Quando crescita personale ed involuzione sociale si intrecciano. “Eravamo come fratelli” di Daniel Schulz

Viviana Santovito

“Cronaca di una perversione”. Se si volesse aggiungere un sottotitolo al romanzo oggetto di questa recensione, Eravamo come fratelli (“Wir waren wie Brüder”, 2022), probabilmente questo sarebbe il più adeguato. Edito in Germania da Hanser Berlin, l’opera letteraria d’esordio di Daniel Schulz viene proposta al pubblico italiano nel 2024 da Bottega Errante Edizioni, con la traduzione di Federico Scarpin.

Link al libro: https://www.bottegaerranteedizioni.it/product/eravamo-come-fratelli/


Daniel Schulz non è un autore di prima penna, pur essendo al suo esordio letterario: è infatti giornalista investigativo, attualmente impegnato nella redazione di Die Tageszeitung. Schulz conosce molto bene l’estremismo di destra galoppante nella ex Germania Est, essendosi occupato più volte dell’argomento dal punto di vista professionale. Questa volta, però, l’autore si cimenta in un’analisi più intima del problema, osservandone la nascita e l’evoluzione dall’interno.

Nato nel 1979 a Potsdam, Schulz è stato testimone oculare del crollo della DDR, col suo carico di speranze e scombussolamenti. Il crollo del Muro, paragonabile al cedimento di una diga, ha inondato i cinque Länder orientali, travolgendoli con il passaggio all’economia di libero mercato, l’avvento della cultura pop anni ’90 e delle sottoculture giovanili. Ed è proprio questo che racconta Schulz: una società presa alla sprovvista che tenta di annaspare aggrappandosi dove può. Mentre la generazione più adulta prova a trovare conforto alla disoccupazione e al senso di smarrimento nell’alcool, i loro figli sfogano la propria rabbia (e l’omoerotismo represso) ritrovando la loro identità nel “glorioso” passato nazionalsocialista e nel movimento skinhead.

Bisogna essere molto chiari a riguardo: se ci si approccia a questo testo pensando di trovare un trattato storico-sociologico sulla nascita del neonazismo in Germania Est, molto probabilmente si rimarrà delusi. La storia, infatti, è narrata dal punto di vista del suo protagonista, molto probabilmente incarnazione autobiografica dell’autore stesso e, più che focalizzarsi sul panorama politico del periodo, segue le vicende di questo ragazzo per undici anni, dal 1989 al 2000. Scorrendo le pagine del romanzo si ritorna alla fine dell’infanzia, con i suoi giochi e la fervida immaginazione, per poi piombare nel vortice dell’adolescenza. Per il lettore è un ritorno al cortile del liceo, con i gruppetti, la paura di essere bullizzati, le vecchie amicizie che cambiano e le nuove con cui si fa fatica ad andare pienamente d’accordo, le insicurezze, le prime cotte e il profondo senso di inadeguatezza verso se stessi e gli altri. Sono di nuovo lì, davanti agli occhi: i giubbotti e i jeans di brand specifici, le t-shirt dei gruppi alternativi del periodo, le capigliature tipiche delle relative sottoculture. Per entrare ancora di più nell’atmosfera adolescenziale anni ’90, il romanzo è costellato di citazioni da prodotti di intrattenimento e brani tipici del periodo e, tra un videogioco e un walkman, il lettore segue il percorso di crescita del protagonista attraverso interrogazioni, gite e pestaggi.

È un mondo che cambia, quello in cui è calato l’adolescente imbranato protagonista del romanzo: al mutare del proprio corpo corrisponde il progredire della perversione neonazista che sembra aver colpito tutta la sua generazione. Più l’Ovest, con le sue influenze americane, prende terreno negli oggetti acquistati e nei gusti della popolazione, più questi giovani si spingono sempre più a destra, rasandosi i capelli e andando a caccia di cimeli dell’epoca nazista. Le gite fuori porta sono accompagnate da un sottofondo musicale skinhead, le uscite serali spesso si tramutano in spedizioni punitive, mentre gli adulti riversano la loro frustrazione prorompendo in discorsi d’odio contro i nuovi arrivati, colpevoli di aver sottratto agli Ossi (parola utilizzata per indicare i tedeschi della Germania dell’Est, in tedesco Ost) il ruolo sociale di ultimi: Figi, turchi, arabi, tutti diversi, ma tutti uniti nel ruolo di capro espiatorio per una popolazione che non riesce a darsi pace del repentino mutamento in peggio della propria condizione.

