Radio Leningrado e le sue voci: la funzione salvifica della letteratura durante l’assedio

Eleonora Mancinelli

 

Abstract

Radio Leningrad and Its Voices: the Saving Function of Literature During the Blockade

The siege of Leningrad was among the most tragic pages of the Second World War. From the 8th of September 1941 to the 27th of January 1944, the city and its inhabitants were crushed, weakened and killed by starvation, cold, diseases and bombings. Leningrad was isolated from the country, in such circumstances the only means of information was the radio, which never stopped broadcasting news, appeals and readings. Leningraders were accompanied in their days, by military bulletins, propaganda speeches, readings, and the sound of songs, poems and essays that came to life from the microphones of such broadcasts as the literary program Radiokhronika. Numerous were the personalities from the art world who contributed to the radio broadcasts, which became together with art itself the saving element in the ordeal of the daily lives of Leningrad listeners. This article is dedicated to the recount of how thanks to many artists and their works broadcasted by the radio of Leningrad, people found refuge during one of the city’s darkest moments.


A quei tempi a Leningrado la poesia assumeva il nobile fardello di quasi tutta l’arte.

(Berggol’c 1990: 197)

Il palinsesto radiofonico leningradese del 22 giugno 1941 prevedeva che a mezzogiorno venisse trasmessa l’opera Carmen (1875) di Georges Bizet, ma la programmazione subì delle modifiche drastiche; quel giorno, tramite le parole del commissario del popolo per gli affari esteri Vjačeslav Molotov, venne trasmesso l’annuncio dell’improvviso attacco da parte delle forze armate tedesche. Nel corso di tutta quella giornata vennero più volte diffusi i versi del poeta baltico Jurij Inge (1905-1941) Vojna načalas’ (“La guerra è iniziata”, 1941) conosciuti anche come Il primo giorno di guerra: “I nostri cannoni si sono risvegliati! / Il nemico ha attaccato. Siamo entrati in battaglia!”.

Già dai primi giorni di guerra la popolazione fu obbligata, secondo un decreto emanato appositamente, a consegnare tutti gli apparecchi radio riceventi in loro possesso. L’unico mezzo che la popolazione aveva per ricevere informazioni rimase la rete di radio trasmissione via cavo, le comunicazioni potevano essere apprese collettivamente nei numerosissimi punti radio sparsi per la città (Palladin 1991). Fu proprio dagli altoparlanti che, il 3 luglio 1941, due settimane dopo l’aggressione tedesca al territorio sovietico, dalle trasmissioni di Radio Mosca venne diffuso il discorso di Stalin alla nazione, il primo dall’inizio della guerra. “Questo discorso dissipò le illusioni sulla rapida fine della guerra. Ci rendemmo conto che la situazione era molto grave” (Palladin 1991).

Sin dall’inizio della guerra si comprese immediatamente come la radio avrebbe giocato un ruolo fondamentale per la conservazione e fortificazione degli spiriti dei cittadini e delle cittadine russe che si ritrovavano quotidianamente all’ascolto.

Dalle memorie di Pёtr Palladin, diventato capo della stazione radiofonica due giorni dopo l’attacco tedesco al territorio sovietico, si evincono le difficoltà e gli sforzi dei lavoratori della Casa della Radio, Dom Radio, durante tutto il periodo bellico. Palladin e gli altri specialisti della stazione radiofonica sin dal 1° luglio 1941 vennero trasferiti in maniera permanente all’interno della Casa della Radio. Da quel luogo dirigevano e organizzavano le trasmissioni da mandare in onda. Tra le molte trasmissioni, Poslednie izvestija (“Ultime notizie”), le informazioni del Sovinformbureau, l’agenzia di stampa sovietica e svariati programmi da Mosca.

La guerra irruppe a Leningrado nel settembre 1941, quando le forze armate tedesche attaccarono e assediarono la città. Con il bombardamento dell’8 settembre 1941 iniziò uno dei periodi più tragici e strazianti della storia della città, conosciuto come blokada Leningrada, l’assedio di Leningrado.

Per quasi novecento giorni la città asserragliata seguì il ritmo scandito dalle voci provenienti dagli altoparlanti, mentre le condizioni di vita dei cittadini si facevano sempre peggiori. La fame fu tra le principali cause di deperimento e morte della popolazione. Dopo che i grandi negozi di alimenti Badaev vennero incendiati in concomitanza con l’inizio dell’assedio (Piretto 2018: 568) e a causa della conseguente perdita di preziose scorte di beni alimentari, nel mese di novembre venne messa in atto l’ennesima ed estrema riduzione delle norme della distribuzione del cibo: i lavoratori potevano ricevere duecento grammi di pane al giorno, gli impiegati, le persone a loro carico e i bambini ricevevano invece una porzione da centoventicinque grammi (Cfr. Palladin 1991).

