Non solo eroi: l’umanità sotto assedio in “Živye kartiny. Dokument-skazka” di Polina Barskova

 

A cura di Maria Vittoria Rossi

 

Abstract

Not Only Heroes: Humanity Under Siege in “Zhivye kartiny. Dokument-skazka” by Polina Barskova

The purpose of this work is to introduce the play Living Pictures (“Zhivye kartiny. Dokument-skazka”) by Polina Barskova to the Italian readers with a focus on the relationship between art, memory, war and trauma. It exemplifies Barskova’s approach in challenging official historical narratives and her attempts to shift the focus from collective and heroic accounts of the Siege of Leningrad – one of World War II’s darkest moments – to the personal experiences of individuals. In this regard , in each scene of her play Barskova portrays the everyday lives of the main characters, giving voice to those who lived through the siege and, consequently, restoring their dignity. The author also reflects on the role of art in confronting historical trauma and war. In order to do this, she sets the play inside the Hermitage Museum, describing the love story between a painter and an art historian. In conclusion, the aim of this contribution is to demonstrate that Barskova’s work is a testament to art’s capacity to preserve human dignity and break the circular time of trauma, while offering a more nuanced and human-centered approach to history.


Živye kartiny. Dokument-skazka (“Tableux vivants. Documento-fiaba”), la pièce di cui in questa sede si propone una scena in traduzione è tratta dall’opera omonima Živye kartiny (“Tableaux vivants”, 2014) della poetessa e storica dell’assedio di Leningrado Polina Barskova. Prima opera in prosa dell’autrice, viene pubblicata nel 2014 dalla casa editrice pietroburghese Ivan Limbach vincendo, nel 2015, il prestigioso premio letterario Andrej Belyj. Recentemente, a conferma del seguito di cui Barskova gode anche tra il pubblico non russofono, sono apparse due traduzioni della raccolta, una in inglese – di cui esiste un’edizione britannica e una americana, entrambe del 2022 –, a cura di Catherine Ciepiela, e una in tedesco (2020), a cura di Olga Radetzkaja. Si tratta di una raccolta composta da dieci racconti e un’opera teatrale. Nei racconti, accostando spesso trauma personale e trauma storico, Barskova crea un gioco di specchi dove il passato recente e quello remoto si intrecciano, autofiction e biofiction dialogano in immagini e scene dal passato che nella loro poetica atemporalità sembrano quasi dei dipinti. Significativa, in tal senso, l’ambiguità semantica della parola kartina in russo – sia “quadro” che “scena”, “immagine”.

Se la storia del Novecento si riversa, traumatica, solo in alcune delle pagine dei racconti, è nell’opera teatrale che essa diventa l’asse portante della narrazione. In Živye kartiny. Dokument-skazka, infatti, l’azione, suddivisa in sei quadri/scene (kartiny), si svolge a cavallo tra il novembre 1941 e il febbraio 1942, in quello che viene considerato il periodo peggiore dell’assedio di Leningrado, assedio che le truppe naziste strinsero intorno alla città di Leningrado per 872 giorni dal 1941 al 1944 e che, con i suoi due milioni di morti (Cfr. Peri 2017), costituisce una delle pagine più drammatiche della Seconda guerra mondiale. Barskova mette in scena i suoi personaggi nella loro quotidianità̀ di blokadniki (“assediati”) all’interno di una delle più̀ importanti collezioni d’arte del mondo, il museo dell’Ermitage, nei cui scantinati trovano rifugio dai bombardamenti tedeschi.

Il rapporto con il mondo dell’arte non sembra essere casuale; alla base dell’opera pare, infatti, di poter individuare delle domande ben precise sulla relazione tra arte e guerra, tra arte e trauma. I personaggi sono Anna Pavlovna, la custode dell’Ermitage, unico personaggio di finzione, e i due protagonisti, Totja e Moisej, amanti. Antonina (Totja) Izergina è una delle ricercatrici e studiose più̀ note dell’Ermitage, direttrice del reparto di Pittura e scultura occidentale; oltre a essere una storica dell’arte è anche alpinista di talento, famosa in tutta Leningrado per la sua bellezza e per la sua cultura. Moisej Vakser, pittore e ricercatore all’Accademia delle belle arti, durante la guerra è impiegato presso la TASS (Agenzia telegrafica dell’Unione Sovietica), per la quale disegna manifesti propagandistici. Moisej, 25 anni, non sopravvive all’assedio e muore nel febbraio 1942. Antonina, 37, riesce a vederne la fine grazie alla possibilità, successiva alla morte di Moisej, di essere evacuata in Kazakistan. L’azione si svolge per intero in una delle sale del museo, la sala dedicata a Rembrandt, dove Totja e Moisej si appartano per evadere temporaneamente dall’angusto spazio del seminterrato-rifugio. L’aspetto della sala è completamente stravolto dalla guerra: il pavimento è cosparso di frammenti di vetro e detriti, mentre alle pareti sono appese solo cornici vuote. Tutte le opere d’arte sono state trasferite altrove già da alcuni mesi grazie alla lungimiranza del direttore dell’Ermitage, Iosif Orbeli.

