L’intellettuale come ri-educatore alla democrazia: il romanzo postbellico “Zeit zu leben, Zeit zu sterben” di Erich Maria Remarque

Silvia Girotto

 

Abstract

Intellectual as Re-educator to Democracy: The Post-war Novel “Zeit zu leben, Zeit zu sterben” by Erich Maria Remarque

The German writer Erich Maria Remarque was a politically committed author in post-war Germany. The novel Im Westen nichts Neues (“All Quiet on the Western Front”, 1929) marked the beginning of a path that led him to active political engagement in order to restore democracy in his homeland and in Europe after the threat of nationalistic powers. The aim of this paper is to analyse Remarques’s political perspective, focusing first on the experience of war and, secondly, on the essential role of intellectuals after the end of the Second World War. The novel A Time to Love and a Time to Die exemplifies this feature representing a significant development of Remarque’s views: its protagonist Ernst Graeber embodies not only the everyday life on the front lines, but also the civilian experience and the destructive impact of war. The paper discusses the reception of Remarque’s political engagement in Germany and abroad through an analysis of the interviews he gave to national or international journals and newspapers.


L’umanità non è progredita su un binario liscio

(Remarque 1954: 296)

La figura dell’intellettuale, inteso come individuo di cultura e presente nella società come personaggio pubblico, ha ricevuto nel corso della Storia differenti considerazioni, a seconda del momento storico e delle condizioni sociopolitiche delle diverse aree. Se oggigiorno è ormai sparito il ruolo di guida che l’intellettuale aveva – in Italia come all’estero – è invece necessario ricordare come in determinati momenti queste figure fungessero da amplificatori del sentimento pubblico da un lato e da punto di riferimento per la società dall’altro. L’autorevolezza e l’ammirazione di cui gli intellettuali godevano erano testimoniate anche da manovre di censura da parte dei governi, che ne riconoscevano l’influenza. Nel periodo del secondo dopoguerra questo ruolo in Germania è particolarmente sentito da autori e autrici, che ritengono di doversi fare portavoce di una rinascita dopo le tragedie a cui la popolazione aveva assistito. Sarebbe stato compito loro aiutare nella rielaborazione del passato per guardare al futuro, guidando la società sul binario della Storia, un binario ricco di attriti e cambi di direzioni, come citato in epigrafe. La frase, tratta dall’opera Zeit zu leben, Zeit zu sterben (“Tempo di vivere, tempo di morire”, 1954) dell’autore tedesco Erich Maria Remarque, lascerebbe intendere proprio questo: l’umanità si è trovata davanti a numerosi ostacoli sul suo tragitto, ma da ciò che è stato è possibile imparare e proseguire. Remarque, assistendo a entrambe le guerre mondiali, è tra gli autori che si convincono dell’importanza del proprio ruolo nella situazione dell’Europa a lui contemporanea e decide quindi di fare dei suoi romanzi propaganda di pace e solidarietà per permettere alla Storia di proseguire sul proprio binario.

Non è possibile parlare di Erich Maria Remarque senza presentare il suo più famoso romanzo Im Westen nichts Neues del 1929, giunto in Italia con la traduzione Niente di nuovo sul fronte occidentale per Mondadori. Il testo porta Remarque alla fama grazie alla trasmissione dell’esperienza come soldato della Prima guerra mondiale. L’autore tedesco nasce nel 1898 a Osnabrück, figlio di Peter Franz Remark e di Anna Maria Stallknecht, che lo avevano battezzato Erich Paul Remark. La scelta di cambiare cognome nel 1925, tornando alle origini francesi della famiglia, pare venne presa in occasione della pubblicazione dei suoi testi, mentre la scelta di Maria come secondo nome sembra essere un omaggio alla madre. La vita dell’autore è costantemente penetrata dalla tematica della guerra, in quanto partì per il fronte a 18 anni per vivere l’esperienza del primo conflitto, mentre durante il successivo si spostò a New York, dove rimase fino al 1952, ottenendo la cittadinanza statunitense. Successivamente si trasferì nuovamente in Europa, in Svizzera.

