Il dramma della guerra civile russa nelle pagine de “La guardia bianca” di Michail Bulgakov

Arianna Minonzio

 

Abstract

The Drama of the Russian Civil War in the Pages of Mikhail Bulgakov’s “The White Guard”

This article offers an analysis of Belaya gvardiya (“The White Guard”, 1925) by Mikhail Bulgakov, focusing on its depiction of the Russian Civil War (1917-1923). Through a historical-literary approach, it explores how the novel mirrors the era’s profound political, social, and ideological tensions. The narrative vividly portrays the experiences of individuals and communities grappling with the chaos of a divided society. Kyiv emerges as a symbolic crossroads of conflict, where fragmented identities and clashing loyalties intertwine. Special attention is given to the characters’ family dynamics and their pervasive existential disorientation. Through his masterful style, Bulgakov captures the human dimension of historical upheaval, lending a voice to a generation torn apart and reshaped by the relentless forces of history.


Introduzione

La guerra civile russa, scaturita dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, non fu soltanto un confronto militare tra l’Armata Rossa bolscevica e le forze controrivoluzionarie, ma anche un evento che frammentò profondamente la società civile, sia sul piano collettivo che individuale. In questo contesto, Belaja gvardija (“La guardia bianca”) di Michail Bulgakov, scritta tra il 1923 e il 1924 e pubblicata inizialmente a puntate sulla rivista Rossija, si è distinta come un’opera in grado di esplorare in profondità le ricadute umane di un conflitto devastante, basandosi sul microcosmo della famiglia Turbin per raccontare le tensioni e le disillusioni di un’intera epoca.

Ambientato a Kyiv, un crocevia dove si scontrarono eserciti, ideologie e identità nazionali, il romanzo mette a nudo la frammentazione psicologica di una società civile intrappolata tra il crollo dell’ordine conosciuto e l’irruzione violentissima di un futuro caotico e imprevedibile.

Il contesto storico: la guerra civile russa e Kyiv

Le terre ucraine, tra l’autunno del 1917 e l’estate del 1920, furono teatro di un conflitto incessante che vide l’avvicendarsi forze politiche contrapposte, per citarne alcune: i nazionalisti, gli anarchici, i bianchi, e l’occupazione straniera. Kyiv, in particolare, cambiò dominio ben sedici volte in trentasei mesi, divenendo il simbolo per eccellenza di quel caos politico e sociale. Dapprima con l’occupazione tedesca, inizialmente accolta da parte della popolazione come una promessa di pace e stabilità, che poi degenerò invece in una fonte di risentimento a causa delle politiche oppressive degli occupanti e del saccheggio sistematico delle risorse ucraine. Poi, con l’instaurazione dell’etmanato di Pavlo Skoropads’kyj, un governo fantoccio sostenuto dai tedeschi, che non riuscì a garantire né sicurezza né ordine, favorendo così l’emergere di nuove forze di opposizione. Tra queste spiccava quella del nazionalismo ucraino, guidato dalla figura di Symon Petljura che sfidò apertamente l’autorità dell’etmano. Tuttavia, il breve dominio di Petljura su Kyiv non portò la tanto attesa stabilità. La città rimase divisa: per alcuni, Petljura rappresentava un liberatore, per altri un usurpatore. Al contempo, la disgregazione dell’esercito e la fuga dell’etmano e dei generali lasciarono la popolazione civile alla mercé delle bande criminali, che sfruttarono quel vuoto di potere per saccheggiare e seminare violenza. Questo vortice di instabilità si concluse con l’occupazione bolscevica di Kyiv, che pose fine al dominio di Petljura non portando tuttavia la pace sperata. Al contrario, l’ingresso dei bolscevichi in città segnò l’inizio di una nuova fase di oppressione, il cui esito rimase incerto.

Fragilità interne e ostilità sociale: il fallimento dell’Armata Bianca

Il fallimento dell’Armata Bianca nella guerra civile russa fu il risultato di una profonda disunione interna, di politiche impopolari e di gravi difficoltà organizzative. Composta da un’eterogenea coalizione di monarchici, repubblicani, socialisti e democratici, mancava di una visione unitaria per il futuro della Russia. Questa frammentazione ideologica non solo ostacolò l’elaborazione di una strategia comune, ma alimentò divisioni che indebolirono ulteriormente la sua capacità di resistere ai bolscevichi. Sul piano sociale, i Bianchi fallirono invece nel conquistare il sostegno popolare, soprattutto tra i contadini, che rappresentavano la maggioranza della popolazione. Le loro politiche repressive, i saccheggi e le violenze perpetrate dalle loro truppe rafforzarono l’ostilità delle masse, che finirono per schierarsi con i bolscevichi, percepiti come il male minore grazie alla loro retorica di difesa contro i “nemici di classe”.

