Giulio Scremin
“La notizia che mio padre è gravemente malato mi lascia quasi indifferente. Un po’ mi irrita, come i lavori stradali, come scoprire che quel vecchio vicino di casa alla fine è morto davvero o che una coppia disfunzionale di amici adesso aspetta anche un bambino. Percepisco un divario sempre più grande, un abisso tra quello che dovrei provare e quello che provo. O, più precisamente, non provo. Mi fa solo una telefonata veloce, dice che non mi tratterrà a lungo.” (p. 7)
L’espressione “figlio di papà” ha in italiano un significato ben preciso: serve a descrivere quelle persone, spesso giovani uomini, protetti dall’agiatezza economica e dal prestigio delle ottime posizioni dei loro padri. Queste persone spesso vivono in tranquillità, senza particolari apprensioni o preoccupazioni sul loro futuro, in molti casi già predeterminato. Sono spesso ignare del proprio privilegio, oppure per convenienza fanno finta di non vederlo, soprattutto in situazioni sociali in cui sono presenti coetanei che non possono godere dello stesso. L’espressione croata tatin sin, traducibile letteralmente con l’italiano “figlio di papà”, descrive esattamente lo stesso fenomeno. È storia nota, tuttavia, che dietro il significato consolidato dell’espressione idiomatica, talvolta si nasconde figuratamente anche il suo contrario, in questo caso il figlio di un padre qualunque, dal futuro difficile e incerto, che deve combattere per trovare il proprio posto nel mondo.
Link al libro: https://www.bottegaerranteedizioni.it/figlio-di-papa-la-voce-originale-di-dino-pesut/
Figlio di papà (titolo originale “Tatin sin”, 2021), pubblicato da Bottega Errante Edizioni nel marzo 2024 nella traduzione di Sara Latorre, è la prima opera di Dino Pešut a essere disponibile per il pubblico italiano. Nato nel 1990 a Sisak, a circa 50km a sud di Zagabria, Pešut viene dal teatro, essendosi formato all’Accademia di Arte Drammatica di Zagabria: i suoi drammi, rappresentati sia in patria sia all’estero, gli sono valsi numerosi premi e riconoscimenti. Figlio di papà è un romanzo iconoclasta, che non scende a compromessi, costruito di capitoli brevi dalla prosa tagliente che trasuda teatro. Ogni capitolo è infatti un alternarsi di monologhi e dialoghi, immagini che non faticherebbero a trovare spazio su un palcoscenico. È un romanzo allo stesso tempo intimo e corale, in cui il dialogo interiore del protagonista-narratore si intreccia con le storie del mondo che lo circonda.
Il titolo, chiaramente antifrastico, suggerisce a ragione che una delle principali chiavi di lettura del romanzo sia quella delle relazioni familiari, delle relazioni tra i genitori – nello specifico i padri – e i figli. Relazioni che spesso sono motivo di conflitto. L’io narrante del romanzo non è per niente un “figlio di papà” in senso stretto, è piuttosto il suo contrario. In un riuscito esempio di autofiction l’autore e la sua generazione emergono in un personaggio narrante nel quale è difficile non immedesimarsi: un trentenne omosessuale, altamente istruito e pieno di talenti, la cui generazione nelle parole della recensione di Riccardo Cenci per la rivista online “Pulp Magazine” (7 maggio 2024) appare come una generazione che “potenzialmente ha molto, si accontenterebbe di poco ma alla fine resta con un pugno di mosche fra le mani”. La sua vita è caratterizzata da sradicamento, precarietà, instabilità, incertezza e fragilità, costellata da continui traslochi, cambi di lavoro, apertura e chiusura anche traumatica di relazioni sociali e di coppia. La madre, affetta da una profonda depressione, è deceduta da tempo. I rapporti con la figura paterna sono deteriorati, quasi inesistenti, al punto che la notizia della grave malattia del padre lo lascia indifferente. Padre e figlio non comunicano, le loro interazioni telefoniche sono quasi sempre monodirezionali, tra i due sembrano non esserci argomenti in comune o punti di contatto. Il padre vorrebbe provare a rientrare nella vita del figlio, arrivare a sapere qualcosa di lui prima di morire; il figlio fatica a esternare, o anche solo a provare, un sentimento vero e autentico nei confronti del padre. Il dialogo assente con il padre porta il protagonista a costruirsi una rete di kinship, una famiglia elettiva fatta di amicizie e figure paterne sostitutive. Una di queste è Goran, “storico ex trombamico” (p. 22) del protagonista, un uomo gay closeted di mezza età che assume la forma di vero e proprio doppio del padre biologico del protagonista. A differenza di quest’ultimo, Goran è un “interlocutore eccezionale” (p. 23), sprona il protagonista ad aprirsi e parlare di sé, a pubblicare la raccolta di poesie che tiene nascosta.
