Andrea Braschayko
Abstract
A War on History: The Role of Historiography in the Russian Invasion of Ukraine
The historical narrative surrounding Ukraine has become crucial in the context of the ongoing conflict with Russia, particularly since Moscow’s full-scale invasion on 24 February 2022. This introduction explores the complex historical roots of Ukrainian identity and statehood, from the Kyivan Rus era to the Soviet period, and examines the impact of events such as the Holodomor, the Second World War and Soviet historiographical suppression on Ukrainian national memory. It also discusses the competing interpretations of history offered by Vladimir Putin and Ukrainian scholars, highlighting Ukraine’s struggle to regain its historiographical autonomy after the dissolution of the Soviet Union. The role of Western scholarship and the Ukrainian diaspora in shaping the Ukrainian narrative is analysed, as are the tensions between ethno-centric and civic concepts of nationhood. The study concludes by assessing the transformative impact of the recent war on Ukrainian identity, highlighting its resilience and potential pathways towards an inclusive national framework amidst external aggression and internal diversity.
La mitologia cosacca, i banderisti e la Grande Guerra Patriottica, la Rus’ di Kyiv, il genocidio dell’Holodomor, Lenin e Stalin, una presunta Novorossija: la Storia è stata, più che in altre guerre, al centro della contesa fra ucraini e russi in seguito all’invasione di Mosca del 24 febbraio 2022. Una vera e propria ossessione per Vladimir Putin: alcuni ritengono che l’intenzione dell’autocrate russo di invadere Kyiv si potesse scorgere tra le righe de “Sull’unità storica di russi e ucraini” (“Ob istoričeskom edinstve russkich i ukraincev”), il saggio di revisionismo storico sui rapporti secolari fra russi e ucraini scritto da Putin e pubblicato il 12 luglio 2021 sul sito ufficiale del Cremlino.
Al contempo, la stessa identità di Volodymyr Zelens’kyj – ebreo russofono ucraino – è emblematica della complessità della Storia dell’Ucraina. L’analisi del contesto storico in cui si è sviluppata la graduale formazione di un’identità ucraina, così come i tentativi di riprodurre una statualità che rappresentasse quest’ultima, processi quasi sempre dipendenti dagli sviluppi politici più ampi dell’Europa centro-orientale, hanno il merito di fornire nuove prospettive sui significati attribuiti dall’Ucraina e dagli ucraini alla propria guerra di resistenza iniziata nel 2022 – o, secondo altri, nel 2014, se non prima –, aiutando a comprendere meglio i principali talking points della propaganda putiniana.
Nel 1995 lo studioso americano Mark von Hagen intitola provocatoriamente un suo articolo “Does Ukraine have a history?”, riflettendo su una mancanza non fattuale, quanto formale: il popolo e le istituzioni ucraine avevano sì un passato, e dunque una storia, ma non possedevano una tradizione storiografica a sé stante rilevante per la comunità accademica e politica internazionale, cioè una Storia dell’Ucraina. Di certo, in quel momento si trattava di un obiettivo ambizioso. Erano passati appena quattro anni dalla fuoriuscita dell’Ucraina dall’oblio storiografico dell’Unione Sovietica. La memoria ucraina si stava appena risvegliando dal lungo sonno di un’amnesia forzata, quella di un’epoca in cui la ricerca storiografica era distorta da una apparentemente innocua prospettiva di “fratellanza dei popoli” (von Hagen 1995: 663), iniziata durante lo stalinismo per nascondere sotto il tappeto della lotta di classe le gravi, e numerose, tragedie avvenute durante il primo quarto di secolo dell’Unione Sovietica.
L’amnesia collettiva era inevitabilmente favorita dalla comunicazione politica sovietica e stalinista, che tendeva a minimizzare le conseguenze sociodemografiche, psicologiche e politiche della vittoria (Cfr. Ellman – Maksudov 1994). Allo stesso tempo, Dopo il 1945, anche molti ucraini avevano un desiderio principale: dimenticare il passato, celebrare la vittoria della Grande guerra patriottica in modo superficiale, senza scavarne sino in fondo i dettagli: il silenzio di/su tragedie “nazionali” come l’Holodomor, ma pure l’Olocausto e i massacri della Volinia: “la versione sovietica del passato era conveniente, perché nascondeva i traumi” (Hrytsak 2023: 330), ha scritto lo storico ucraino Jarsolav Hrytsak nel suo celebre lavoro Storia dell’Ucraina. Dal Medioevo a oggi, edito anche in italiano da il Mulino.