Il freddo, l’assenza di riscaldamento e di corrente elettrica furono anch’esse tra le componenti che misero in ginocchio la popolazione. Come ricorda il capo della stazione radiofonica nelle sue memorie:

Il dicembre del quarantuno fu il mese più difficile dell’assedio. L’elettricità veniva attivata per periodi molto brevi. […] Le forti gelate e l’inizio della fame cominciarono a falciare la gente. […] Per la fame e la distrofia le gambe si gonfiavano, i denti si muovevano e cadevano. Erano i primi segni dello scorbuto.” (Palladin 1991)

Quando, per mancanza di acqua calda, il sistema di riscaldamento smise di funzionare, i lavoratori della Casa della Radio, racconta Palladin, dovettero iniziare a lavorare con cappotti, pellicce e guanti, inoltre dato che l’inchiostro si congelava persino dentro le mura della Casa, furono costretti a sostituire le penne con delle matite. A causa dei bombardamenti, la rete radiofonica venne abbattuta in diverse zone della città e per diverso tempo non funzionò. I versi di Vera Inber (1890 – 1972) tratti dalla seconda parte del poema Pulkovskij meridian, (“Meridiano di Pulkovo”, 1943) fanno ben percepire lo sconforto e la solitudine che i cittadini provavano nel rimanere senza le voci e i suoni della radio:

Niente radio. E alle sei del mattino
Siamo avidi di “Ultime notizie”
Non le riceviamo più. I nostri altoparlanti —
Sono ancora al loro posto, —
Ma la voce… la loro voce non c’è più:
L’oceano è sparito dalle conchiglie.

(Inber 1965: 480)

Nonostante l’assenza di corrente e i continui bombardamenti, le trasmissioni di Radio Leningrado non si interruppero mai, i tecnici della radiodiffusione riuscirono persino a realizzare una diramazione del cavo sotterraneo diretto alla stazione RV-53, una delle stazioni dalla quale venivano emesse le trasmissioni di Radio Leningrado, creando così una linea di riserva “la radio non rimase in silenzio per un solo giorno” (Palladin 1991).

Il fuoco dei cannoni anti aerei schierati nei pressi della cattedrale di Sant’Isacco durante la difesa di Leningrado nel 1941. Di Boris Kudoyarov

Ascoltando la radio non si avevano solo notizie dal fronte: quando dagli altoparlanti venivano diffusi i battiti veloci di un metronomo, allora i cittadini sapevano che era in corso un attacco aereo, se i battiti erano più cadenzati, allora l’attacco era stato annullato e di lì a breve sarebbero riprese le trasmissioni con il suono delle memorabili parole degli annunciatori: “Govorit Leningrad!” (“Qui Leningrado!”).

Nelle trasmissioni radio i cittadini leningradesi trovarono il loro rifugio. La radio divenne compagna e amica di molti, aiutava a resistere e a restare in vita. La radio trasmetteva, dunque, non solo notizie dal fronte, spesso venivano mandati in onda i discorsi e le testimonianze di persone comuni come ingegneri, professori e operai che, con il racconto e la condivisione delle proprie esperienze, facevano sentire la popolazione in ascolto meno sola.

Già da prima dell’assedio la radio e le sue trasmissioni si fecero il perno attorno al quale ruotava la quotidianità dei cittadini. Il 1° luglio 1941 venne mandato in onda un programma giornaliero prodotto principalmente da scrittori, i quali si erano posti l’obiettivo di creare per gli ascoltatori una radiocronaca dei giorni di guerra: Radiochronika (“Radiocronaca”) (Cfr. Rubaškin [1980] 2016).

Il programma della trasmissione prevedeva la lettura di articoli, racconti, poesie, feuilleton, stralci satirici, nonché l’ascolto di canzoni. La redazione si proponeva di “battere il nemico giurato non solo con le armi dell’Armata Rossa, ma anche con le parole” (Rubaškin [1980] 2016).