Il titolo della pièce fa riferimento proprio alle cornici vuote, poiché, in assenza dei dipinti, sono Totja, Moisej e Anna a riprodurli, trasformandosi, almeno per un poco, in veri e propri quadri viventi (tableaux vivants). I tre personaggi danno vita ad altrettanti dipinti di Rembrandt e lo fanno tanto immedesimandosi e impersonando con il proprio corpo e la propria persona i soggetti ritratti, quanto immaginando di descrivere a voce le opere a degli ipotetici visitatori. Il sottotitolo, Dokumentskazka (“Documento-fiaba”), sembra invece fornire una chiave di lettura interpretativa al lettore. Da un lato, troviamo il documento, ovvero, l’aderenza alla storia e alla voce di chi l’ha vissuta, e il lavoro di archivio che l’autrice ha portato avanti a partire dalle lettere di Izergina e Vakser e dallo studio delle numerosissime fonti dirette. Dall’altro, la fiaba: una storia d’amore nell’assedio, una narrazione lirica e potente ma forse, proprio per questo, in parte irrealistica e idealizzata, come nota il critico Mark Lipoveckij (2021).

Sempre nell’orizzonte della fiaba vanno inscritti i riferimenti a La regina delle nevi di Hans Christian Andersen, nei cui personaggi, come la piccola brigantessa, Gerda e, in particolare la Regina delle nevi stessa, Totja si “trasfigura” ogni volta che l’indicibile affiora. La fiaba sembrerebbe dunque essere utilizzata da Barskova anche come mezzo attraverso il quale dare libero sfogo al trauma, alla catastrofe della guerra e della vita sotto assedio, nella quale si intravede, in controluce, anche la tragedia delle recenti purghe staliniane. Sembra interessante notare, inoltre, come questi due piani attorno a cui ruota la narrazione, quello del documento e quello della fiaba, siano presenti in maniera ricorrente anche all’interno di tutti gli altri racconti della raccolta. In questa dicotomia si potrebbe andare a ricercare proprio il senso dell’opera: quella domanda aperta formulata da Barskova, cui si è fatto cenno in precedenza, sul rapporto tra arte e realtà̀ e, in particolare, tra arte e guerra e tra arte e trauma. In parziale risposta, Barskova afferma che: “I personaggi principali sono idealisti e intellettuali ma non riescono a difendere sé stessi dalla storia e dalla fame” (Cfr. Medeiros 2016). Se l’arte, per ovvi motivi, non ha il potere di cambiare le circostanze date e non è in grado di sconfiggere la guerra, essa riesce tuttavia, in qualche modo e forse in maniera illusoria, ad alleviarne il peso.

Nella sua opera Barskova mostra infatti come la creazione artistica possa regalare degli attimi di profondo conforto ma anche di rielaborazione e affermazione della propria esperienza che la natura stessa, indicibile, del trauma tende a negare. È la speranza e insieme la dimostrazione che, come scrive Lidija Ginzburg in Zapiski blokadnogo čeloveka (“Leningrado. Memorie di un assedio”, 2011), attraverso la scrittura è possibile resistere e spezzare il cerchio (Peri 2017: 16). Il cerchio dell’assedio, il cerchio del trauma e il suo tempo circolare che si scontra con quello lineare della storia (Etkind 2013: 512). L’arte, sembra affermare Barskova, rende dicibile l’indicibile e riesce a fare anche qualcosa di più: riesce a far rivivere chi è stato spazzato via, dimenticato. Con il suo consueto sguardo poetico e con la sua capacità di penetrare l’interiorità dei personaggi, grazie a uno studio decennale della diaristica e della memorialistica dell’assedio, l’autrice riporta in vita come se fossero proprie le storie e le emozioni dei blokadniki, (ri)dà loro voce per mostrarli in tutta la loro umanità. Un’umanità che si manifesta nelle piccolezze della vita di tutti giorni, che, nonostante l’eccezionalità della situazione, scorre con una sua routine fatta di stenti e malattia, incomprensioni e gelosie, ma anche di momenti di profonda bellezza. Sulla scena non ci sono eroi, ma uomini.