Negli anni Novanta, l’Ucraina non ha però potuto fare a meno di ricordare la sua storia: cioè quella di un territorio in cui la violenza più efferata era stata perpetrata, nei secoli precedenti, tra le diverse comunità, gruppi etnici ed entità statali che anelavano il controllo di una zona la cui strategicità è difficile da sopravvalutare. Andava però trovato anche un senso storico a quelle tragedie, un cammino definito e coerente che aveva portato l’Ucraina a essere uno Stato sovrano a partire dal 1991. Una questione che sin dall’indipendenza è stata urgente al pari della scelta del suo futuro; ben presto, una delle tragedie più dolorose, l’Holodomor, ovvero la carestia sovietica del 1932 e 1933, avrebbe contribuito a plasmare una parte dell’identità ucraina (Cfr. Kasianov 2010).
Von Hagen notava come nella storiografia occidentale la questione dell’Ucraina fosse stata fino ad allora affrontata come quella di una nazione “in cerca delle sue radici” (Von Hagen 1995: 658), la cui storia difficilmente poteva essere scissa dalla complessa situazione delle popolazioni non-storiche dell’Europa centro-orientale, soggette al dominio di tre dinastie imperiali – Asburgo, Romanov e Hohenzollern – fino alla Prima guerra mondiale.
Durante la seconda metà del XX secolo, le rivendicazioni ucraine cercarono di trovare un patrocinio in Occidente, una advocacy accademica e culturale che rendesse possibile il passaggio a rivendicazioni politiche. Questo lavoro fu svolto prevalentemente dagli storici della diaspora ucraina, in particolar modo negli Stati Uniti e in Canada; tuttavia, la questione ucraina rimase spesso ai margini del dibattito accademico durante gli anni dell’epoca sovietica (Cfr. Kasianov – Ther 2009).
Alcuni decenni prima di Von Hagen, nel contesto storico – ma non geografico – della Repubblica Socialista Sovietica (RSS) Ucraina, uno dei pionieri nello studio del pensiero politico ucraino, lo storico canadese di origini galiziane Ivan Lysiak Rudnytsky, aveva sottolineato come “lo studio dell’Ucraina contemporanea sia [stato] di dominio della scienza politica piuttosto che della storia, e la maggioranza delle ricerche in questo campo siano state compiute dagli scienziati politici” (Rudnytsky 1972: 235). Secondo Rudnytsky, il paradigma della storia nazionale, il suo tema centrale, era quello del processo di formazione statale di una nazione ucraina (Cfr. Hrytsak 2023).
Si definisce però l’esistenza stessa dell’Ucraina in quanto un dato di fatto: parafrasando lo storico statunitense Timothy Snyder, in questa sede ci si chiede why the nations are, piuttosto di come avrebbero potuto non essere. Come peraltro scrive lo storico britannico Andrew Wilson nella prefazione della quarta edizione del suo libro dall’eloquente titolo Ukrainians. An unexpected nation (2015), le pronunciate differenze etniche, religiose, linguistiche e regionali hanno posto, nel passato, dubbi sulla fattibilità pratica di costituire una nazione ucraina legittimabile dalle sue numerose anime. Ciononostante, una nazione inaspettata è in ogni caso una nazione – né più né meno delle altre (Cfr. Wilson 2015).
Conseguentemente, divenendo un soggetto politico indipendente, l’Ucraina ha acquisito il diritto ad avere un futuro soggettivo e ciò ha una prima legittimazione nel passato più recente: gli eventi successivi alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e la progressiva decostruzione dei suoi miti storici rispondono da soli all’ulteriore domanda di Von Hagen: “Should Ukraine have a history?”.