Im Westen nichts Neues contribuì alla fama dell’autore non solo in ambito letterario: venne infatti trasposto cinematograficamente per la terza volta nel 2022 con la regia di Edward Berger, mentre la prima volta era stato prodotto nel 1930 e diretto da Lewis Milestone. Nel 1978 era invece uscita una seconda versione filmica con il regista Delbert Mann. L’immediato successo di questa opera è testimoniato, oltre che dalla creazione di tre pellicole in meno di un secolo, da un’impressionante tiratura delle prime edizioni del testo, che venne tradotto in oltre cinquanta lingue. Tra i suoi vanti anche quello di essere stato messo al bando nel 1933 dal regime nazionalsocialista, in quanto accusa alla disillusione portata ai giovani dall’idea di guerra e difesa della patria come avventura eroica, mentre questa altro non si rivela che un confusionario scontro tra poveri per qualche metro di terra. Il romanzo nasce dall’esperienza della vita al fronte vissuta da un Remarque che nel 1916 entrò a far parte dell’esercito tedesco, forse spinto dalla visione patriottica diffusa all’epoca tra i giovani, e che rimase sconvolto dalla realtà che si trovò ad affrontare. Uno degli amici partiti con lui venne infatti ucciso al confine con il Belgio e Remarque stesso dovette riportare il suo corpo al campo. Nel 1917, durante la battaglia delle Fiandre, venne colpito da uno shrapnel, che causò una ferita tale da permettergli di essere esentato dall’obbligo militare fino a novembre 1918, pochi giorni prima che la guerra terminasse. Di ritorno dal fronte si dedicò a varie attività, tra cui l’insegnamento e la scrittura: dopo Im Westen nichts Neues pubblicò altri testi sul tema del conflitto e delle conseguenze sulla vita dei combattenti, tra cui Der Weg zurück (“La via del ritorno”, 1931, Mondadori) e Drei Kameraden (“Tre camerati”, 1938, Mondadori), entrambi incentrati sul reinserimento dei reduci nella società.

Una scena tratta dal film “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Edward Berger, 2022.

 

Con l’ascesa del governo hitleriano, la decisione di emigrare e lo scoppio del secondo grande conflitto in Europa, Remarque affronta nuovamente gli errori e gli orrori del passato, che l’umanità aveva già sperimentato varie volte, ma dai quali sembrava essere stata toccata in modo particolare con la guerra del ‘14-’18. Gli anni della Seconda guerra mondiale vengono affrontati da Remarque con una nuova prospettiva, quella del civile, che lo porta a trattare la tematica della guerra con una nuova consapevolezza. Tra i grandi romanzi a cui lavora durante la guerra si trova infatti Der Funke Leben, testo parzialmente basato sulle sue letture delle annotazioni e delle testimonianze dei sopravvissuti ai campi di concentramento tedeschi e che dedicò alla sorella Elfriede, arrestata nel 1943 e condannata a morte. La sua decisione di descrivere la vita nei lager dopo essere fuggito da una Germania in guerra lo portò ad essere aspramente criticato dai connazionali, che non lo consideravano adatto a scrivere un romanzo sull’esperienza del campo di concentramento.

Con il romanzo Zeit zu leben, Zeit zu sterben Remarque torna a porre al centro di una vicenda la vita di un soldato: si tratta della storia di Ernst Graeber, che ha occasione di tornare a casa in licenza e scopre che il sacrificio suo e di tanti commilitoni non contribuisce davvero alla salvezza di chi è rimasto a casa. Fin dall’inizio è possibile identificare la disillusione nelle parole dei soldati presentati da Remarque: il libro si apre infatti con la descrizione dei cadaveri disseppelliti dalla neve sul fronte russo, dove Ernst e i suoi commilitoni stanno lottando contro l’esercito sovietico. Lo stesso tono è mantenuto nei successivi capitoli, nei quali la speranza dei soldati è ormai svanita e questi, consapevoli di essere in pericolo costante, lottano non più per un ideale o per difendere una patria, ma per il volere dei propri superiori. La lotta è una risposta al pericolo, non alla necessità di far valere le proprie ragioni, e risuonano vere le parole del soldato Sauer ai compagni: “Che razza di pensieri vengono a voialtri gente istruita! Non siamo stati noi due a incominciare la guerra e non ne siamo responsabili. Noi facciamo soltanto il nostro dovere. Gli ordini sono ordini, no?” (Remarque 1954: 36)