A queste debolezze interne si aggiunse una dipendenza critica dagli aiuti esterni. Sebbene sostenuti finanziariamente e militarmente dagli Alleati, i Bianchi ricevettero un supporto sporadico e insufficiente. La riluttanza delle potenze occidentali a impegnarsi a fondo nella guerra civile, unita alle difficoltà logistiche legate alla vastità del territorio russo, rese questi aiuti in gran parte inefficaci. Anche nei territori sotto il loro controllo, i Bianchi si dimostrarono incapaci di stabilire una solida struttura amministrativa o di garantire un’efficiente gestione delle risorse. Corruzione, disorganizzazione e difficoltà nelle comunicazioni logistiche minarono ogni tentativo di consolidare il fronte interno, lasciandoli in una posizione di costante svantaggio rispetto ai Rossi, più organizzati e ideologicamente coesi.

Michail Bulgakov e la guerra civile: tra disillusione e memoria

Michail Afanas’evič Bulgakov nacque a Kyiv nel 1891, una città che non solo costituì il cuore della sua formazione personale, ma divenne anche uno dei simboli più potenti della sua opera letteraria. Laureatosi in medicina, iniziò la sua carriera come medico e prestò servizio al fronte durante la Prima guerra mondiale. Tuttavia, gli eventi sconvolgenti della Rivoluzione d’Ottobre e il caos successivo della guerra civile lo portarono ad abbandonare definitivamente la professione medica per dedicarsi alla scrittura.

Questi eventi furono per Bulgakov un’esperienza tanto personale quanto universale, profondamente legata al congedo da quel mondo che ne aveva segnato la prospettiva culturale e umana, nonché alla difficoltà a schierarsi per l’una o per l’altra fazione. Pur essendo cresciuto in un contesto culturale legato alla Russia imperiale, Bulgakov non abbracciò mai completamente le ideologie reazionarie dell’Armata Bianca, che descrisse attraverso le sue fragilità, le divisioni interne e le sconfitte. D’altro canto, i bolscevichi rappresentavano per lui una forza implacabile ma non necessariamente giusta, in quanto responsabile della distruzione di un ordine che, pur con i suoi difetti, era stato il fondamento della sua educazione e identità.

Questa prospettiva ambivalente emerge chiaramente in La guardia bianca, dove l’autore si concentra più sul destino umano dei suoi protagonisti che sulle dinamiche ideologiche. Attraverso una narrazione che mette al centro le vicende personali e i dilemmi morali dei personaggi, Bulgakov rappresenta il disorientamento e la vulnerabilità di un’epoca in cui nessuna fazione riesce a offrire una risposta alle sofferenze collettive, evidenziando così la precarietà esistenziale di chi è travolto dalla Storia.

