Punti di vista: le guerre in Cecenia secondo Arkadij Babčenko e Jonathan Littell

Sara Deon

 

Abstract: 

Perspectives: The Chechen Wars According to Arkady Babchenko and Jonathan Littell
This article explores the war reportages of Arkady Babchenko and Jonathan Littell, focusing on their accounts of the Chechen wars and the motivations behind their works. Babchenko’s memoir, One Soldier’s War (2006), serves as both a personal catharsis and a bold attempt to confront the Russian public with the horrors of the conflict, highlighting the dehumanization of soldiers and the indifference of society. Similarly, Littell’s Chechnya, Year III (2006) underscores the brutality of the Chechen conflict while critiquing the naiveté and passivity of the international community in addressing such atrocities. Both authors write not only to document unspeakable violence but also to challenge the collective silence, complacency, and complicity that enable these cycles of destruction to persist. Their narratives seek to ensure that the untold horrors of war are neither forgotten nor dismissed.

 


Ho sempre creduto che la guerra fosse in bianco e nero.
Invece è a colori
.”

(Arkadij Babčenko, La guerra di un soldato in Cecenia)

Le guerre in Cecenia rappresentano uno degli episodi più drammatici e controversi della storia recente, un lungo conflitto che ha coinvolto questioni etniche, politiche e geopolitiche, lasciando un’impronta indelebile sulla regione e su chi l’ha vissuto. Suddivisa in due fasi principali, la prima guerra cecena (1994-1996) vide il Paese tentare di rivendicare la propria indipendenza dalla Russia post-sovietica, mentre la seconda (1999-2009) fu segnata da una brutale campagna militare russa volta a reprimere il movimento separatista e a riaffermare il controllo di Mosca. In entrambi i casi, le vittime principali furono i civili, che subirono bombardamenti indiscriminati, pulizie etniche, torture e sparizioni forzate, tanto che nel 2003 le Nazioni Unite definirono Groznyj come “la città più distrutta al mondo”.

Groznyj

Come già evidenziato da Martina Mecco in un articolo per Andergraund Rivista, il nome che si collega spontaneamente al reportage russo contemporaneo è quello della giornalista russa Anna Politkovskaja, legato soprattutto alle sue inchieste per la testata Novaja Gazeta. Infatti, durante le due guerre cecene, Politkovskaja ha descritto senza filtri e in maniera imparziale le atrocità commesse sia dall’esercito russo che dai separatisti ceceni, perseguendo sempre come ideale giornalistico la verità e ponendosi strenuamente dalla parte della popolazione civile. La giornalista, assassinata nel 2006 nell’ascensore del suo condominio, ha dato voce alle vittime dimenticate della guerra, sfidando la propaganda statale e documentando la corruzione e gli abusi sistematici delle autorità. I suoi reportage, come Putinskaja Rossija (“La Russia di Putin”, 2004) e Russkij Dnevnik (“Diario Russo”, 2007) hanno offerto – al mondo – una visione reale e senza filtri dello stato politico e sociale della Russia contemporanea.

Ad arricchire il volume dei reportage e delle cronache dedicate alle guerre in Cecenia vi sono altre due opere di particolare rilievo, che offrono prospettive significativamente differenti: La guerra di un soldato in Cecenia (“Alchan-Jurt”, 2006) di Arkadij Babčenko e Cecenia, Anno III di Jonathan Littell (“Tchétchénie, An III”, 2009). Entrambi i testi, pur con le rispettive differenze di genere e approccio, convergono nel denunciare la brutalità del conflitto e nell’indagare le sue conseguenze umane e morali, fornendo due prospettive meritevoli di analisi sullo sfondo narratologico delle guerre cecene.