Numerosi furono gli scrittori e gli artisti che prestarono la loro voce, la loro musica e i loro versi e composizioni alle trasmissioni radiofoniche, nessuno di loro rifiutò mai di contribuirvi, apparire in radio era considerato un grande onore (Berggol’c 1990: 195). Tra queste personalità si annoverano Nikolaj Tichonov, Aleksandr Prokof’ev, Boris Lavrenev, Evgenij Švarc, Dmitrij Šostakovič, Michail Šolokov, Michail Zoščenko, Anna Achmatova, Vsevolod Višnevskij, Vera Inber, Ol’ga Berggol’c e molti altri.

Così la poetessa Ol’ga Berggol’c ricorda le trasmissioni radio e il programma:

Quasi tutti gli scrittori di Leningrado apparvero alla radio, alcuni più spesso, altri meno, altri ancora quasi ininterrottamente, e in vari generi. […] feuilleton in versi, častuški, favole che deridevano i nazisti, brevi scenette. Avevamo anche un programma speciale giornaliero, la cosiddetta “Radiochornika”. Conteneva le ultime notizie dal fronte di Leningrado, uno schizzo della vita della città, poesie e – per quanto possa sembrare strano al lettore di oggi – molto materiale umoristico o, meglio, satirico. Sì, sì, abbiamo riso in quel periodo terribile.” (Berggol’c 1990: 195-196)

Ancora, i ricordi di Pёtr Palladin:

“[La radio] raccontava di come viveva la città, di come combatteva. Nei suoi programmi radiofonici si sentivano musica, canzoni, discorsi appassionati di Vsevolod Višnevskij, di Ol’ga Berggol’c e di Nikolaj Tichonov. Al microfono parlavano i lavoratori e i militari.” (Palladin 1991)

Numerose furono quindi, di conseguenza, le opere, i versi, i racconti e le canzoni, appositamente create e redatte al fine di essere diffuse via radio. Tutta l’arte si fece immediatamente ancor più propagandistica, ricorrenti erano i concetti antitetici di “Noi”, “loro”, “luce”, “ombra”, “vita”, “morte” che venivano messi in relazione tra di loro (Cfr. Rubaškin [1980] 2016).

Tra le opere che più vengono ricordate come frutto del periodo di assedio se ne trova una che è nota anche come Leningradskaja, “Leningradese” o “Sinfonia di Leningrado”, ovvero, la Settima Sinfonia di Dmitrij Šostakovič. Sin da prima dell’inizio della cinta d’assedio, il compositore leningradese si adoperò per creare un’opera che richiamasse nei suoni e nelle atmosfere le fasi del conflitto: la calma prima dell’inizio della Guerra, lo stato d’ansia nei momenti dell’invasione, la desolazione, lo strazio e la distruzione della guerra.

Pochi giorni dopo l’attacco delle forze armate tedesche alla città, il compositore Šostakovič annunciò alla radio che aveva terminato la partitura dei primi due movimenti di una composizione sinfonica che, se portata a termine avrebbe preso il nome di Settima Sinfonia. L’annuncio, tra le poche registrazioni disponibili all’ascolto, viene spiegato dallo stesso compositore:

Perché vi dico questo? Perché i radioascoltatori che adesso mi stanno ascoltando sappiano che la vita nella nostra città procede normalmente… Ciascuno di noi porta il proprio fardello bellico. E anche i lavoratori della cultura con la stessa onestà e lo stesso spirito di sacrificio compiono il proprio dovere, come tutti gli altri cittadini di Leningrado, come tutti i cittadini della nostra immensa Patria.” (citato in Piretto 2018: 309)

La Settima Sinfonia divenne così il simbolo della città e della sua resistenza. L’opera, dalle dimensioni notevoli, venne per la prima volta eseguita il 5 marzo 1942 a Kujbyšev, l’attuale Samara, città dove il compositore venne evacuato nell’ottobre 1941. Il 29 marzo venne eseguita nella Sala delle Colonne della Casa dei sindacati di Mosca, ma Leningrado dovette aspettare alcuni mesi per ascoltare l’opera a lei dedicata. Il 9 agosto 1942, dopo che la partitura raggiunse la città tramite un aereo militare e i componenti dell’orchestra furono fatti tornare dal fronte (Piretto 2018: 310), la sinfonia Leningradese, presso la sala della Filarmonica, venne suonata nella sua città. Lo spettacolo venne trasmesso ai cittadini e ai radioascoltatori collegati persino dall’estero (Piretto 2018: 312).

