Silvia Girotto
È del 2024 Vienna anno zero, titolo italiano di Rückkehr nach Wien. Ein Tagebuch, un reportage in forma di diario della giornalista, traduttrice e scrittrice Hilde Spiel pubblicato da Keller Editore. Originaria della capitale austriaca ma trasferitasi in Inghilterra a 25 anni, la scrittrice narra la storia del suo primo ritorno in patria dopo la caduta del regime nazionalsocialista, che ha lasciato nella sua Heimat segni indelebili, da cui la città non si libererà in breve tempo. Il testo è accompagnato da una ricca postfazione di Enrico Arosio, responsabile anche della traduzione.
Link al libro: https://www.kellereditore.it/prodotto/vienna-anno-zero-hilde-spiel/
Le prime annotazioni contenute in Vienna anno zero risalgono alla fine di gennaio del 1946, quando Spiel rimette nuovamente piede sul continente martoriato dalla Seconda guerra mondiale dopo la sua fuga in Inghilterra assieme al marito, avvenuta nel 1936. Per circa un mese l’autrice esplora un’Europa e un’Austria diverse da quelle che ha lasciato, per scoprire quali siano le condizioni di una capitale occupata prima da forze dittatoriali e finalmente liberata. Dall’entrata in città dell’Armata Rossa sono passati diversi mesi, il tumulto iniziale si è calmato ed è il momento per Spiel di ricongiungersi ai luoghi del suo cuore e alle persone che si è lasciata alle spalle, osservando dal punto di vista sia di viennese che di reporter quanto si svolge ora in quello che era il cuore di un impero. Spiel, nata nel 1911, aveva in parte vissuto gli ultimi momenti di splendore della monarchia imperiale, rimasti poi nei racconti popolari e nel cuore dei cittadini dopo il primo conflitto mondiale. La scrittrice intende rivivere questa classica – e stereotipata – atmosfera viennese, in particolare la realtà idealizzata dei cafè, come il Café Herrenhof, che con la sua “arianizzazione” forzata è argomento di alcune pagine dello stesso Vienna anno zero. Il ritorno a casa di Spiel è infatti un viaggio che finisce per addentrarsi spiritualmente in nella città, in un’anima che raccoglie in sé quella di Vienna e quella della stessa autrice. I luoghi della capitale descritti sono quelli a cui è legata Spiel, che ripercorre la storia di Vienna insieme alla propria, finendo per creare il commovente ritratto di un individuo diviso tra il proprio bisogno di rivivere il passato e la necessità sociale di comprendere il presente.
All’età di trentaquattro anni Spiel torna dunque a Vienna dopo quasi dieci anni di assenza. Durante la sua vita nella capitale prima del conflitto era entrata in contatto con personaggi del calibro di Karl Kraus, oltre ad essere stata allieva di alcune illustri personalità del tempo come Oskar Kokoschka e Adolf Loos presso la scuola di Eugenie Schwarzwald, da lei frequentata. Dopo l’adesione al Sozialdemokratische Arbeiterpartei si laurea e continua gli studi universitari con un dottorato, ma al termine di questo deciderà di lasciare l’Austria, soprattutto a causa dei disordini politici. Sposata a Peter de Mendelssohn, che sarà negli anni a venire corrispondente dall’Inghilterra ai processi di Norimberga, emigra a Londra lavorando per il “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e per il “New Statesman”. Quest’ultimo la accrediterà per il suo viaggio a Vienna del 1946.
Le impressioni contenute in questo reportage in forma di diario vennero scritte, come sottolinea nella postfazione Arosio, a caldo e in lingua inglese, per essere poi tradotte in tedesco e adattate dalla stessa autrice per una pubblicazione che avverrà nel 1968 grazie alla casa editrice Nymphenburger di Monaco di Baviera. Gli anni che passarono tra stesura e pubblicazione le servirono forse per rielaborare quanto vissuto, anche alla luce di riflessioni nate negli anni successivi su piano politico e sociale in Europa. Questo reportage rappresenta un momento di ripartenza in cui si cerca di guardare verso il futuro partendo dunque da un “anno zero”, come sembra suggerire il titolo italiano, e ricostruire le macerie che sono presenti sia nella città di Vienna che nel cuore sella stessa autrice. Hilde Spiel torna alla sua Heimat piena di pensieri contrastanti, che deve rielaborare sia per quanto riguarda le esperienze vissute da questa nuova capitale che si sta riprendendo sia per quanto riguarda il vissuto personale. L’autrice, pressoché sconosciuta in Italia, viene ampiamente presentata da Arosio nella postfazione di questa pubblicazione. Questa panoramica è volta anche a comprendere quanto Vienna anno zero rappresenti un punto di partenza – appunto un anno zero – necessario per affrontare i primi passi dopo la vittoria delle democrazie nella Seconda guerra mondiale. In seguito alla conclusione del conflitto si presenta infatti la necessità di una ripartenza che dovrà portare a un periodo di pace sotto la guida dei governi democratici.