In antitesi rispetto a un discorso pubblico che in maniera sempre più pressante manipola il passato per trasformarlo in ideologia, che disumanizza gli uomini per farne degli eroi e dei martiri (o dei traditori e nemici), Barskova rivendica e difende un’altra visione della Storia. In questa visione non ci sono parole, tanto altisonanti quanto vuote, come patria o eroe. C’è la dignità di chi vive, soffre, ama e, certo, resiste e lotta, ma da uomo, più che da eroe. Ad oggi, l’assedio non smette di essere “un territorio altamente contestato” (Barskova 2014: 642), dal momento che l’ideologia putiniana fa ancora ampio uso dei mitologemi sovietici sulla Grande guerra patriottica e li mantiene in vita al fine di ottenere consenso, negando al tempo stesso qualsiasi spazio pubblico di discussione di quel passato (Cfr. Juliani 2017). Ogni tentativo di sviluppare una narrazione diversa, più articolata, più umana e basata sull’individuo, continua ad essere represso, così come viene represso qualsiasi discorso storico che, scevro di patriottismo grande russo, tenti di fare luce sulle reali condizioni di vita dei blokadniki tra il 1941 e il 1944, e, più in generale, ogni riflessione sul costo reale della vittoria sovietica sul nazifascismo e sui crimini del regime sovietico. Significativa, a tal proposito, è stata la messa al bando di associazioni che operano in questo senso, come Memorial (Cfr. Roth 2021).

Se l’umanità viene soffocata dallo Stato a fini politici e la narrazione dell’individuo non trova spazio nel discorso pubblico, non è possibile liberarsi del passato, della guerra, del trauma. Proprio a causa di decenni di repressione, quel passato è rimasto in sospeso, ancora presente nell’aria della città, di quella Pietroburgo-Leningrado, come Barskova chiama San Pietroburgo (Cfr. Gordeeva 2023), infestata dallo spettro dell’assedio (Barskova 2014: 178). È proprio la negazione della memoria, scrive Alenksandr Etkind, a generare il cortocircuito e l’impasse, il ritorno di ciò che dovrebbe rimanere sepolto nel passato: “nell’economia della memoria post-sovietica, dove le perdite sono enormi e i monumenti scarseggiano, i morti ritornano come non-morti” (Etkind 2013: 513). In questo senso, l’opera di Barskova è anche una validazione della grandezza della letteratura e del suo ruolo, non solo artistico ma anche, in un certo senso, civile. Per ridare dignità a chi è stato dimenticato e messo a tacere, per esprimere l’indicibile, fare i conti con il passato in cui si è immersi, o da cui si è infestati, e andare avanti.

L’originale dell’estratto tradotto si trova in: Polina Barskova, Živye kartiny, Sankt Peterburg, Izdatel’stvo Ivana Limbacha, 2014, pp. 73-76.

Il Museo dell’Ermitage durante l’assedio. Fotografia scattata da B. P. Kudojarov tra il 1942 e il 1943

 

Quadro quarto

Diario di un uomo delle caverne.

A tentoni. Gennaio

Sullo schermo in fondo alla scena appaiono e scompaiono (si dissolvono) gli appunti dal diario di Moisej; qualcuno sta scrivendo, ma come se lo facesse alla cieca; lettere e parole si sovrappongono le une sulle altre.

Moisej: Antonina, svegliati!

Totja: Oh, lasciami stare, su, per piacere, lasciami stare…

Moisej: (estrae solennemente un taccuino dalle profondità̀ dei suoi vestiti ridotti a brandelli.) Ecco, adesso ti leggerò il mio diario!

Totja (fiaccamente): Ma se non vedi più̀ niente, Musen’ka, a che scopo? A che scopo tutto questo?

Moisej: Beh, voglio… per me è importante sapere cosa ne pensi! (Tossisce. Poi legge con solennità.) “Diario di un uomo delle caverne”:

La brillantina brucia bene ed è odorosa, ma non illumina un bel niente, bisogna scrivere a tentoni. Oggi, dopo essere uscito a fatica da sotto le coperte verso le undici, ho trafficato per oltre un’ora con un vasetto nuovo munito di stoppino (un pezzetto di ovatta). Ho imbrattato tutte le mani, i pennelli e il tavolino di rossetto, ma qualcosa non va: nelle mani non c’è più alcuna precisione.