Avere una narrazione storiografica sufficientemente condivisa si è rivelata un’esigenza resa ancor più stringente, quanto di difficile raggiungimento, dopo gli eventi iniziati con le proteste di Euromaidan del 2013-2014 e al successivo clima di polarizzazione foriero, volente o nolente, dei tragici eventi che il successivo decennio della Storia moderna ucraina ha conosciuto: in questo senso, entrava nel vivo il dibattito fra concezioni più o meno etnocentriche e nazionaliste della storiografia nazionale, in un territorio in cui la concezione civica della nazione era per altri versi necessaria al fine di un equilibrio sociale. Ciò in virtù della compresenza di diverse minoranze, di cui quella russa era la principale, lungi dall’essere l’unica.
Allo stesso tempo, la duplice interpretazione filologica della parola Ucraina come krajina (“paese”) – simile alla definizione delle popolazioni germaniche alla propria come terra come Deutschland, “paese del popolo” (Cfr. Hrytsak 2023) – ma anche “terra di confine” – u (“presso, al”) kraj (“confine”), linea di frontiera fra diversi tipi di civilizzazione, culture, religioni e poi Imperi ed entità statali, rende necessario oggi un approccio transnazionale alla storiografia e allo studio dell’etnogenesi ucraina (Cfr. Plokhy 2007).
Molti sono gli elementi che hanno determinato l’ibridismo culturale e identitario delle regioni poi riunite nell’Ucraina in epoca moderna. Ciò non significa che il concetto di etnia non abbia avuto un ruolo fondamentale nelle rivendicazioni dei nazionalisti ucraini durante l’Ottocento, e con ancora più veemenza nel Novecento – Stepan Bandera è l’esempio più celebre e citato, nei lavori accademici come nella propaganda politica –, nella volontà primaria di differenziarsi da russi e polacchi.
Tutt’altro: lo storico ucraino-canadese Serhiy Yekelchyk (2020) nota come la parola ucraina per definire la nazione, natsiia, abbia un significato differente dall’inglese nation, comunemente inteso come sinonimo di Stato.
Il celebre slogan “Gloria all’Ucraina” (in ucraino Slava Ukraini) è un saluto nazionale ucraino, spesso accompagnato dalla risposta “Gloria agli eroi” (Heroyam Slava), e dalla seconda strofa, “Gloria alla Nazione” (Slava Natsii) a cui viene risposto “Morte ai nemici” (Smert’ voroham). Apparso per la prima volta durante la guerra di indipendenza ucraina tra il 1917 e 1921, nel contesto della Rivoluzione russa, ha avuto maggiore diffusione nel movimento ultranazionalista OUN con alcune variazioni puntate all’esaltazione dei suoi leader (Cfr. Rossolinski-Liebe 2014). Nel 2018 è divenuto il saluto ufficiale delle forze armate, per poi acquisire notorietà internazionale a partire dall’invasione su larga scala della Russia nel febbraio 2022, venendo largamente decontestualizzato rispetto all’uso originale.
La natsiia, alla cui gloria viene dedicata la seconda parte dello slogan Slava Ukraini, viene intesa come una comunità etnica di persone la cui origine, linguaggio e cultura sono comuni ma a cui è storicamente mancato il requisito fondamentale: il possesso di un’entità statale indipendente.
Secondo una prospettiva costruttivista, questi legami non avrebbero potuto formare una nazione senza un esplicito riconoscimento di essi, in assenza, cioè di una comunità immaginata che si differenziasse dall’altro, come pure dalla risoluzione delle potenziali problematiche di convivenza degli ucraini, in quanto gruppo etnico auto-percepitosi come omogeneo, con le comunità polacche, russe ed ebraiche nelle diverse regioni riunite negli attuali confini dell’Ucraina. Una questione ricorrente nelle rivendicazioni ultra-nazionalistiche ucraine fra XIX e XX secolo, e che esploderanno con particolare violenza tra il 1930 e il 1950.
D’altra parte, come nota Hrytsak (2023), un’altra importante distinzione etimologica è tra narod (popolo) e natsiia (nazione), spesso usati in modo intercambiabile in Galizia su influenza della terminologia polacca. “Una nazione è un popolo che vuole vivere una propria vita politica autonoma (cioè, avere uno stato nazionale)”, tuttavia “spesso è impossibile stabilire una distinzione chiara e univoca tra popolo e nazione” (Hrytsak 2023: 138).