Chiara è anche la consapevolezza che non sarà la loro vita a cambiare nel caso di vittoria, bensì quella dei superiori, che riceveranno onorificenze mentre loro potranno, se fortunati, tornare a casa. Il ritorno è inserito tra le grandi tematiche dell’opera fin dalle prime pagine e il contatto tra soldati in guerra e famiglie rimaste a casa è un filo rosso che attraversa l’intero romanzo. Ogni soldato, soprattutto se in prima linea, è mantenuto vivo dalla speranza di ritrovare una famiglia che lo accolga e che gli faccia comprendere di aver sofferto per un motivo. Questa unica speranza accompagna ciascuno dei membri del battaglione di Ernst, ai quali nulla è più rimasto. Ciascuno di loro attende dunque con trepidazione la possibilità di una licenza, che viene ottenuta – a sorpresa – proprio dal soldato Graeber e proprio poco prima dello stop alle licenze.

Inizia dunque il viaggio del protagonista verso il paese natale, che si conclude tuttavia in una città quasi sconosciuta: Ernst non riconosce più i luoghi della sua giovinezza, distrutti dalle bombe nemiche. Il sacrificio suo quello dei compagni non ha dunque protetto i suoi cari? La risposta sembra essere negativa: i genitori sono dapprima creduti morti e poi dati per dispersi, lasciando una piccola speranza a Ernst, mentre la casa è rasa al suolo. La cittadina si rivela tanto pericolosa quanto il fronte: in entrambe le condizioni le persone si sono ormai abituate alla situazione, conoscendo i rifugi più vicini e vivendo ogni giorno come se fosse l’ultimo. Ernst non ha fatto altro che ritornare a “un altro fronte senza artiglierie e fucili, ma non meno pericoloso” (Remarque 1954: 117).

L’impegno politico dell’autore viene concretizzato in alcune figure emblematiche, caricate di un ruolo politico esplicito. Una di queste è il padre di Elisabeth, ragazza che Ernst sposerà nel corso della sua breve licenza. Questa figura è solo nominata nel romanzo, ma presentata come nemico del regime e per questo confinato nei campi di lavoro. Una seconda figura, molto più presente e vicina al protagonista, è Pohlmann, ex insegnante di religione. Attraverso di lui Remarque diventa scrittore fortemente politico, esplicitando i dubbi di Graeber come quelli di molti altri abitanti della Germania che si trovano di fronte a un bivio: la vita o la complicità. Chiede Ernst a Pohlmann:

Fino a qual punto divento complice quando so che la guerra non solo è perduta ma che dobbiamo perderla perché cessino la schiavitù e la strage, i campi di concentramento, le S.S. e il Servizio di Sicurezza, le uccisioni in massa e la mancanza di umanità; quando so tutte queste cose e fra due settimane ritorno a combattere in favore di esse?” (Remarque 1954: 178)