“La guardia bianca”: tematiche principali

Come già evidenziato, il romanzo rappresenta una raffinata e complessa esplorazione del caos della guerra civile russa, filtrata attraverso le vicende della famiglia Turbin. Ambientata nel gelido inverno tra il 1918 e il 1919, l’opera si snoda sullo sfondo di una Kyiv devastata dall’instabilità politica e militare, dove il rapido alternarsi di fazioni al potere riflette la frammentazione dell’identità collettiva e l’erosione dei valori tradizionali. I fratelli Turbin — Aleksej, Nikolka ed Elena —, appartenenti alla classe medio-alta, incarnano le diverse risposte umane a questo scenario. La loro iniziale fedeltà al regime zarista, espressione dei valori tradizionali in cui sono cresciuti, si scontra con la realtà di un panorama politico e militare sempre più sconvolto: l’Armata Bianca, in cui confidano come ultimo baluardo contro i bolscevichi, si rivela incapace di mantenere le promesse di stabilità, mentre le forze nazionaliste ucraine accentuano il senso di precarietà con le loro rivendicazioni. In questo contesto, Aleksej, come medico militare, incarna il legame con un passato fatto di ordine e dovere, nonostante sia consapevole della sua irreversibile dissoluzione; Nikolka, con la sua giovinezza e il suo ardore idealista, rappresenta l’aspirazione al cambiamento, che però si scontra con la brutalità della realtà; ed Elena, infine, emerge come figura di resilienza, simboleggiando il coraggio e la forza interiore delle donne in un’epoca segnata da conflitti prevalentemente maschili. A circondare i Turbin è un mosaico di personaggi che incarnano a loro volta le diverse risposte al crollo dell’Impero russo. Tal’berg, il marito di Elena, opportunista e privo di scrupoli, simboleggia il tradimento degli ideali in virtù della sopravvivenza al nuovo ordine. Myšlaevskij, invece, riflette il cinismo di una generazione che ha perso ogni fiducia nel futuro, mentre Karas’ e Šervinskij rappresentano rispettivamente l’idealismo ingenuo e la frivolezza di coloro che tentano di trovare un senso o un vantaggio nel caos. Il colonnello Malyšev emerge infine come un raro esempio di integrità, assumendosi con coraggio la responsabilità delle sue decisioni in un contesto in cui l’etica sembra dissolversi.

Tematicamente, Bulgakov intreccia con grande abilità la brutalità della guerra civile, la disgregazione della società e la perdita dei valori tradizionali. Il romanzo esplora con profondità il contrasto tra idealismo e disillusione, incarnato nella tensione tra personaggi come Nikolka e Myšlaevskij, e pone la famiglia come ultimo baluardo di stabilità in un mondo sconvolto. La lealtà verso i propri cari si oppone alla fedeltà verso una patria o una causa politica, evidenziando la complessità delle scelte morali in tempi di crisi. Inoltre, La guardia bianca riflette sul dramma identitario di individui costretti a ridefinirsi in un mondo in continua trasformazione, offrendo una narrazione che, pur radicata nella specificità storica della guerra civile, assume una portata universale.

Il tema dell’apocalisse e l’impianto narrativo

La guardia bianca è stata talvolta considerata dalla critica come un’opera incompiuta, soprattutto per la sua struttura narrativa che rompe l’illusione iniziale di un’identificazione totale con il punto di vista della famiglia Turbin. Se nelle prime pagine il lettore condivide appieno la prospettiva della famiglia, tale simmetria viene progressivamente incrinata dall’abile costruzione di Bulgakov, che introduce una sottile ma decisa critica alla loro visione del mondo. Centrale in questa operazione è il tema dell’apocalisse, che attraversa l’intero romanzo assumendo una funzione polisemica. Esso si manifesta inizialmente nel discorso del padre Aleksandr, che consola la famiglia Turbin dopo la morte della madre, proponendo una lettura escatologica del loro lutto: il dolore individuale viene inserito nel più ampio ciclo della storia umana. La stessa chiave interpretativa ritorna in diversi momenti della narrazione, attribuendo agli eventi della Rivoluzione russa un significato cosmico e quasi neutrale, inscrivendoli nel flusso ciclico e inesorabile della storia universale.

Grande fu l’anno, e terribile, il 1918 dalla nascita di Cristo, il secondo, dall’inizio della rivoluzione. Fu copioso di sole in estate, e di neve in inverno, e particolarmente alte nel cielo brillarono due stelle: la stella dei pastori, Venere serotina, e Marte, rosso, tremulo. Ma tanto negli anni di pace che in quelli di sangue i giorni volano come frecce, e i giovani Turbin non si resero conto di come nel gelo intenso fosse arrivato il bianco, ispido dicembre. Oh, il nostro Babbo Natale, scintillante di neve e felicità! Mamma, regina radiosa, dove sei?” (Bulgakov 2019: 10)

L’accostamento “l’anno di Nostro Signore 1918, della Rivoluzione il secondo” è emblematico: i due anni della rivoluzione, tanto sconvolgenti per i personaggi, vengono ridotti alla loro giusta misura rispetto ai quasi due millenni di cristianesimo e, più in generale, rispetto al vasto panorama della storia cosmica. Tuttavia, se la rivoluzione è descritta come un evento naturale e inevitabile, paragonabile al passare delle stagioni, i Turbin appaiono incapaci di accoglierla come tale. La loro visione è radicata in un conservatorismo che non si limita al rifiuto del progresso politico o tecnologico, ma che è espressione di una profonda fragilità psicologica. Essi si aggrappano a un mito privato fatto di valori borghesi, familiari e legati allo status quo, preferendo l’illusoria permanenza del passato all’incertezza di una realtà comune. Kyiv stessa, nello sguardo dei Turbin, non è una città reale, ma una proiezione mitica della loro mente, un “regno interiore” che riflette il loro bisogno di un ordine stabile e immutabile.