Già un secolo prima delle domande di Von Hagen, gli intellettuali ucraini avevano provato a ricostruire le proprie radici attraverso la produzione storiografica di massa, quasi ottant’anni in ritardo rispetto a polacchi e russi (Cfr. Plokhy 2007). La frase dello storico americano di origine armene Ronald Grigor Suny secondo cui “la storia come disciplina ha contribuito alla formazione delle nazioni” (Suny 2000: 589) trova conferma nella figura di Mychajlo Hruševs’kij, un professore di Storia ucraina dell’Università di Leopoli, nato in Polonia da una famiglia russa. La sua colossale opera del 1898, Storia dell’Ucraina-Rus’, presentava per la prima volta lo sviluppo storico ucraino come un processo totalmente separato da quella russo (Cfr. Plokhy 2015). La narrazione storiografica dell’Impero Zarista, da Pietro I in poi, rivendicava la visione di un continuum storico e identitario panrusso dalla fondazione di Kyiv fino a quella di Mosca e San Pietroburgo (Cfr. Kappeler 2009).
Non si trattava dunque solamente di ri-scrivere la storia di un popolo, ma definire le basi della sua fondazione per legittimarne il presente, soprattutto nei confronti di coloro che cominciavano a essere percepiti, seppur da una minoranza interna alle élite cittadine, come oppressori storici: una prospettiva che diventerà definitivamente mainstream solamente dopo il 24 febbraio 2022.
Hruševs’kij sfida la narrazione russa, proclamando la Rus’ di Kyiv come un’eredità storica ucraina, la sua prima formazione proto-statale, che ha poi burrascosamente trovato continuità nel Principato di Galizia e Volinia, all’interno del Granducato di Lituania, e raggiunto la maturità nell’età dell’oro dell’Etmanato cosacco autonomo tra i ranghi della Rzeczpospolita polacco-lituana.
L’esperienza cosacca veniva celebrata dalla scuola storiografica populista di Hruševs’kij, così come da una crescente rappresentanza degli storici – e non solo, basti pensare alla presenza della simbologia cosacca nell’esercito e nella cultura di massa – dell’Ucraina contemporanea, per il mito dei suoi valori libertari in opposizione ai dominatori stranieri, vale a dire contro l’egemonia aristocratica dei polacchi e quella dispotica russa (Cfr. Kappeler 2009).
Nonostante non avesse mai raggiunto l’indipendenza per come intesa dallo ius gentium, l’autonomia cosacca, attraverso forme primordiali di democrazia militare e protezione delle classi contadine dall’oppressione della schiavitù sofferta nelle entità statali circostanti, aveva ispirato le classi intellettuali ucraine dell’Ottocento nella formulazione di una visione della statualità ucraina libertaria e ribelle verso i più potenti vicini-dominatori, oltre alla presunzione di possedere una maggiore vocazione libertaria e democratica rispetto agli stessi (Cfr. Cella 2021). Non finirà bene: il celebre “dono” della Crimea da parte di Nikita Chruščëv avvenne nel 1954, durante le celebrazioni del trecentesimo anniversario del trattato di Perejaslav del 1654, in seguito al quale i cosacchi si alleavano con lo Zarato russo, diventandone de facto un proto-Stato vassallo.
Il primo tentativo politico di indipendenza dell’Ucraina moderna avrà luogo, invece, durante gli ultimi mesi della Prima guerra mondiale, legato a doppio filo con i processi di imminente dissoluzione degli Imperi centrali, di cui il crollo fine della dinastia zarista in Russia è stato il trigger fondamentale. Nonostante le istanze nazionali ucraine stessero assumendo forma già nei decenni precedenti alla Grande Guerra, in particolare tra le classi borghesi e intellettuali cittadine, a dare spinta al primo tentativo indipendentista ucraino sono i contemporanei collassi degli imperi austro-ungarico e russo, le due entità sovranazionali in cui la maggioranza della popolazione di etnia ucraina era incorporata nel primo Novecento.
L’esperienza indipendentista ucraina – o meglio le sue varie forme, dal socialismo di Petljura alla dittatura di Skoropadskij, fino all’autonomismo anarchico di Nestor Makhno – fallì durante la guerra civile tra il 1917 e il 1921. A prevalere fu la prospettiva bolscevica sulla nazione ucraina espressa nella SSR Ucraina, che tuttavia nei primi decenni mancava delle sue regioni occidentali e meridionali. In modo alquanto paradossale, fu proprio Stalin – autore di crimini contro l’umanità (anche) contro gli ucraini negli anni Trenta – a unificare “in nome dell’Ucraina, e non della Russia” (Rudnytsky 1972: 243) queste regioni con alta presenza etnica ucraina e ucrainofona con le altre regioni della SSR Ucraina alla fine della Seconda guerra mondiale, dando vita a quella mappa dell’Ucraina internazionalmente riconosciuta per cui Putin ha “accusato” Lenin nel suo discorso del 22 febbraio 2022.