È qui che Ernst esprime uno dei più grandi dubbi che circoleranno in Europa con la fine del conflitto: è colpevole chi esegue solo degli ordini? Secondo le sue parole, si può essere complici anche dietro ad una scrivania, tuttavia nel caso di molti sodati non si tratta di complicità e condivisione di intenti, ma di cause di forza maggiore, di una situazione che non si può risolvere se non con gravi perdite personali. Ci si chiede dove inizino responsabilità personale e colpa, ma non si riesce a trovare una risposta a queste domande poiché la colpa, come la stessa complicità, passa “attraverso mille generazioni” (Remarque 1954: 179), per usare le parole esatte di Pohlmann. In realtà Remarque, più che cercare di identificare quanta colpevolezza può avere l’esecutore al gradino più basso della scala gerarchica, intende evidenziare la presa di consapevolezza, ma prima di tutto il dubbio, che pervade la persona di Ernst. Il protagonista si rende conto di quanto gli eventi storici a cui sta prendendo parte siano sfaccettati e di quale portata essi abbiano non solo sul nemico o su chi sta in prima linea, ma su tutta la popolazione, all’esterno e all’interno dei confini tedeschi.

La storia di Graeber è quella di un unico uomo, essa pone tuttavia al centro di un dibattito importanti questioni di colpa nazionale e responsabilità collettiva, focus di un discorso che comprenderà, nel secondo dopoguerra, tutta la popolazione tedesca. Il testo presenta infatti conseguenze che sono sotto gli occhi di tutta una nazione e che vengono esperite da ognuno, tanto che il pubblico contemporaneo all’autore può identificarsi in Ernst. Questa vicinanza è trasmessa anche grazie ad un linguaggio diretto e composto di azioni, che entra subito nel vivo dell’esperienza sul campo di battaglia e riempie le tre settimane di licenza di Ernst di eventi che anche nella loro semplicità diventano – agli occhi di un soldato al fronte e di civili che vivono sotto i bombardamenti – importanti avvenimenti da assaporare il più possibile. Questo è il motivo che spinge Ernst a sposare la giovane Elisabeth, con la quale Ernst si perde in pranzi, cene e acquisti che diano un senso ai ricordi del tempo trascorso assieme. Simbolico di questo tempo che vuole essere trascorso in spensieratezza è l’acquisto di un cappello per la moglie, un oggetto totalmente inutile ma che andrà a ricordare una delle ultime giornate di Ernst nel paese.

Ciò che risulta evidente nel corso della narrazione è una perdita di fiducia nell’umanità e nel futuro dopoguerra. Fantasticare con Elisabeth sugli anni che verranno non semplifica il tempo trascorso a casa, peggiora anzi il l’umore di Ernst pensando ai posti che potrebbero visitare al termine della guerra, ma rendendosi conto che nessun Paese accetterebbe turisti dal popolo che ha causato tutti questi morti. Non c’è pace, non c’è tranquillità, non c’è riscatto o redenzione e tutto appare inutile. Dice Ernst a proposito dell’impossibilità di pensare al domani e alla ripartenza: “Vorrei sapere però come si accordino questi libri, queste poesie, questa filosofia coi campi di concentramento, con la mancanza di umanità e con lo sterminio di persone innocenti” (Remarque 1954: 252), un’improvvisa esternazione che ricorda le parole di Theodor W. Adorno nel saggio del 1949 Kulturkritik und Gesellschaft: “Nach Auschwitz ein Gedicht zu schreiben, ist barbarisch”. La risposta di Pohlmann è semplice e lapidaria: “Non c’è alcun accordo, sono soltanto cose che coesistono nel tempo” (Remarque 1954: 252).

La coesistenza di questi eventi porta Ernst a mettere in dubbio le proprie azioni e a una riflessione personale che non gli permetterà di tornare al fronte come lo stesso uomo che era partito. Non è ora solo un uomo sposato, ma anche un individuo che ha visto con i propri occhi quanto le promesse di salvezza della patria siano state disattese. I soldati al fronte sanno che le proprie famiglie soffrono, ma non riescono a immaginare quanta distruzione vi sia se non una volta tornati effettivamente a casa. Le nuove scelte di Ernst sul campo di battaglia lo condurranno infine all’unico destino che può raggiungere un essere umano che decide di seguire ideali di giustizia in solitudine e opporsi, sul campo di battaglia, alla cieca obbedienza.