Abbiamo fatto colazione alle undici circa, io un sorso di olio di pesce e due pastiglie di vitamina B, Tonja due cucchiai di sciroppo di pino. Un lusso.

Totja: A chi potrebbe mai interessare, Musja, quanti cucchiai di olio di pesce abbiamo mangiato? Quanti panelli ci siamo rubati a vicenda…

Moisej: Come puoi dire una cosa del genere?

Totja: O che avremmo voluto rubare… ma non abbiamo rubato… ci siamo vergognati… oppure non ci sono bastate le forze… che miseria… non sarebbe meglio se tutto questo non fosse successo?

Moisej: Come se non fosse successo? Eppure… è successo!

Totja: Beh, ecco, facciamo finta che nessuno sappia… non sarebbe meglio che al nostro posto ci fosse il nulla, non sarebbe meglio di questa vergogna, di tutta questa schifosa vergo-o-ogna… non sarebbe meglio che dopo di noi nessuno veda questo orrore, che non lo conosca! Che tutto venga dimenticato, che sparisca.

Moisej: Perché? Oh no, ecco, ho trovato: dobbiamo scrivere tutto, tutto così com’è, Totin’ka. La verità e nient’altro che la verità!

Totja: Chissà perché non sono sicura che loro, dopo, avranno così tanta voglia di questa nostra verità…

Moisej: Come sarebbe a dire? Non la vorrà nessuno? Perché mai?

Totja: Sai, io e te non siamo proprio un gran bello spettacolo da vedere… non siamo un granché nemmeno come mummie: stato di conservazione insoddisfacente.

Moisej: Ah la mia donna di poca fede! Io invece sono sicuro che almeno qualcuno avrà voglia di conoscerla questa verità. Sono sicuro, bisogna annotare tutto per non lasciare che poi le loro, beh di quelli che verranno dopo di noi, le loro parole si appiccichino sopra alle nostre! Sopra a questi nostri giorni neri! In modo che dopo nessuno potrà dire di noi quello che vuole, quello che vogliono loro, dopo, più avanti, dopo, dopo di noi…

Totja: In che senso?

Moisej: Beh, che eravamo tutti eroi o tutte canaglie, o che soffrivamo sempre bene e dignitosamente o che non soffrivamo affatto… ecco, bisogna descrivere le cose così come sono: questa puzza, l’oscurità, il bugliolo, la debolezza, la paura… e poi eccoti, tu, proprio come sei: dolce, luminosa, esile, scarna…

Totja: Ah, tutta piena di pidocchi, affamata, cattiva…

Moisej: Sì, proprio così, le cose come sono, tutta questa puzza, tutta questa noia e questo tuo viso, così intelligente, così adorabile… giorno dopo giorno, fatto dopo fatto! Qui contano soltanto i fatti… in tutta la loro esattezza. E senza mettersi a frignare!

Totja: Mah…tu dici noia! Qua non ci si annoia mica. E chi frigna, qui? Io non sono una frignona e tu potresti mai essere un frignone per me? Tu sei Musja. Sei Achille, che di buchi ce ne ha mille! Con le galosce tutte bucate… mi preoccupa solo che cadi in continuazione… è ovvio che hai un tallone d’Achille…

Moisej: Ma che in continuazione, Totin’ka! Non serve esagerare! Me ne sono accorto: stai cercando di buttarti giù di spirito!

Totja: Tu, tesoro, invece ti butti giù con tutto il corpo… ti sei completamente frantumato l’anca! Non c’è salvezza qui…

Moisej: Totja, tu sei la mia salvezza! Ecco cosa ho appuntato, come sempre per precisone, una settimana fa:

Oggi cammino abbastanza bene. (Ecco, senti un po’ qua, cammino ab-bas-tan-za-be-ne). Le automobili non odorano più di aghi di pino ma sanno di dolciastro, di quell’ odore di appiccicaticcio che si sente in pasticceria.

Totja: Beh, di cosa puzzeranno mai? Musja, avresti dovuto semplicemente scrivere che è passata la camionetta dei cadaveri… altri mezzi quasi non ce ne sono più…

Moisej continua a leggere:

Sono arrivato a casa in fretta e sono caduto in tutto una volta sola, ma mentre camminavo per il corridoio di servizio dell’Ermitage, nella sala dei vasi, sono precipitato a terra quattro volte.