Arkadij Babčenko, nato a Mosca nel 1977, è scrittore, giornalista e attivista noto per la sua critica al regime russo e per il suo impegno nella narrazione dei conflitti che hanno segnato la Russia post-sovietica. Il suo coinvolgimento militare si lega per la prima volta alla Cecenia nel 1995, quando viene coscritto alle truppe russe nel corso della prima guerra cecena, e si offre successivamente volontario per sei mesi nel 1999 durante la seconda. A proposito della sua esperienza di soldato, nel 2006 pubblica La guerra di un soldato in Cecenia, dove concepisce la guerra come condizione totalizzante: “i soldati di ieri non appartengono più ai loro genitori, appartengono alla guerra, e solo il loro corpo ritorna; l’anima resta là.” (Babčenko 2006: 391)

Attraverso una narrazione in prima persona, Babčenko descrive minuziosamente la brutalità e l’orrore della guerra: soldati torturati di fronte ai propri impotenti commilitoni, morti violente calate nel fango e nella disperazione, ragazzine cecene uccise dopo essere state lapidate. Tra i passaggi più disturbanti vi sono quelli dove l’autore racconta il terrore provato dai giovani nei confronti dei soldati più anziani, mettendo in rilievo un clima di nepotismo, soprusi e violenze, come documentato anche da Politkovskaja in La Russia di Putin. Se la guerra porta i soldati a vedere il nemico ovunque, sembra volere comunicare Babčenko al lettore, spesso è già nella caserma con i tuoi superiori che devi cominciare a provare terrore.

Al centro del racconto vi è la pervasività delle mezze verità percepita dai compagni d’armi e da Babčenko stesso. Questa verità parziale proviene da un lato dal governo, verso il quale i soldati non nutrono ormai nessun tipo di fedeltà e che, anzi, si sono resi conto li abbia profondamente ingannati; dall’altro, non nutrono nessun tipo di lealtà nemmeno verso il loro popolo, che non potrebbe mai comprendere appieno il peso in prima persona di questo conflitto.

“«Ovunque mezze verità, mezze sincerità, mezze amicizie. Non posso sopportare che sia tutto a metà. Qui per loro una mezza verità è una piccola verità. Per noi laggiù, in guerra, una mezza verità è una grossa bugia.»” (Babčenko 2006: 400)

Tuttavia, un aspetto che sorprende nel reportage di Babčenko è l’assenza di un qualsiasi discorso di ordine politico. Se infatti i crimini e gli orrori dominano le pagine dell’opera, Putin non viene mai menzionato. Infatti, a interessare Babčenko non sono coloro che muovono il discorso geopolitico, bensì gli emarginati e oppressi con cui ha condiviso gli spazi della caserma e a cui lo Stato richiede di sacrificare la propria vita per la difesa della patria.

Il processo di scrittura e il racconto di quegli eventi per Babčenko svolge una funzione duplice. Da un lato, infatti, gli è fondamentale per ritornare alla vita civile, evitando di perdersi nell’alcolismo e nelle dipendenze come è stato per altri suoi ex commilitoni. Dall’altro lato, invece, per l’autore è necessario raccontare ciò che è successo per fare fronte alla mistificazione del conflitto nella sua patria, dove la verità è oggetto di continue manipolazioni a opera del governo. È a partire da questo intento che La guerra di un soldato in Cecenia assume gradualmente la forma di un resoconto privo di archetipi epici e confortanti: non vi sono nette distinzioni tra eroi e nemici, né tra vittorie e sconfitte, piuttosto l’autore presenta un racconto implacabile e brutale di terrore, noia, confusione, sporcizia, malattie, fame, sete e un’angoscia persistente. Tra le sue pagine non si trovano, dunque, imbellettamenti o toni grandiosi ed eroici come per reportage affini di provenienza statunitense e anglosassone, solo l’orrore non filtrato della guerra.

