza vissuta in prima persona.
Nel suo piccolo, Andergraund Rivista si augura che questa operazione possa essere un’occasione di riscoperta di alcune figure e rappresentazioni femminili poco conosciute, o di approfondimento di alcune più note ai lettori italiani, nel tentativo di restituire la multiformità dell’esperienza femminile, laddove si combina con la Storia e, ancora di più, con la forza creatrice che è la letteratura.