Il ragazzo protagonista si barcamena in tutto ciò, cercando di preservare un’indipendenza da un mondo gretto e violento che a malapena lo tollera per ciò che è. Mentre gli altri ragazzi sfoggiano una testa rasata, lui decide di farsi crescere i capelli e alla forza bruta preferisce i videogiochi. Ma anche lui è figlio del suo mondo, quello della DDR morente: lo si vede all’inizio del romanzo, bambino, parlare di scatenare una guerra contro i Wessi – i tedeschi dell’Ovest, in tedesco West – al momento della caduta del Muro. Pur godendo dei beni di consumo occidentali, è un sostenitore del socialismo. Si intrattiene negli stessi luoghi frequentati dagli skinhead, suoi amici. È questa informità a determinare il suo carattere: perennemente nel mezzo, è attratto da una ragazza di origine georgiana e dal carattere fiero, con cui tuttavia non riuscirà ad avere rapporti sessuali, mentre invece ripudia l’ideologia neonazista, ma comunque continuerà a frequentare i suoi amici picchiatori, giovani uomini brutali e sempre disposti a proteggerlo dai pestaggi di naziskin rivali.

Mentre la grande Storia va seguendo delle direttrici inafferrabili, nel piccolo mondo di Markheide si vive l’adolescenza e si sopravvive ad essa senza mai avere la consapevolezza di avere tra le mani il timone della propria vita. L’apparente insignificanza, però, ha riflessi profondi nell’intimo dell’anima, lì dove cova una rabbia selvaggia e pronta ad esplodere nel momento meno atteso. Si capisce, dunque, che la violenza degli skinhead non è tanto una loro caratteristica esclusiva, quanto il sintomo di una malattia sociale che pervade ogni ambito e ogni spaccato dello spettro socio-politico. È la differenza generazionale ad essere evidente: se i figli sconvolgono con la violenza insensata con cui vengono attaccati senzatetto, stranieri e rivali, i padri si rintanano nei loro garage o nei loro salotti, rimpiangendo tempi passati in cui c’era ordine e disciplina e auspicando ai nuovi arrivati non graditi lo stesso trattamento riservato ai nemici storici, gli ebrei.

È un ritratto che fa accapponare la pelle, quello che traccia Daniel Schulz con il suo romanzo d’esordio. Ciò che rende spaventosa la lettura è il modo in cui la violenza viene presentata: apparentemente, infatti, Eravamo come fratelli è un semplice romanzo di formazione. Le situazioni vissute dal protagonista appartengono al passato di tutti noi, nel bene e nel male. È questo, dunque, a fare paura: come la banalità del male assoluto si insinui nella quotidianità e nelle menti di una generazione e renda normale l’ingiustificabile, infettando le giornate e i ricordi dell’adolescenza.

La violenza estrema prima o poi sconterà il suo tributo: il romanzo si apre con la descrizione di un’aggressione apparentemente insensata perpetrata proprio dal protagonista, ormai ventenne, in una Berlino notturna e cosmopolita. Com’è possibile che un ragazzo dall’aspetto così pacifico si sia ridotto a compiere un’azione così bestiale? La narrazione, dunque, non è altro che uno scavo nel tempo, dal momento precedente alla caduta del Muro fino al 2000 e quello che il lettore ha sotto i suoi occhi non è altro che una storia di formazione all’insegna dell’accumulo, del risentimento, dell’impotenza che vuole riscattarsi e che trova spazio proprio nel momento in cui scorre il sangue di chi non si conosce, ma che viene identificato come il nemico.

Dallo stile scorrevole e dalla lettura facile, il romanzo cala sul finale, offrendo una conclusione che può sembrare insoddisfacente. Se si cerca un romanzo di formazione alternativo ed ambientato in un contesto storico relativamente poco affrontato, Eravamo come fratelli può essere la scelta giusta. La decisione di utilizzare un lessico molto offensivo in alcuni passaggi può urtare la sensibilità del lettore, come giustamente notato nel disclaimer in apertura, ma, considerato l’argomento trattato, il pubblico non dovrebbe stupirsi dell’uso di questo linguaggio.

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://www.pordenonelegge.it/autori/daniel-schulz