Jonathan Littell, scrittore e saggista franco-americano, si distingue da Babčenko per una produzione letteraria e giornalistica che indaga con rigore le dinamiche del potere, le ideologie totalitarie e le implicazioni etiche della violenza di Stato. Nato a New York nel 1967 e cresciuto tra Francia e Stati Uniti, Littell ha sviluppato un interesse profondo per i grandi sistemi autoritari del XX secolo, affrontandone la complessità con un approccio interdisciplinare che fonde storia, psicologia e filosofia politica. La sua opera più nota, Les Bienveillantes (“Le Benevole”, 2006), è una magistrale esplorazione della macchina del totalitarismo nazista, analizzata attraverso lo sguardo di Max Auè, un ex ufficiale omosessuale delle SS, e rappresenta un contributo cruciale alla riflessione sulla banalità del male e sulla responsabilità individuale.

L’interesse di Littell per l’Unione Sovietica e il sistema politico russo si traduce in una lucida analisi dei meccanismi repressivi, delle forme di propaganda e del condizionamento psicologico collettivo che hanno caratterizzato il regime sovietico e che, in parte, trovano eco nella Russia post-sovietica. Tale attenzione emerge in particolare nei suoi lavori di reportage, tra cui il già citato Cecenia, Anno III (2009), un’opera che analizza gli esiti del lungo e drammatico conflitto ceceno e offre una critica incisiva del ruolo geopolitico della Russia. Il reportage di Littell si discosta dal racconto di Babčenko per introdurre una disamina più analitica e impersonale della ricostruzione post-bellica in Cecenia al termine del secondo conflitto. Lo stesso Littell, infatti, nell’introduzione precisa il contesto di stesura del suo reportage, sottolineando come in origine l’avesse concepito in chiave ottimista, al fine di mettere in luce gli aspetti positivi del governo kadyroviano.

Fin dalla partenza, le autorità russe mi hanno srotolato sotto i piedi un tappeto rosso – visti, accrediti stampa – senza farmi una sola domanda, una sola raccomandazione, evidentemente soddisfatte che uno scrittore europeo piuttosto noto andasse a constatare di persona i grandi progressi compiuti in Cecenia.” (Littell 2009: 26)

Tuttavia, dopo avervi trascorso circa due settimane tra la fine di aprile e l’inizio di maggio nel 2009, le lungaggini burocratiche complicano e ritardano il progetto iniziale, esacerbato infine da un evento che ne trasformerà drasticamente il contenuto: la notizia dell’assassinio di Natal’ja Estemirova, una delle principali collaboratrici di Memorial a Groznij. Infatti, la mattina del 15 luglio 2009, Littell inizia a ricevere delle mail in cui lo si informa del sequestro, poche ore prima, di Estemirova. Secondo la testimonianza dei vicini, Estemirova sarebbe stata spinta a forza su un’auto VAZ-2107 bianca mentre gridava che la stavano sequestrando. La sera stessa, il suo cadavere è stato rinvenuto in un bosco alla frontiera con l’Inguscezia, con fori di proiettile nel corpo e in testa.

Come era stato il caso per Politkovskaja prima di lei, uccisa il 7 ottobre del 2006 con un colpo di proiettile alla testa, era opinione comune l’improbabilità che un difensore dei diritti umani noto a livello mondiale come Estemirova potesse essere uccisa – altra questione, invece, spaventarla e perseguitarla.

E ora toccava a lei, proprio perché si era occupata di quel che non avrebbe dovuto, perché anche se non era obbligatorio cantare le lodi di Ramzan Kadyrov a destra e a manca, bisognava comunque lasciar tranquillamente uccidere e torturare chi doveva essere ucciso o torturato, non bisognava immischiarsi nelle sue faccende, e se lo facevi diventavi anche tu il nemico, un altro da cancellare dalla faccia della terra, e pazienza per i figli e gli amici che lasciavi, dovevano soltanto tenere la bocca chiusa o avrebbero fatto la stessa fine.” (Littel 2009: 19-20)