Fu così che Aleksej Tolstoj commentò l’opera:

La Settima sinfonia è sorta dalla coscienza del popolo russo che senza esitazione alcuna ha accettato la lotta contro le forze oscure. Scritta a Leningrado, si è innalzata alle vette di composizione mondiale, compresa a ogni latitudine e longitudine, poiché racconta la verità sull’uomo.” (citato in Piretto 2018: 311)

Rivolgersi costantemente alla città, divenne fondamentale. Le trasmissioni andavano avanti senza interruzioni parlando della guerra e della lotta contro il nemico – tutto era subordinato alla guerra (Cfr. Rubaškin [1980] 2016).

Così come il compositore Šostakovič colse il suo e l’altrui dovere collettivo di artista, allo stesso modo fece un’altra figura che viene ricordata come emblema o “musa” della Leningrado assediata, la cui voce e i cui versi trasmessi in radio infusero fiducia e forza d’animo in migliaia di Leningradesi, Ol’ga Berggol’c (1910-1975).

È la stessa poetessa a descrivere nelle sue memorie raccolte in Govorit Leningrad, (“Qui Leningrado”, 1946) ciò che per lei significava l’arte durante il conflitto:

Come scrittore, sono particolarmente orgogliosa del fatto che la voce degli scrittori di Leningrado sia stata ascoltata nel pieno della sua potenza in quei giorni. L’arte saliva sul podio senza precedenti nella città, non solo per radunare, agitare, lanciare appelli no, oltre a questo parlava anche ai suoi concittadini – parlava sottovoce, nel pieno senso dell’espressione cuore a cuore, rifletteva ad alta voce sulle questioni più acute della vita, consigliava, consolava, si addolorava e gioiva insieme a coloro che l’ascoltavano, penetrando nelle loro anime in un modo che è noto solo all’arte.” (Ol’ga Berggol’c 1990: 191-192)

I versi e i poemi della poetessa Ol’ga Berggol’c incitarono alla resistenza e incoraggiarono le migliaia di cittadini sofferenti. Tramite la sua voce i leningradesi ritrovavano i dettagli delle loro vite quotidiane e si affidavano completamente a lei rifugiandosi nel suono delle sue riflessioni, nei versi delle sue “poesie-risposta agli eventi” (Rubaškin [1980] 2016) perché le percepivano come parole autentiche e genuine di una donna che stava raccontando ciò che aveva vissuto, come le parole di una leningradese, anche lei schiacciata dalla severità dell’assedio.

Ol’ga Berggol’c nel 1930

Tra i discorsi più accorati della poetessa c’è quello del Capodanno 1942, festività molto sentita dal popolo russo. Si tratta del primo Capodanno del periodo dell’assedio e Berggol’c prende la parola alla radio con un discorso-appello che è dimostrazione dell’intatto spirito Leningradese:

Cari compagni!

Dopodomani festeggeremo il Nuovo Anno. […]

A Leningrado non c’è mai stata una notte di Capodanno come questa. […] Eppure, nonostante tutto, che ci sia una festa nelle nostre dure dimore!

Dopotutto, festeggiamo il 1942 nella nostra Leningrado – il nostro esercito e noi insieme ad esso non l’abbiamo ceduta al tedesco, non gli abbiamo permesso di invadere la nostra città. La nostra città è all’interno di un anello, ma non in cattività, non in schiavitù. […] La vittoria arriverà, la raggiungeremo, e a Leningrado sarà di nuovo caldo […] E allora ricorderemo i nostri giorni di oggi – dicembre – con meraviglia, con rispetto, con legittimo orgoglio.

(Berggol’c 1990: 206-207)

A queste parole coinvolgenti la poetessa aggiunge la lettura di due poesie intitolate Pis’ma na Kamy (“Lettere al Kama”, 1941) la prima di queste venne scritta nel settembre dello stesso anno contestualmente all’attacco nazista, la seconda nel dicembre. Sono riportati qui di seguito i versi finali della seconda lettera, tra i più esplicativi del calvario leningradese e della fiducia che i versi di Berggol’c restituisce ai suoi concittadini:

 

Verrà, il mezzogiorno splendente di Leningrado,

pieno di silenzio e di pace e di pane fragrante.

Oh, che gioia,

che grande orgoglio

sapere che in futuro direte a tutti in risposata:

 – Sono vissuta a Leningrado

 nel dicembre del quarantuno,

[…]

Questo è un inno ai leningradesi – gonfi, testardi,

 cari.