Altri personaggi, i soldati presenti al fronte con Ernst, sono ben degni di una menzione: i commilitoni del protagonista sono un interessante gruppo assai vario di personalità, dai fedeli al partito fino ai comunisti costretti a partecipare alla guerra. Nel primo caso il personaggio in questione è Steinbrenner, “perfetto prodotto del partito: perfettamente sano, perfettamente esercitato, senza alcun pensiero proprio e senza umanità” (Remarque 1954: 357). Si tratta di un uomo che altro non desidera che fare carriera e servire il partito, trovando le pause tra una battaglia e l’altra come una pausa in cui trovare passatempi, ridendo dei russi morti e stuzzicando in maniera crudele i commilitoni. È infatti lui a dare la falsa notizia della morte del compagno Hirschland ai genitori di questi, uno scherzo crudele di cui non si vergogna affatto, consapevole del fatto che anche un’accusa da parte di Hirschland si concluderebbe in un nulla di fatto, essendo lui ariano puro e fedele alla nazione, a differenza della vittima del suo scherzo. Per quanto riguarda invece i soldati costretti a partecipare alla guerra, tra essi si trova Immermann, dichiaratamente comunista, ma che nel mezzo degli spari “non era più il comunista intento a sparare contro i compagni, ma soltanto un essere vivo che difendeva la propria vita” (Remarque 1954: 368).

Alla luce di questa presentazione dell’opera e degli eventi in essa narrati, Zeit zu leben, Zeit zu sterben si mostra come un esempio di impegno nella divulgazione di ciò che è stato il Nazionalsocialismo non solo per internati e soldati, ma anche per la popolazione civile. Tale impegno non si ferma tuttavia a questa pubblicazione, in quanto dopo l’uscita del libro è possibile ritrovare le idee che l’autore intende trasmettere nel testo in varie interviste che gli vennero sottoposte. Attraverso di esse si comprende come le sue opere, in modo particolare Zeit zu leben, Zeit zu sterben, vogliano mettere in guardia i giovani, soprattutto di fronte al pericolo di una rinascita del partito nazionalsocialista. L’autore vuole parlare degli orrori della guerra e della dittatura anziché rimanere in silenzio e puntare alla ricostruzione, come voleva invece buona parte della popolazione.

A partire dal 1929 è possibile parlare di Remarque come di un autore identificato dal punto di vista politico e che inizia ad esporsi, mostrando con il passare del tempo di non tirarsi indietro di fronte al confronto con la realtà che si muove attorno a lui. Tra il 1930 e il 1931 rilasciò una ventina di interviste, che rappresentano un’importante testimonianza del suo impegno politico non solo per la quantità, ma anche e soprattutto per i temi affrontati e le sue affermazioni. Attraverso queste interviste divenne un autore globalmente conosciuto ed esse si rivelarono un mezzo per diffondere un messaggio che risulta evidente anche in Zeit zu leben, Zeit zu sterben, ovvero che l’esperienza della guerra e del postguerra va oltre i confini politici, è comune all’umanità intera e in quanto tale deve essere condivisa per poter evitare che si ripeta. Ciò che in particolare teme Remarque, e sarà chiaro fin dalla prima intervista, è un ritorno dei nazionalismi.

Nel 1929, nelle sue prime apparizioni su giornali internazionali, Remarque si presentò come un autore ancora inesperto e non orientato politicamente, talvolta confuso dall’incredibile successo di Im Westen nichts Neues. Non era un autore che aveva rielaborato i traumi bellici, bensì che descriveva la sofferenza di cui aveva fatto esperienza. Con il successivo romanzo Der Weg zurück, tuttavia, Remarque abbandona l’ingenuità che lo aveva caratterizzato con il successo di Im Westen nichts Neues. Egli divenne infatti un autore esplicitamente politico e le successive pubblicazioni sono infatti ricche di rimandi politici e personaggi intrisi di convinzioni politiche e ideali, mostrando un chiaro cambiamento rispetto alla narrazione che aveva fatto del fronte durante la Prima guerra mondiale.