Infatti, la colpa di cui si era macchiata Estemirova agli occhi delle autorità cecene e russe era quella di “insistere a rimestare il fango” (Littell 2009: 21): attiva in primis con lo scoppio della seconda guerra cecena, la giornalista aveva documentato le vittime del lancio di razzi sul mercato della capitale cecena, così come aveva scattato centinaia di foto negli ospedali della Cecenia e Inguscezia che ritraevano il devastante numero di vittime tra i bambini. Estemirova era il punto di riferimento per qualsiasi giornalista straniero arrivato in Cecenia per coprire il conflitto, grazie anche ai materiali che aveva raccolto negli anni a proposito delle torture, i sequestri e le esecuzioni extragiudiziarie. Come per Politkovskaja, il suo omicidio esemplifica un ulteriore tentativo di mettere a tacere le voci degli attivisti e dei giornalisti.

Ripartendo proprio dalla notizia del destino di Estemirova, Littell decide di riscrivere il reportage ex novo, concentrandosi su questi dettagli per tratteggiare un ritratto della Cecenia ricostruita sotto Kadyrov e come si sia giunti a quel punto.

In questo senso, risulta senz’altro coerente l’ingente presenza che il dialogo con membri di Memorial ricopre nel corso del reportage, “l’unica organizzazione che raccoglie sistematicamente dati sulle sparizioni e sugli omicidi in Cecenia” (Littell 2009: 14). Proprio da Oleg Orlov di Memorial proviene un interessante parallelismo tra l’esito delle guerre cecene con l’insediamento di Ramzdan Kadyrov e il secolo scorso in URSS, simboleggiato da una data, ossia il 1937.

“«La Cecenia è come il 1937, il 1938, mi dichiara nel suo piccolo ufficio moscovita Aleksandr Cerkasov, un dirigente di Memorial, la maggiore organizzazione russa per i diritti umani –. Si sta portando a termine un grande piano edilizio, si assegnano alloggi, ci sono parchi dove giocano i bambini, spettacoli, concerti, tutto sembra normale e… di notte la gente scompare.»” (Littell 2009: 10)

Come sostiene Littell, questo paragone ricorre spesso tra i difensori russi dei diritti umani, senza risultare poi così forzato, giacché secondo Cerkasov “in Cecenia, da dieci anni a questa parte, il numero di persone uccise o scomparse ogni diecimila abitanti sarebbe proporzionalmente superiore a quello delle vittime delle grandi purghe staliniane” (Littell 2009: 11).

In questo senso, parafrasando le parole di Littell, si assiste al passaggio da una semiotica sovietica a una cecena, dove la ricostruzione nazionale convive nello stesso piano quotidiano con le sparizioni, le torture e le esecuzioni extragiudiziarie.

Nei brevi capitoli in cui è strutturato il reportage, Littell ricostruisce per mezzo di interviste un’indagine dell’apparato repressivo russo e ceceno e sulle modalità con cui il potere centrale utilizza la guerra come strumento di controllo interno e di proiezione di forza all’esterno. Littell documenta con minuzia la brutalità delle operazioni militari e i crimini commessi contro la popolazione civile, ma non si limita a una semplice cronaca degli eventi: attraverso interviste, osservazioni sul campo e uno stile narrativo che intreccia la dimensione personale e politica, riflette sulle conseguenze della violenza sistemica, tanto per le vittime quanto per i loro esecutori. Tra i temi centrali emergono la disumanizzazione dell’altro, resa esplicita dalla violenza etnica e dalla propaganda, la corruzione dilagante e la normalizzazione del terrore come elemento strutturale del regime putiniano e quello filorusso di Kadyrov.