Invierò a loro nome, fuori dall’anello

un telegramma:

 «Vivi. Resisteremo. Vinceremo!»

 

La stessa Berggol’c, diventata la poetessa-oratrice a cui di più il pubblico di ascoltatori Leningradesi si affezionò racconta nelle sue memorie di come un’altra donna, poeta e simbolo della città di Leningrado prestò la sua voce alla radio e agli animi dei cittadini il 26 settembre 1941, Anna Achmatova che con il suo discorso assunse le sembianze di “una vera e coraggiosa figlia della Russia e di Leningrado.” (Berggol’c 1990: 194) Achmatova rivolge le sue parole di conforto e sostegno alle donne di Leningrado, madri, mogli e sorelle, le incita al coraggio e alla tenacia poggiando le basi delle sue parole sulle grandi personalità storiche e letterarie del passato Leningradese come l’Imperatore Pietro I, Lenin, Puskin, Dostoevskij e Blok, proietta le speranze delle ascoltatrici verso un futuro senza guerra, verso quei discendenti che renderanno loro omaggio e conclude: “No, la città che ha cresciuto queste donne non può essere sconfitta” (Berggol’c 1990: 194).

L’assedio di Leningrado terminò il 27 gennaio 1944. Per tutti gli ottocento settantadue giorni la radio fu amica e compagna dei Leningradesi. Il non indifferente impegno politico degli artisti e la loro abnegazione, grazie alla radio che si fece il loro vettore, diedero conforto, sostegno e speranza agli abitanti della città assediata, “mai più la gente ascolterà la poesia come i leningradesi affamati, gonfi e a malapena vivi ascoltavano le poesie dei poeti di Leningrado quell’inverno” (Berggol’c 1990: 197).

 

 

Bibliografia:

Aleksandr Rubaškin , Golos Leningrada. Leningradsckoe radio v dni blokady, Leningrad, Iskusstvo, 1980. Versione online su “Litres” (2016): https://www.litres.ru/book/aleksandr-rubashkin-870/golos-leningrada-leningradskoe-radio-v-dni-blokady-18481752/chitat-onlayn/?page=1 (ultima consultazione: 30/12/2024). La traduzione degli estratti è stata fatta per l’occasione da me E.M.

Gian Piero Piretto, Quando c’era l’URSS. 70 anni di storia culturale sovietica, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2018.

Ol’ga Berggol’c, Dnevnye svezdy Govorit Leningrad, Mosca, Izdatel’stvo “Pravda”, 1990. La traduzione degli estratti è stata fatta per l’occasione da me E.M.

Vera Inber, Sobranie sočinenij v četryech tomach, Mosca, Izdatel’stvo “Chudožestvennaja literatura”, 1965. La traduzione degli estratti è stata fatta per l’occasione da me E.M.

Sitografia:

Govorit Leningrad: https://blockade.spb.ru/article/govorit-leningrad/ (ultima consultazione: 23/12/2024).

Kniga Aleksandra Rubaškina “Golos Leningrada. Leningradsckoe radio v dni blokady”: https://www.svoboda.org/a/129809.html (ultima consultazione: 23/12/2024).

Pёtr Palladin, Dejstvujte po instrukcii, Leningradskoe radio: ot blokady do “ottepeli”, Mosca, Iskusstvo, 1991: http://vivovoco.astronet.ru/VV/PAPERS/HISTORY/WAR.02/RADIO.HTM (ultima consultazione: 30/12/2024). La traduzione degli estratti è stata fatta per l’occasione da me E.M.

Vnimanie! Govorit Leningrad!” Blokadnoe radio i blokadnoe bratstvo: https://www.severreal.org/a/31241749.html (ultima consultazione: 23/12/2024).

Jurij Inge, Vojna Načalas’: https://xn--80alhdjhdcxhy5hl.xn--p1ai/content/voyna-nachalas (ultima consultazione: 23/12/2024). La traduzione degli estratti è stata fatta per l’occasione da me E.M.

File audio:

Annuncio alla radio di Dmitrij Šostakovič, 1941: https://ru.wikipedia.org/wiki/%D0%A4%D0%B0%D0%B9%D0%BB:ShostakovichRadio1941.ogg (ultima consultazione: 30/12/2024).

 

Apparato iconografico:

Immagine 1 e immagine di copertina: https://en.m.wikipedia.org/wiki/File:Anti_aircraft_Leningrad_1941.JPG

Immagine 2: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Olga_Bergholz.jpg