Temendo un ritorno del pericolo della guerra, con il libro Liebe deinen Nachsten del 1941 Remarque cercò di porre attenzione su quelli che erano i problemi esistenti nell’Europa tra le due guerre e del pericolo che questa correva. Tuttavia, quando le sue paure si realizzarono con l’ascesa al potere di Hitler, si rese conto di non avere possibilità di cambiare il corso della Storia come scrittore. Era convinto che il suo ruolo e quello dell’intellettuale in genere sarebbe tornato ad essere fondamentale nel periodo della ricostruzione. Per farlo, cause e conseguenze sarebbero dovute essere oggetto di attente analisi. Affermò “la fine di questa guerra porterà ad un potente slancio nella letteratura. Letteratura politica” (Schneider 2021: 26).

Sarebbe stato fondamentale pensare al ruolo della Germania nella nuova condizione e rieducare la popolazione tedesca alla democrazia. In preparazione a questo ruolo, Remarque scrisse dunque durante la guerra i romanzi Arc de Triomphe, Der Funke Leben e Zeit zu leben, Zeit zu sterben, convinto che essi sarebbero serviti alla rieducazione dell’individuo. Il suo esplicito tentativo, tuttavia, assieme alla fuga dalla Germania a causa della deriva nazionalista, portò molti concittadini a criticarlo, come successe ad altri intellettuali. Remarque mostrò idee politiche ben chiare e questo non contribuì a diffonderne una buona fama in patria. Nella Bundesrepublik Deutschland Remarque venne infatti presentato come un Nestbeschmutzer (insozzatore del nido) e un traditore della patria, che non riusciva a lasciar riposare in pace la parte più problematica della storia tedesca. Per la forte critica che gli venne mossa è oggi possibile affermare che dalle interviste e dagli articoli pubblicati ci fossero due Remarque per la stampa: uno tedesco e uno internazionale. Infatti, le affermazioni che è possibile leggere nelle interviste mostrano l’evidente differenza di considerazione dell’autore dall’uno e dall’altro punto di vista. Remarque, infatti, non si tirò mai indietro di fronte a interviste da parte di giornali e riviste straniere. Se i quotidiani tedeschi lo criticavano e si concentravano sulla sua attività letteraria, a livello internazionale invece, anche in interviste a stati socialisti – soprattutto Cecoslovacchia e Jugoslavia –, gli venne spesso chiesto di commentare temi di attualità, come la relazione franco-tedesca, la presenza di stralci del Nazionalsocialismo nelle posizioni di potere della Germania, del riarmo della stessa, delle conseguenze delle elezioni dei partiti radicali di destra nella BRD, della guerra fredda e del pericolo di una terza guerra mondiale.

Il preponderante appello di Remarque consisteva nel mettere in guardia dal possibile ritorno della minaccia nazionalsocialista, di cui secondo l’autore si può essere facile preda. È infatti possibile leggere in un’intervista del 12 maggio 1945 sul New York Times le seguenti parole:

Sei settimane più tardi ero a Berlino all’Hotel Eden. Nella lobby sedevano alcuni dei miei vecchi ufficiali e sulle loro uniformi c’erano ancora le spalline, che gli erano state strappate. Ben presto gli stessi piccoli ex-sottotenenti […] scrivevano sui loro biglietti da visita il loro vecchio rango nella Wehrmacht.” (Schneider 2021: 29)

Le sue affermazioni politiche fanno riferimento ad esperienze e paure personali, che in questo caso mostrano come sia facile tornare a credere al mito dell’importanza dell’esercito, una critica che gli portò ulteriore critica da parte dei connazionali. Non venne infatti visto di buon occhio per il suo atteggiamento critico di fronte ad una popolazione che si stava rialzando e che non trovava giusto rivangare gli errori del passato. La popolazione tedesca da una parte intendeva ripartire, ma dall’altra intendeva dimenticare quanto accaduto, fingere che non fosse mai esistito, per ricominciare da zero. Intellettuali come Erich Maria Remarque (o Bertolt Brecht, per ricordare un evidente esempio), tuttavia, erano fermamente convinti che il ricordo e la condanna di quanto accaduto fossero fondamentali per una ripartenza e vedevano nell’intellettuale un ruolo di bussola della società.