Littell si sofferma anche sulle dinamiche di resistenza, esplorando le motivazioni e i dilemmi morali dei ribelli ceceni, mettendo in luce la complessità delle loro scelte in un contesto di oppressione e lotta per l’identità. A ciò si aggiunge una riflessione più ampia sul silenzio e la complicità della comunità internazionale, incapace o riluttante a intervenire, evidenziando il ruolo delle potenze globali nel perpetuare situazioni di conflitto attraverso l’inazione o il sostegno indiretto. In un certo senso, vi è lo stesso senso di fastidio percepito da Littell per essere stato, in un primo momento, sedotto dall’impressione di normalità al termine della seconda guerra cecena, ossia per avere inizialmente guardato con ottimismo alla vittoria di Kadyrov e all’avvio della ricostruzione nazionale all’indomani del suo insediamento. Infine, Littell analizza le persistenze del passato sovietico nelle pratiche politiche e militari della Russia contemporanea, sottolineando come i meccanismi di controllo, coercizione e propaganda siano stati aggiornati per rispondere alle esigenze di un’autorità che combina elementi di modernità e tradizione autoritaria.

In conclusione, sia Babčenko che Littell, seppur con approcci diversi, hanno scritto per fare luce su ciò che André Glucksmann ha definito nella prefazione a Cecenia. Il disonore russo (“Tchétchénie, le déshonneur russe”, 2003) di Anna Politkovskaja: “il calvario di un popolo vissuto in assoluta solitudine sulla scena internazionale e una spina nel fianco della coscienza mondiale” (Politkovskaja 2006: 17). Per Babčenko, il suo memoir su una Russia brutale e disumana durante le guerre cecene rappresenta un tentativo personale e collettivo di denunciare ciò che il suo Paese si rifiuta di riconoscere: la distruzione dell’umanità dei soldati, la violenza sistematica e l’indifferenza di una società che preferisce voltarsi dall’altra parte.

Per Littell, invece, l’intento è duplice. Da un lato, egli mette in luce le stesse atrocità delle guerre cecene, mostrando la brutalità che accomuna oppressori e oppressi in un sistema di violenza senza redenzione. Dall’altro, denuncia il fallimento delle istituzioni globali e dei governi occidentali nel riconoscere, prevenire e rispondere a tali atrocità, mostrando come spesso l’indifferenza e il disinteresse favoriscano la perpetuazione del ciclo di violenza. Entrambi gli autori, dunque, scrivono per combattere l’oblio, ma anche per scuotere le coscienze di chi, potendo intervenire, ha scelto invece di restare a guardare.

 

 

Bibliografia:

Arkadij Babčenko, La guerra di un soldato in Cecenia, Milano, Mondadori, 2006. Traduzione di Maria Elena Murdaca.

Anna Politkovskaja, Cecenia. Il disonore russo, Roma, Fandango, 2003. Traduzione di Agnes Nobecourt e Alberto Bracci T.

Anna Politkovskaja, Diario russo, Torino, Adelphi, 2022. Traduzione di Claudia Zonghetti.

Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, Torino, Adelphi, 2022. Traduzione di Claudia Zonghetti.

Jonathan Littell, Cecenia, Anno III, Torino, Einaudi, 2009. Traduzione di Margherita Botto.

Jonathan Littell, Le benevole, Torino, Einaudi, 2007. Traduzione di Margherita Botto.

Sitografia:

Martina Mecco, “Reportage dalla Cecenia. Strategie e forme in Wojciech Jagielski, Anna Politkovskaja e Irena Brežná”, in Andergraund Rivista, 13/02/2023:

https://www.andergraundrivista.com/2023/02/13/reportage-dalla-cecenia-strategie-e-forme-in-wojciech-jagielski-anna-politkovskaja-e-irena-brezna/ (ultima consultazione: 11/01/2025).

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://www.npr.org/2022/03/12/1085861999/russias-wars-in-chechnya-offer-a-grim-warning-of-what-could-be-in-ukraine

Immagine 1: https://www.rferl.org/a/ukraine-invasion-chechen-playbook-putin/31738597.html

Immagine 2: https://crd.org/sv/2019/07/15/vi-minns-natalia-estemirova/

Immagine 3: Collage ottenuto da https://www.balcanicaucaso.org/aree/Cecenia/La-guerra-di-un-soldato-in-Cecenia-89119 e https://www.einaudi.it/catalogo-libri/storia/storia-contemporanea/cecenia-anno-iii-jonathan-littell-9788806203962/