Mi sono trascinato verso l’Accademia piano-piano. Sulle tracce delle automobili che circolavano.

Il gelo è bello quando c’è la brina, con un velo di nebbia. Sant’Isacco e il sole nella foschia. Sono caduto di nuovo, nello stesso punto in cui ieri mi sono rotto l’anca e il braccio.

Sullo schermo, i filmati dei cinegiornali dell’assedio con i pedoni sulla Prospettiva Nevskij.
Moisej cammina lungo lo schermo, cade, si rialza, cade, si rialza, e così via per molte volte… si ferma e, cercando di restare in equilibrio, disegna nell’aria con una mano la sagoma della città. Continua a leggere:

Oggi ho disegnato con una mano, poi la mano si è ammalata, per poco non disegnavo con il naso, non vedevo niente. Ero così provato dallo sforzo del tratteggio, ma poi mi sono tirato su di morale e si è riacceso l’entusiasmo, mi sono sentito in sella.

Hop! Hop! Al galoppo!

Ecco, immagina, ho scritto proprio così: “Hop! Hop! Al galoppo!”

Moisej prova ad abbracciare Totja, a “ballare” con lei e a “giocare al cavallo”. Si muovono tristi e goffi. A intermittenza, come un disco che si blocca, risuona la melodia della Regina delle nevi.

Moisej: E poi ecco cosa ho scritto dopo:

È una bella cosa l’arte! Una cosa per cui vale la pena vivere!

Totja: Hai scritto proprio così? Fammi vedere… uhm… vale la pena, dici?… dici che ne vale la pena? Una bella cosa…

Moisej: Una bella cosa!

Totja: Iraklij diceva: “Quando guardo Cézanne e poi chiudo gli occhi non ho paura di niente, tutto diventa più̀ leggero”. Per lui tutto diventava più leggero… sì, lui era così: le-e-e-ggero!

Moisej: Non voglio che mi dici queste cose, Antonina, non voglio sapere niente. Non osare più parlare di lui.

Totja: Che scemo. Non intendevo quello. Ho dimenticato quasi tutto…tutto… non mi ricordo più niente, non so niente, Musja. Dove sono le sigarette?

Fumano a lungo una sigaretta, con piacere, come se fosse un bacio, gemendo/grugnendo sia dal piacere che dal dolore: il loro dolore è costante, nessun movimento privo di sforzo. Moisej si sente rincuorato e continua a “disegnare” nell’aria con le mani fasciate: in una delle sue “zampette” c’è una sigaretta accesa e la usa per disegnare. Di nuovo, dovrebbe somigliare a una danza, ma distrofica: Moisej vuole e non vuole, può e non può spendere le proprie forze in questi “schizzi”, perché ogni movimento per lui è doloroso.

Totja: Moisej, dimmi, andrà tutto bene?

Moisej: Andrà tutto bene.

Totja: Cos’è, cos’è che potrà mai andare bene? Di che stai parlando?

Moisej: Per esempio, Adrian Leonidovič dice che hanno aperto un ospedale, là danno da mangiare alla gente! Hanno kaša in abbondanza! Pare ci sia anche una banja…

Totja: C’è, Musen’ka, ma non per noi. Noi non costruiamo carri armati. Siamo inutili. Che cosa stai disegnando adesso?

Moisej: Perché, non lo vedi?

Totja: Non saprei proprio.

Moisej: Beh, sei una sciocchina! Ecco il lungofiume, la fortezza di Pietro e Paolo, una guglia nella nebbia, mentre il sole tramonta e i cadaveri vengono portati via nei furgoni…

Sullo schermo compaiono le opere realizzate dai pittori dell’assedio, da Bobyšov, Glebova… raffigurano la città e hanno colori sgargianti.

Totja: Chissà se avranno preso i nostri dallo scantinato… Mi chiedo se si trovino insieme agli altri cadaveri nel furgone… Te lo chiedi anche tu?

Moisej: No, Totin’ka, io no… ma in tanti si domandano perché portarli via ora? A che scopo disturbarli? Se ne stanno lì così calmi, freddi, belli…

Totja: Incredibile! Quella stronza della Koncevič lì, vicino a Iraklij… sì, se in vita gli avessero detto, a lui con le sue eterne ballerine, le sue belle donne… con chi gli sarebbe toccato giacere ora… la Koncevič non ha fatto altro che denunciarci, tutto il tempo, fetente, ha scritto delazioni su di noi, su tutti, quella vecchia puttana!