L’incomunicabilità con il padre biologico si riflette in un contesto più ampio di incomunicabilità e scontro tra generazioni. Nell’intervista doppia rilasciata a Giorgia Spadoni per Meridiano13 (5 aprile 2024), la traduttrice Sara Latorre, alla domanda se il fatto di appartenere alla stessa generazione dell’autore fosse stato d’aiuto nella traduzione, risponde che il romanzo “non sarebbe stato tradotto in maniera adeguata se a lavorarci fosse stata una persona appartenente a un’altra generazione”. La feroce critica di Igor Mandić, rappresentante della “vecchia” intelligencija croata, nella sua rubrica per il portale online del quotidiano “Jutarnij List” (16 gennaio 2021), che ha espresso per l’autore e la sua opera parole molto dure da cui traspare anche una non troppo celata omofobia, restituisce appieno l’incapacità delle generazioni precedenti di entrare in empatia con quelle successive. I problemi e le sfide che le generazioni più giovani si trovano ad affrontare nel loro quotidiano, immerse in una realtà spesso ostile e avversa, risultano difficili da comprendere a chi è cresciuto in epoche storiche diverse, per certi aspetti più semplici.
Non sono solo le generazioni a essere incapaci di comunicare. Il romanzo di Pešut tratteggia il profilo di una Croazia, per estensione di un’Europa e di un mondo occidentale, in cui persone dalle diverse esperienze, provenienti da famiglie e classi sociali diverse, vedono il mondo soltanto attraverso le lenti delle loro storie personali, incapaci di comprendere i punti di vista di chi ha avuto altri percorsi e altre possibilità. Questo diverso tipo di incomunicabilità, che sfocia in conflitto, si vede molto bene nelle interazioni tra l’io narrante e Vanja, uno dei ragazzi con cui intrattiene una relazione. Vanja e il protagonista provengono da realtà molto diverse. Vanja è un “figlio del privilegio” (p. 81), “abituato al fatto che dietro di lui ci sia una mano invisibile che cucina e prepara, pulisce e stira, praticamente gratis” (p. 69), pensa di vivere in un mondo “in cui tutti quelli che vogliono lavorare possono lavorare” (p. 81). Vanja non può capire il punto di vista di chi emigra, di chi subisce lo sfruttamento, della famiglia in cui è cresciuto il protagonista e nello specifico del padre, già Gastarbeiter, il cui volto sembra trasparire dai visi stanchi dei lavoratori stranieri. Anche il protagonista ha avuto un’esperienza da espatriato: un trasferimento a Berlino durato appena sei mesi, al termine del quale arriva a capire che “un posto in cui sarebbe stato povero e infelice valeva l’altro” (p. 15). Il ritorno a “casa”, parola che indica un luogo scomparso “dal lessico e dalla sintassi” (p. 95) dell’io narrante e della sua generazione, è un altro dei grandi temi del romanzo. Paradossalmente, sarà proprio il rientro nel luogo in cui è cresciuto, episodio difficile da processare per chi si allontana da situazioni di disagio, o anche solo per provare a crescere, a donare a lui e a chi si rivede in lui attraverso la lettura la speranza di mettere ordine nella propria vita e trovare un proprio posto nel mondo.
L’auspicio che si esprime arrivando al fondo della lettura è che questa opera possa arrivare a tutti quei padri e a quei figli che hanno necessità di ricostruire un dialogo, che possa portare le generazioni a cominciare ad aprirsi e mostrare i propri sentimenti e bisogni, entrando in empatia le une con le altre.
Sitografia:
Meridiano13: Intervista di Giorgia Spadoni a Dino Pešut e Sara Latorre, autore e traduttrice di “Figlio di papà”: https://www.meridiano13.it/figlio-di-papa-dino-pesut-sara-latorre/ . Ultima consultazione: 29/10/2024
Jutarnij: Piše Igor Mandić: Tatin poeta-peder i strašna epizoda s pužem: https://www.jutarnji.hr/kultura/knjizevnost/pise-igor-mandic-tatin-poeta-peder-i-strasna-epizoda-s-puzem-15043192 . Ultima consultazione: 29/10/2024
Voxfeminae.net: Marija Dejanović, Truli zub provokacije i šala koja nije smiješna: https://voxfeminae.net/kultura/truli-zub-provokacije-i-sala-koja-nije-smijesna/ . Ultima consultazione: 29/10/2024
Pulp Magazine: Riccardo Cenci, Dino Pešut / Generazione senza futuro: https://www.pulplibri.it/dino-pesut-generazione-senza-futuro/ . Ultima consultazione: 29/10/2024
Il posto delle parole: Sara Latorre, “Figlio di papà”, Dino Pešut: https://youtu.be/eoh98IAV8ew?si=h84N_qSBehQR96-C
Rainews.it: Walter Skerk, Figlio di papà: romanzo dello scrittore e drammaturgo croato Dino Pešut. Il racconto di una società in crisi: https://www.rainews.it/tgr/fvg/video/2024/03/figlio-di-papa-a7ad6ab7-3669-4561-8bc2-23fc5501474e.html
Apparato iconografico:
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