Le impressioni di Spiel nella Vienna del 1946 partono dall’aeroporto di Schwechat, un luogo che rappresenta un primo chiaro segnale di come questa terra stia cambiando, essendo ora controllato dalle potenze vincitrici stabilitesi in città, divisa in quattro settori, assegnati ciascuno ad un vincitore, come avvenuto anche a Berlino. Il cambiamento si scontra a partire da questo momento con la l’immagine nostalgica proposta dall’autrice, sia in senso personale che letterario, legata ad un’idea di Austria vista ancora come limes orientale, baluardo contro una presenza potente e sconosciuta proveniente dall’Est:
“Da sempre, qui, vi è stata una porta aperta ai barbari: da Oriente, nei tempi andati, calarono su Vienna gli Unni, gli Avari, i Magiari. L’Asia, sosteneva Metternich, aveva inizio a est di casa sua. […] Già all’uscita stanno di guardia i primi soldati russi con i loro alti berretti foderati di pelle di pecora. La presenza loro, e dei loro commilitoni, in questo sobborgo di Schwechat gli sottrae quanto ancora gli restava della sua appartenenza all’Europa.” (p. 21)
Dall’aeroporto parte dunque la narrazione del viaggio fisico e interiore di Spiel verso il centro della città. Vengono presentati Heiligenstadt, la verde zona in cui abitava l’autrice con i genitori e successivamente teatro di importanti ribellioni e scontri negli anni Trenta, come anche Döbling, ora quartiere residenziale e in passato un borgo autonomo rispetto alla città. Ogni osservazione è presentata attraverso una serie di confronti tra il prima e l’ora: come vivevano e vivono gli abitanti, il loro grado di felicità, i cambiamenti nella loro fede politica o religiosa.
Non sono poche le infiltrazioni sentimentali in questo testo, puntellato di ricordi sin dalle prime pagine, in cui la casa che la famiglia Spiel occupava a Heiligenstadt rappresenta un idillio di bambina distrutto a poco a poco dall’insicurezza, dalle problematiche economiche e sociali, dalla guerra e dalle violenze, che hanno costretto infine la scrittrice a scegliere la via dell’emigrazione. Insospettabilmente la strada che conduce Spiel al suo quartiere vira verso la Chiesa di Sankt Jakob, nonostante la famiglia Spiel fosse ebrea. Ed è alla fioca luce delle candele che riaffiorano in lei “tutte le sensazioni accumulate, sopite per anni, quando il coraggio bisognava ricomprarselo al prezzo di sentimenti raffreddati” (p. 57).
Il viaggio sentimentale prosegue narrando la storia dei singoli luoghi che Spiel visita o in cui alloggia e centro della narrazione diventa anche la popolazione che ora vive in quelle strade. Se ne racconta lo sviluppo durante l’occupazione che ha cambiato il modo di vivere e la modalità di affrontare la propria esistenza originaria, che è tuttavia tornata a farsi strada nel momento in cui Vienna è liberata, nonostante gli abitanti siano stati colpiti duramente dal regime nazionalsocialista. L’occupazione ha reso il popolo una “massa informe di gente eterogenea che ormai ha preso il posto dei viennesi [e che] sembra troppo affamata e snervata per essere gentile” (p. 57).