I pavimenti sono lucidi, e adesso, in dicembre, sul tavolo, nel vaso opaco a colonna ci sono ortensie azzurre e due rose cupe e languide, a ribadire la bellezza e la solidità della vita, nonostante sulle vie d’accesso alla Città ci sia un nemico infido, che forse potrebbe persino distruggere la bellissima Città innevata, e calpestare sotto ai tacchi quel che resta della pace.” (Bulgakov 2019: 18)

Bulgakov sottolinea la limitatezza di questa visione introducendo figure esterne alla famiglia che incarnano possibilità di trascendenza e rinnovamento. Rusakov, il poeta, e Pet’ka, un bambino, offrono due momenti di rivalsa nel romanzo: la pace cosmica sperimentata dal primo e la gioia primitiva e innocente del secondo rappresentano vie di fuga dalla realtà mondana e dalle sue sofferenze. I Turbin, al contrario, sono intrappolati nella loro visione terrestre e angosciante, come evidenziato dai loro sogni, che non liberano ma rievocano traumi e paure, configurando gli eventi storici non come parte di un ciclo naturale, ma come un’inesorabile condanna.

In questo modo, La guardia bianca si snoda in una narrazione che prende progressivamente le distanze dai suoi protagonisti principali per mostrare la loro incapacità di rispondere alla chiamata della Storia. La critica implicita di Bulgakov emerge non solo nel giudizio sui Turbin come personaggi “non positivi”, ma anche nell’intento di ampliare la prospettiva del lettore: dall’angusto microcosmo familiare verso una visione escatologica che intreccia Storia, spiritualità e senso cosmico del tempo.

Lo stile di Bulgakov: realismo e lirismo

Uno degli elementi distintivi de La guardia bianca è lo stile di Bulgakov, che combina realismo e lirismo per creare un’opera di grande intensità emotiva. L’autore descrive con precisione gli eventi storici e le condizioni di vita durante la guerra civile, ma allo stesso tempo utilizza un linguaggio evocativo e poetico per esplorare i sentimenti e le emozioni dei personaggi.

Questa fusione di stili permette a Bulgakov di andare oltre la semplice cronaca storica, trasformando il romanzo in una riflessione universale sul significato della guerra e sulla resilienza dello spirito umano. Le descrizioni dei paesaggi, dei volti e delle situazioni quotidiane sono cariche di simbolismo, mentre i dialoghi e i monologhi interiori rivelano una profonda comprensione della psicologia umana.

“«Lo so, io lo so» si disse Elena, da sola, «non c’è rispetto. Sai, Serëža, io non ho rispetto di te», disse con fare significativo alla volta del cappuccio rosso, e sollevò un dito. E, inorridendo ella stessa per quel che aveva detto, inorridì della propria solitudine ed ebbe voglia che lui fosse lì, in quello stesso momento.” (Bulgakov 2019: 58)

Accanto allo stile, un altro elemento significativo del romanzo è rappresentato dall’uso del tempo come elemento centrale nella struttura narrativa. Bulgakov manipola abilmente il flusso temporale, alternando momenti di azione frenetica a pause riflessive che permettono ai personaggi e ai lettori di assimilare gli eventi. Questa tecnica non solo rende il romanzo più coinvolgente, ma riflette anche i temi della frammentazione e dell’incertezza della vita durante la guerra civile.

Il tempo viene spesso rappresentato in modo simbolico, come un’entità che intrappola i personaggi in una spirale di eventi ineluttabili. La narrazione si svolge in un arco temporale relativamente breve, ma la densità delle esperienze vissute dai personaggi amplifica la percezione della durata, creando un contrasto tra l’apparente immobilità della vita quotidiana e l’urgenza della crisi storica. Un esempio chiave è la descrizione dell’orologio nella casa dei Turbin, che scandisce inesorabilmente il passare delle ore, simboleggiando sia l’inevitabilità del cambiamento sia la nostalgia per un passato che non può essere recuperato.