Remarque divenne, in sostanza, un ricercato personaggio anche a livello politico, non solo letterario. La sua attività politica, strettamente legata alla sua produzione letteraria, si manifesta in maniera chiara nelle produzioni successive a Im Westen nichts Neues, trovando in Zeit zu leben, Zeit zu sterben un’occasione di manifestare attraverso il protagonista Ernst la posizione del cittadino medio, consapevole della tragedia a cui sta contribuendo e alla quale cerca di ribellarsi, mentre attraverso il maestro Pohlmann mostra l’immagine dell’intellettuale che non offre soluzioni ai problemi contemporanei, ma fa tesoro delle esperienze di guerra perché esse possano essere utilizzate per la costruzione di un mondo migliore. Dice infatti Pohlmann a Ernst, incarnando proprio l’intellettuale che durante la guerra non può fare altro che osservare e immagazzinare per tempi più maturi:

Lei ha il diritto di domandare. La complicità. Che ne sa lei? Lei era giovane ed è stato avvelenato con menzogne prima che potesse farsi un giudizio. Noi invece siamo stati a guardare e abbiamo lasciato fare. Per quale motivo? Per indolenza? Per indifferenza o povertà o eroismo o disperazione? Ma chi pensava che se ne potesse derivare una peste simile? Crede che non ci rifletta ogni giorno?” (Remarque 1954: 180)

 

 

Bibliografia:

Alice Cadeddu, “‘Selbst dort, wo er zurückblickt, ist es die Gegenwart, die er anspricht.‘ Zur Remarque-Rezeption der vergangenen 20 Jahre in Deutschland”, in Alice Cadeddu – Claudia Junk – Thomas F. Schneider (ed.), Weltweit – Worldwide – Remarque. Beiträge zur aktuellen internationalen Rezeption von Erich Maria Remarque, Göttingen, Universitätsverlag Osnabrück, 2020, pp. 95-116. La traduzione degli estratti è stata fatta per l’occasione da me. S.G.

Thomas F. Schneider, Selbstbegrenzung und freie Meinungsäußerung. Die Interviews mit Erich Maria Remarque und das Selbstverständnis eines globalen Schriftstellers, in Alice Cadeddu – Renata Dampc-Jarosz – Claudia Junk – Paweł Meus – Thomas F. Schneider (ed.), Erich Maria Remarque aus heutiger Sicht, Göttingen, Universitätsverlag Osnabrück, 2021, pp. 9-34. La traduzione degli estratti è stata fatta per l’occasione da me. S.G.

Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Neri Pozza, 2016, versione digitale. Traduzione di Stefano Jacini, con aggiornamento e revisione della traduzione di Wolfango della Croce.

Erich Maria Remarque, Tempo di vivere, tempo di morire, Milano, Mondadori, 1967. Traduzione di Ervino Pocar.

Richard Arthur Firda, Erich Maria Remarque: A Thematical Analysis of his Novels, New York, American University Studies – Peter Lang, 1988.

Sitografia:

DLF 25.9.1970: “Der Schriftsteller Erich Maria Remarque gestorben”, servizio della Deutschlandfunk con un approfondimento su Remarque a cura di Christoph Schmitz-Scholemann: https://www.youtube.com/watch?v=hyrqsaQFfjQ (ultima consultazione 15/12/2024).

Erich Maria Remarque “Gespräch mit Friedrich Luft (1962). Intervista del 1962 a Remarque”, con Friedrich Luft: https://www.youtube.com/watch?v=aOzROBGLkpE&t=346s (ultima consultazione 15/12/2024).

 

Apparato iconografico:

Immagine 1: http://www.altiasi.ro/carte/nimic-nou-pe-frontul-de-vest

Immagine 2 e immagine di copertina: https://macguffin007.com/2023/02/21/sin-novedad-en-el-frente/