A quale prezzo fu raggiunta questa unificazione – con l’importante eccezione della Crimea, come accennato annessa nel 1954? La violenza tra il 1914 e il 1945 aveva inevitabilmente segnato la cultura e l’identità ucraina per le generazioni a venire. Come ha scritto dopo l’invasione russa su larga scala lo scrittore ucraino di lingua russa Aleksej Nikitin, in un articolo tradotto in italiano per la rubrica di Memorial Italia sull’“Huffington Post”, “la storia della cultura ucraina è la storia delle quattro principali culture che esistevano in Ucraina all’inizio del secolo scorso: polacca, ebraica, ucraina e russa” (Nikitin 2022).
L’interconnessione fra queste culture sul suolo ucraino era sia causa che effetto di una entangled history, cioè una storia correlata fra le etnie e culture maggioritarie fra le diverse minoranze presenti nell’attuale territorio ucraino, fra cui spiccano pure le presenze secolari di tatari di Crimea, ungheresi, romeni, armeni, bulgari, tedeschi, serbi e bielorussi. In conseguenza della violenza della prima metà del Novecento, questi gruppi
“non scomparvero del tutto, ma la loro percentuale nella popolazione dei territori ucraini si ridusse drasticamente da un 20-30% a un 1-2% del dopoguerra. Diventarono minoranze insignificanti. L’unico gruppo che non solo non ridusse la propria presenza, bensì la incrementò, furono i russi. Ma in generale l’Ucraina diventò fin troppo omogenea dal punto di vista etnico e molto meno comunità rurale; in due parole, diventò una nazione moderna”. (Hrytsak 2023: 296)
Negli ultimi tre anni, quegli ucraini la cui coscienza nazionale si è lentamente formata durante il Novecento, ma soprattutto quegli stessi russi etnici spesso diventati ucraini dal punto di vista civico residenti nelle aree urbane del sud-est, sono stati le prime vittime degli attacchi quotidiani dell’esercito del Cremlino. Se l’annessione della Crimea e il conflitto civile internazionalizzato in Donbas, con il supporto russo decisivo per tenere a galla i separatisti locali, sono stati circoscritti a specifiche province, l’attacco del 24 febbraio 2022 si è rivelato totale, dal punto di vista geografico e mentale. Al contrario delle aspettative dell’establishment russo, la guerra non ha scoperchiato l’artificialità della nazione ucraina, ma ha piuttosto rafforzato il suo desiderio di emancipazione e differenza rispetto all’aggressore russo, soprattutto in quella fetta di popolazione che in passato non trovava motivo di definirsi in quanto ucraina o in quanto russa. In questo senso, l’invasione russa del 2022 è stata una battaglia di resistenza nazionale per l’Ucraina, ridefinendo il concetto stesso di nazionalità ucraina.
Se a prevalere saranno le sue concezioni più etnocentriche, o viceversa quelle più aperte o inclusive, dipenderà dalle conseguenze sociali, politiche e geografiche di un eventuale accordo di pace e congelamento della guerra, di cui si parla a gran voce dopo l’insediamento del quarantacinquesimo presidente americano Donald Trump. Pur di fronte alla prospettiva di concessioni territoriali e di una “sconfitta” tecnica sul campo, l’Ucraina ha conquistato, tra il 2022 e il 2025, la sua vittoria più importante: milioni di persone, con prospettive diverse se non contrastanti, sono ancora disposte a discutere fra loro per trovare un percorso condiviso all’interno della stessa comunità. L’Ucraina continuerà a esistere, come qualsiasi Stato, artificiale a modo suo.
Bibliografia:
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Sitografia:
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Apparato bibliografico:
Immagine 1: https://www.businessinsider.com/putin-claims-map-proves-ukraine-not-real-despite-saying-ukraine-2023-5