I simboli della città sono quasi irriconoscibili. Il Prater, il grande parco che ospita ora giostre e stand di vario genere oltre alla famosa ruota panoramica, mostra la desolazione a cui sono state ridotte la città e la sua atmosfera. L’aria di festa è stata attraversata dalle bombe che hanno spazzato via la spensieratezza che vi si respirava. Il parco divertimenti è descritto ora come “un deserto di travi carbonizzate e putrelle in ferro ricurvo, sopra le quali la Ruota, deformata e senza più un vagone, svetta in tutta la sua dolente solitudine” (p. 63). La guerra con la sua violenza ha portato solo disperazione, ma anche dopo la fine del conflitto la situazione non ha fatto altro che precipitare. Nel corso della lettura dell’opera ricorre infatti la presenza in città dell’esercito russo. Guerra e povertà hanno portato ad una iniziale festa per l’arrivo dell’Armata Rossa, che tuttavia assume presto ruolo negativo, quasi fossero nuovi invasori. Gli abitanti di Vienna, in ispecie coloro che avevano riposto nel comunismo le proprie speranze, rimangono delusi nel vedere che i russi sono uomini come tanti altri in Europa e non esseri incorruttibili. Il fatto di aver neutralizzato una potenza occupante non è dunque indicatore di bontà e correttezza insite nella popolazione russa, come in nessun’altra. L’unica speranza sembra essere quindi guardare in avanti con uno ricordo nostalgico al prima, al legame con l’Europa che si è spezzato. Tale legame sembra passare soprattutto attraverso la libera circolazione di idee tramite l’arte, linguaggio universale. Alcune pagine di questa pubblicazione sono dunque dedicate alle espressioni artistiche in una Vienna distrutta, che cerca di riprendersi la vita mondana nei teatri, all’opera e nei musei che le era propria. Dalla forma artistica del cabaret, resa impossibile a seguito dell’Anschluss, si passa alle più rinomate rappresentazioni in forma teatrale di Hofmannsthal e alle semplici espressioni di una vita dedicata all’arte o che almeno in essa cerca conforto: “[o]gni martedì pomeriggio, in un locale le cui finestre affacciano sugli aceri alquanto deperiti del Ring, si dà appuntamento un certo numero di scrittori, poeti, saggisti e pittori, per discutere non solo del prossimo numero della rivista ma un po’ di tutto quello che accade di nuovo nei rispettivi campi.” (p. 99) Risulta ancora incredibile la libertà che la società può respirare nuovamente, non solo nella possibilità di esprimersi attraverso la propria arte, ma anche di stringere legami di fratellanza oltre confine attraverso lo strumento artistico, in grado di unire caratteri molto dissimili tra loro. Spiel, che ha avuto la possibilità di osservare due dopoguerra, si rende conto dell’universalità di questa condizione, ricordando come anche dopo il primo conflitto mondiale il rilancio della vita culturale fosse di vitale importanza in questa città, che della cultura ha fatto il proprio marchio di fabbrica, ma anche il proprio senso di esistenza. Si tratta di un tentativo di riprendere lo sviluppo artistico che si era interrotto molti anni prima, creando un ritardo rispetto al resto d’Europa, ma anche una nuova coscienza negli artisti. Da questa coscienza, afferma l’autrice, potrebbe scaturire qualcosa di importante.

Infine, un’ulteriore e inevitabile questione si pone ai lettori di Vienna anno zero nell’analisi della condizione austriaca del secondo dopoguerra: come affrontare i concetti di colpa e responsabilità? Attraverso le sue conoscenze, Hilde Spiel guida chi legge attraverso le tormentate vita dei suoi conoscenti, tra chi ha rifiutato di definirsi sostenitore di Hitler ed è fuggito, chi è rimasto e ha dovuto nascondersi per anni, chi ha addirittura dovuto inscenare la propria morte per sopravvivere, chi ha aiutato i propri amici a fuggire o a nascondersi e chi infine, per comodità o necessità, ha deciso di affermare il proprio sostegno alla Germania nazionalsocialista. Ormai “tutte le linee di confine risultano sfocate” (p. 84), afferma Spiel. Proprio questo pensiero è quanto traspare dalla narrazione: nulla è definito in questo anno zero, ci si trova tra contraddizioni e in un equilibrio precario, condizione ormai irrisolvibile che è tuttavia necessario conoscere e affrontare. E una prima conoscenza è possibile attraverso questo testo, occasione per il pubblico di seguire i passi di Spiel, che accompagnano in una visita nostalgica alla sua città del passato, del presente e della speranza nel futuro.
Apparato iconografico:
Immagine 2 e di copertina: https://en.wikipedia.org/wiki/Hilde_Spiel#/media/File:Hilde_Spiel_Austrian_writer.jpg
Immagine 3: https://pixabay.com/it/photos/chiesa-karlskirche-wien-austria-4810329/