Ardono le mattonelle arabescate di maiolica, l’orologio nero cammina, come trent’anni prima: tic toc. Il maggiore dei Turbin, rasato, con i capelli biondi, invecchiato e cupo dopo il 25 ottobre 1917, con la giubba dalle enormi tasche, i calzoni da cavallerizzo blu e morbide pantofole, nella sua posa preferita – con le gambe raccolte sulla poltrona.” (Bulgakov 2019: 16)

L’eredità letteraria de La guardia bianca

Dopo la sua pubblicazione, La guardia bianca non solo consolidò la reputazione di Bulgakov come scrittore di grande talento, ma aprì anche un dibattito sul ruolo della letteratura nella rappresentazione della Storia. In un contesto dominato dalla narrativa ufficiale sovietica, che glorificava la Rivoluzione d’Ottobre e demonizzava le forze controrivoluzionarie, il romanzo di Bulgakov rappresentava una voce dissonante.

Il ritratto sfumato dei bianchi e dei bolscevichi, unito alla sua attenzione per il dramma umano, suscitò critiche e sospetti da parte delle autorità sovietiche. Tuttavia, La guardia bianca trovò anche un pubblico appassionato tra i lettori che cercavano una prospettiva alternativa sulla guerra civile.

L’adattamento teatrale del romanzo, intitolato Dni Turbinych (“I giorni dei Turbin”, 1925), fu accolto con grande successo, nonostante le tensioni politiche che circondavano la sua rappresentazione. Lo stesso Stalin assistette più volte alla pièce, riconoscendo implicitamente il valore artistico dell’opera, pur rimanendo ambivalente nel suo giudizio, specialmente rispetto al suo messaggio politico.

Conclusione

La guardia bianca di Bulgakov non è solo un romanzo storico, ma un’opera di straordinaria complessità che intreccia il dramma umano ai grandi eventi della Storia. Attraverso la storia della famiglia Turbin e l’affresco di una Kyiv intrappolata tra la morsa del gelo e il tumulto della guerra civile, Bulgakov esplora le tensioni tra l’individuo e la collettività, la memoria e l’oblio, la resilienza e la disillusione. Kyiv, con le sue strade innevate e i suoi abitanti ridotti a ombre in lotta per la sopravvivenza, si trasforma in un simbolo universale, un microcosmo di un’umanità travolta dal caos della Storia ma ancora capace di trovare significato e bellezza nei frammenti della quotidianità.

In un’epoca in cui la letteratura era spesso piegata a fini ideologici, Bulgakov si distinse offrendo una narrazione di straordinaria onestà, che rifuggiva il dogmatismo per restituire la complessità del reale. Non sono le ideologie a dominare le sue pagine, ma le persone: uomini e donne intrappolati tra il peso del passato e le incertezze del futuro, incapaci di afferrare pienamente la portata del cambiamento in atto. Questa prospettiva intimista e simbolica consente al romanzo di superare i confini del tempo e dello spazio, ponendo domande universali sulla condizione umana di fronte alle crisi epocali.

Nonostante le difficoltà legate alla censura sovietica, La guardia bianca è rimasta una delle vette della letteratura russa del XX secolo. Con la sua combinazione di realismo storico e profondità emotiva, l’opera non solo documenta un’epoca di trasformazioni radicali, ma invita a riflettere sulle fragilità e sulle risorse dell’animo umano, configurandosi come un classico senza tempo, capace di dare una chiave di lettura privilegiata su uno degli eventi più impattanti della storia moderna.

 

 

Bibliografia:

Michail Bulgakov, La guardia bianca, Milano, Feltrinelli, 2019. A cura di Serena Prina.

William Bruce Lincoln, I Bianchi e i Rossi, Storia della guerra civile russa, Milano, Mondadori, 1991. Traduzione di Francesco Saba Sardi.

Andrew Barratt, “Apocalypse or Revelation? Man and History in Bulgakov’s Belaya gvardiya”, New Zealand Slavonic Journal, No.1, 1985, pp. 105-131.

 

Apparato iconografico:

Immagine 1 e immagine di copertina: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?search=bulgakov&title=Special:MediaSearch&go=Go&type=image&haslicense=unrestricted