Moisej (ride debolmente): Totik, di nuovo ti faccio una bella multa! E domani non ti darò nemmeno una sigaretta, ma passerò ore a elencarti tutte le osservazioni della Koncevič sui progressi del realismo socialista…

Totja: Ah beh! Allora anche io ti faccio una multa.

Moisej: Ecco! Bene! Hai ricominciato a parlare come la piccola brigantessa. Buon segno!

Totja: La piccola brigantessa non c’è più… sai, la vecchia Hansen, la traduttrice di Andersen dal danese, lei, dicono, anche lei… secondo Anna Pavlovna già a dicembre… pare abbia bruciato tutti i suoi libri, per scaldarsi… e con loro deve essersi bruciata anche La regina delle nevi… squagliata! Prendimi per mano, ragazzo Kaj. Stringimi.

Moisej: Non posso più stringere qualcosa come si deve, bambina… mi si sono congelate le mani… è come se si stessero rompendo.

Totja libera dagli stracci una mano lunga, elegante, magra, forte e la posa sul volto di Moisej.

Moisej: Totja… la mia Totja.

Tacciono. Moisej continua a leggere:

Non riuscivo a muovermi. Totja ha mescolato l’olio di pesce caldo e ha riposto il lumino nella borsa senza richiuderlo. Tutto il cherosene si è versato e ha inondato cinque pacchetti di sigarette. Ci siamo bofonchiati contro a vicenda, povera bimba mia! Totja si è sdraiata sulla brandina. A vedere quell’aspetto da bambina malata mi si spezza il cuore, ma lei non capisce, mi consola, dice che è solo un raffreddore.

Avevamo raggiunto il fondo o l’apice del marasma!

Per la prima volta non ero così sicuro che ce l’avremmo fatta…

Dimmelo… dimmelo! Dimmi che andrà tutto bene!

Totja è stesa sulla brandina, raggomitolata, con la testa sotto le coperte. Moisej le siede accanto e piano, lamentosamente, chiama/invoca/piagnucola: “Totja!”.

 

 

Bibliografia:

Alexander Etkind, Warped Mourning. Stories of the Undead in the Land of the Unburied, Stanford, Stanford University Press, 2013.

Alexis Peri, The War Within. Diaries from the Siege of Leningrad, Cambridge MA, Harvard University Press, 2017.

Mark Lipoveckij, “Is there Room for Diaspora Literature in the Internet Age?”, in Maria Rubins (ed.), Redefining Russian Literary Diaspora, 1920-2020, London, UCL Press, 2021, pp. 194-213.

Polina Barskova, Lebende Bilder, Berlin, Suhrkamp Verlag, 2020.

Polina Barskova, Living Pictures, London, Pushkin Press, 2022.

Polina Barskova, Living Pictures, New York, New York Review Books, 2022.

Polina Barskova, Živye kartiny, Sankt Peterburg, Izdatel’stvo Ivana Limbacha, 2014.

Sitografia:

Andrew Roth, “Russian court orders closure of country’s oldest human right group”, The Guardian, 2021: https://www.theguardian.com/world/2021/dec/28/russian-court-memorial-human-rights-group-closure (ultima consultazione: 30/12/2024).

Katerina Gordeeva, “Skaži Gordeevoij”, Polina Barskova: Vyžili te, komu bylo na čto operat’sa, 2023: https://www.youtube.com/watch?v=9iI2lYWEk3Q (ultima consultazione: 30/12/2024).

Michael Juliani, “Interview. Polina Barskova. I’m Interested in Subterranean Culture That Says ‘I will trick you’ to official culture, ‘I will play you’”, BOMB Magazine, 2017: https://bombmagazine.org/articles/polina-barskova/ (ultima consultazione: 30/12/2024).

Mike Medeiros, “Can art fight war?”, Hampshire’s non satis scire magazine, Summer 2016: https://www.hampshire.edu/news/can-art-fight-war (ultima consultazione: 30/12/2024).

           

Apparato iconografico:

Immagine 1: Fotografia di B. P. Kudojarov, 1942-1943, https://dzen.ru/a/X_y7hMt98VNdyBi4.

Immagine di copertina: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggnZ6kjMArxDFWFdqxzdB8CdxHWPWR-Btbb4XH7cnDszdqxEcpZp5vTu1FYyL7v3QK2SkdMM7h3OAjP5UuZm5xI1ddqgl2w6kbOdOiJxIVZHsaE8b2qqaL4dbDtp7zD9eMehetvg/s1279/PV+CIVITAS.jpg