“Il mondo e tutto ciò che contiene” di Aleksandar Hemon: un’epopea sarajevese ai confini del mondo 

 Marijana Puljić

L’ultima volta che Pinto si era sentito in pace era stata nel loro letto a Taškent, con la guancia premuta sul petto di Osman, e il cuore di lui che gli cantava una ninnananna. Da allora Pinto aveva dormito in molti posti, in molte maniere, ma mai in pace.” (p. 212)

 

Aleksandar Hemon, lo scrittore anglo-bosniaco-erzegovese, è tornato nelle librerie italiane con il romanzo Il mondo e tutto ciò che contiene (“The World and all that it holds”, Crocetti Editore, 2023) grazie alla maestrale traduzione di Maurizia Balmelli. Suddiviso in quattro parti e un epilogo finale, il romanzo ricopre alcuni degli accadimenti mondiali più importanti del Ventesimo secolo arrivando ai primi anni Duemila, accompagnando il lettore nel rocambolesco viaggio che spazia dalla Sarajevo del 1914 alla Gerusalemme del 2001.

Link al libro: https://www.crocettieditore.it/narrativa/il-mondo-e-tutto-cio-che-contiene/


Il protagonista del romanzo Rafael Pinto, un ebreo sefardita sarajevese che si è formato a Vienna e che all’inizio della narrazione lavora nella apotheke (it. farmacia) familiare, assiste all’uccisione dell’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando. In seguito a questa  scoppia la Prima guerra mondiale: trasformato in soldato, Rafael viene mobilitato e mandato a combattere sul fronte galiziano, dove tra morte e distruzione, mentre presta le cure mediche agli altri soldati, si innamora di un altro sarajevese, Osman, quando i due “si erano toccati come senza averne l’intenzione, occhi negli occhi, sorridendosi, cosa che a Pinto aveva fatalmente fatto rizzare i peli sul collo” (p. 40). Imprigionati, vengono trasportati insieme agli altri soldati a Tashkent, un luogo che nessuno di loro aveva mai sentito parlare di Taškent prima di approdare al campo di raccolta di Kiev dove i russi gestivano i prigionieri di guerra, spogliandoli di tutti i loro beni per poi tenerli in vita con scarso entusiasmo” (p. 80) e con l’avanzare della Rivoluzione d’ottobre cercano la fuga verso la città natia, iniziando il lungo viaggio per il deserto del Taklamakan fino a Shangai. 

 

Shangai negli anni Trenta.

Da un lato, il lettore si confronta con un romanzo storico avente la struttura di un poema epico atipico, in quanto gli eroi di questo romanzo non confermano i modelli di eroismo e mascolinità tipici di questa struttura narrativa, né tanto meno riescono a fare ritorno a casa. Le guerre, accompagnate dalle atrocità che vivono sulla propria pelle mettono in luce le estreme manifestazioni dell’animo umano — brutalità, nazionalismo, sciovinismo — ed è proprio per questo che Rafael si convince che l’Altissimo, colui che continua a creare i mondi per poi distruggerli, abbia deciso di distruggere anche il loro, proprio come aveva fatto con tutti gli altri. È solo l’amore incondizionato che Pinto prova, in primo luogo per Osman, anche nelle situazioni più estreme, a garantire la sopravvivenza all’insensatezza della guerra.

Al contempo, questo romanzo mette al centro della narrazione anche l’esilio e lo sradicamento, nonché le mescolanze culturali, temi cari a Hemon, che nella seconda parte del testo fa dialogare i suoi due protagonisti in questi termini: Qui non possiamo stare, disse Osman.  Perché no? Non siamo di qui. Non siamo di nessun luogo. Siamo bosniaci, di Sarajevo. Io voglio andare a casa. La mia casa sei tu. Io sono la tua. Sono casa tua? Casa è dove la gente si accorge quando non ci sei. Chi si accorgerà che non ci siamo(p. 102). Sempre parlando del concetto di “casa”, anche in questo romanzo Hemon omaggia la sua città natale, ovvero Sarajevo, che, sebbene si presti come luogo di ambientazione solo all’inizio e alla fine della narrazione, non smette mai di essere presente nei pensieri di Osman che non solo cerca una via di ritorno, ma che fa rivivere gli episodi legati alla storia della città nei racconti che narra agli altri soldati prima, e a Pinto dopo.

Un ulteriore tema di grande rilevanza, approfondito all’interno del romanzo,  riguarda l’amore genitoriale. Usciti dalla prigionia e riconciliati, mentre vivono nella capitale uzbeka dove Osman lavora per la Čeka, i due bosniaci diventano amici intimi della famiglia di Isaak Abramovič. Quando arriva il momento di fuggire, si scopre che la figlia di quest’ultimo, Klara, la figlia Klara è incinta, e seppure non si sappia chi sia il padre, Pinto ipotizza si tratti di Osman. Spinto dalla gelosia si trova a voler domandare alla ragazza di ch

È tra le vette kirghise che Klara, affidata a Pinto e a una donna del luogo, dopo giorni di sofferenze, dà alla luce una bimba che chiamerà Rachela e si spegne subito dopo il parto, lasciando la figlia senza una madre. Pinto non aveva mai visto un neonato così piccolo e morbido. Non sa cosa dirle, per cui canta, Nočes, nočes, buenas nočes, nočes son d’enamorar, ah, nočes son d’enamorar. Sa che il protocollo esige che la baci in fronte, quindi la bacia in fronte(p. 160): da subito Pinto inizia a occuparsene, nella speranza che anche il suo amante si ricongiunga nuovamente  a loro. L’estensione dell’amore che prova per Osman viene riflettuto sulla bimba e Pinto, anche nelle condizioni più estreme, farà di tutto per metterla in salvo, fino alla loro separazione che avverrà nel 1937 sul pontile che guardava salpare la nave l’Imperatrice d’Asia e che rappresenta il climax emotivo della narrazione. Il legame viscerale tra il padre e la figlia si accentua anche nel loro linguaggio, in quanto comunicano in una lingua tutta loro, incomprensibile agli altri. Rafael è cresciuto parlando lo španjol tra le mura domestiche, il bosniaco che è stato la lingua della vita quotidiana e degli affari, e infine il tedesco che era la lingua del suo secolo, e questo suo multilinguismo viene trasmesso anche alla bambina, che cresce esprimendosi in un misto di bosniaco, ladino e tedesco, impregnato però di influenze linguistiche accumulate negli anni di viaggio a contatto con culture e popoli diversi. Solo anni più tardi, quando Rachela riuscirà a giungere a Sarajevo, capirà che quella lingua da lei parlata, un misto di giudeismo, bosniaco, tedesco e una decina di altre lingue che le avevano contaminato il cervello tra Sarajevo e Shanghai” (p. 350), apparteneva solo a lei e a Padri Rafo.

In conclusione, è importante sottolineare che, come accompagnamento musicale al libro, è stato prodotto un omonimo album musicale nell’interpretazione di Damir Imamović, disponibile su tutte le piattaforme musicali. Questo album nasce come un omaggio alla tradizione musicale sefardita e delle sevdalinke, nonché come una trasposizione in note degli sentimenti che i due vivono e condividono.

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/39/Aleksandar_Hemon._1000616.jpg

Immagine 1: https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Shanghai#/media/File:Shanghai_Nanking_Road_1930s.jpeg

Immagine 2: https://folkways.si.edu/damir-imamovic/the-world-and-all-that-it-holds