Intervista a cura di Niccolò Gualandris e Martina Mecco
Max Lawton è traduttore da un ampio spettro di lingue, tra cui il russo. Attualmente è impegnato in un progetto di traduzione che riguarda la pubblicazione delle opere di Vladimir Sorokin negli Stati Uniti. Ha tradotto undici libri di Sorokin di prossima pubblicazione: Lardo azzurro, Norma, I loro quattro cuori, Il cremlino di zucchero, Doctor Garin e i suoi eredi, Telluria, Roman, Il trentesimo amore di Marina, Nightingale Grove, Dispacci dal comitato del distretto e Piramide rossa. Tre di queste, Telluria, la breve raccolta di racconti Piramide rossa e il più recente Lardo azzurro, sono stati pubblicati da NYRB Classics. Accanto alla sua attività di traduttore porta avanti quella di scrittore e musicista. “Andergraund Rivista” lo ha intervistato per discutere il suo lavoro dedicato all’opus sorokiniano. Ringraziamo Max per aver accettato la nostra proposta e aver risposto alle nostre domande.
Niccolò Gualandris: Ciao Max e grazie per aver accettato l’intervista! Prima del 2022 le uniche traduzioni di Sorokin disponibili in inglese erano La coda, La trilogia del ghiaccio, La giornata di un Opričnik e La tormenta. Nei prossimi anni, grazie soprattutto al tuo sforzo traduttivo, si prevede una disponibilità quasi completa dell’opera di Sorokin in traduzione. Oltre alla fascinazione per l’autore e alla tua passione nel tradurlo, quali credi siano i motivi che giustificano l’accrescere della popolarità di Sorokin negli Stati Uniti? Gli americani sono finalmente pronti a leggerlo?
Max Lawton: È curioso che Vladimir fosse solito affermare che solo i Paesi che avevano esperito un passato totalitario potevano comprenderlo, non a caso è popolare in Germania, Russia e Giappone. E adesso, a novembre, sembra che in America dovremo vivere un’esperienza interessante col totalitarismo, diciamo che siamo giusti coi tempi. Tuttavia, non credo che Sorokin abbia ragione, perché ad essere interessante nella sua opera non è tanto il suo impegno politico. Ciò che mi interessa maggiormente è il suo uso immaginativo del linguaggio, il modo in cui è in grado di creare dei momenti visionari, è un autore unico nel suo genere. Penso che Vladimir si sminuisca paragonandosi a George Orwell, sebbene abbia senso. Dice di essere una sorta di scriba di diverse versioni concettuali di 1984, ma non credo gli renda giustizia. Credo che in lui vi sia una sorta di formula del tutto incoerente: l’elemento stravagante risiede nel fatto che, sebbene sia un dissidente, è al tempo stesso una sintesi tra Il marchese de Sade e Aleksandr Solženicyn. Per questo la sua opera è interessante, ma la gente non si sofferma su questo aspetto. Ad esempio, Lardo azzurro sta vendendo molto meglio di Telluria, ma ci sono molte meno recensioni perché è davvero trasgressivo. Credo che questo faccia in qualche modo innervosire i critici. In breve, credo che le persone siano sempre state pronte per Sorokin, sono gli editori ad essere troppo pigri per comprendere cosa gli possa piacere. E questo meccanismo lo si riscontra spesso. Spero che in quanto italiani abbiate letto I canti del caos di Moresco. Ritengo sia ai livelli di 2666 di Bolaño, è uno dei grandi capolavori del ventunesimo secolo. Tuttavia, quando lo si propone a degli editori questi rispondono “Beh, è alquanto strano…” La verità è che le persone sono impazienti all’idea di leggerlo, lo aspettano. Le persone sono sempre state pronte per Sorokin, venivano semplicemente dati loro i libri sbagliati, e i motivi sarebbero molteplici. Insomma, La coda è un gran libro, ha senso che sia uscito per primo, poi è stata la volta de La trilogia del ghiaccio. Tuttavia, a parer mio quello è un libro che ha senso dopo che si è letta l’intera opera di Sorokin. Quando lo si legge isolato non si riesce veramente a comprendere cosa stia combinando Sorokin. Lo stesso avviene con Peter Handke, uno scrittore che a me piace molto, non puoi leggere La ladra di frutta (2017) senza aver letto Prima del calcio di rigore (1970). Penso che siamo sempre stati pronti per Sorokin, ma gli editori dovrebbero essere più coraggiosi nel riflettere su ciò che ai lettori piacerebbe leggere. La questione è talmente assurda che nemmeno William T. Vollmann riesce a pubblicare il suo nuovo romanzo, lo sto aiutando a piazzarlo. Certo, è lungo tipo un milione di parole, ma l’idea che William T. Vollmann non riesca a piazzare il suo nuovo romanzo è assurda. Credo che gli editori siano troppo stressati dall’idea di dover dare ai lettori ciò che gli piacerebbe effettivamente leggere.
Martina Mecco: La mia domanda funge ancora da introduzione. Quando si traduce è fondamentale il rapporto con l’autore, se possibile. Come hai incontrato Sorokin e quanto è importante il vostro scambio? Specialmente se consideriamo che lavorare con le opere di Sorokin significa fare i conti con una sfera semantica che l’autore scolpisce su più livelli…
ML: Abbiamo una relazione molto profonda che è iniziata quando stavo per finire l’università. Ero impegnato a riflettere su cosa avrei fatto della mia vita e decisi che avrei tradotto Lardo azzurro. E dunque quell’estate, prima di andare a Oxford, stavo lavorando a un estratto che arrivava al testo clone di Tolstoj. Gli ho mandato una mail e lui mi ha risposto dicendo che voleva lavorare con me. Ero molto giovane e la bozza era tutt’altro che perfetta, però lui ci ha visto un’opportunità. Gli avevo detto che ero intenzionato a fare ciò che poi ho effettivamente fatto, ovvero tradurre tutto il romanzo, trovargli un editore e pubblicarlo affinché le persone potessero leggerlo in inglese. All’inizio era solo uno scambio saltuario di mail, successivamente abbiamo iniziato ad avvicinarci di più. L’ho incontrato per la prima volta in Russia, durante la mia prima sera a Mosca siamo andati a cena al Cafe Puškin. Abbiamo iniziato ad avvicinarci sempre di più, finché non siamo andati in tour assieme. Lo vado a trovare almeno una volta all’anno e sono diventato il suo agente. Ad esempio, potrei scrivergli ora un messaggio per chiedergli qualcosa riguardo al suo nuovo romanzo Nasledie(L’eredità), al quale sto lavorando, e lui mi risponderebbe in dieci minuti. È bello poter avere un rapporto del genere e non ho paura di fare degli errori con lui. Un tempo ero molto preoccupato di non riuscire a comprendere qualcosa che mi sarebbe dovuto essere chiaro, ero molto cauto nel porgli delle questioni. Ora invece lo faccio in modo diretto, il che è piuttosto utile. Ciò diviene molto utile con Romanzo o Norma, in cui sono presenti esempi di linguaggio colloquiale che si rifà ai vecchi usi della caccia. Dato che non lo si trova sui dizionari, mi manda una spiegazione su Whatsapp a io copio-incollo il suo messaggio in nota. Insomma, è un bene averlo a disposizione, ma è comunque un lavoraccio tradurre le sue opere. La questione più complessa nel tradurre Sorokin è che non sai mai cosa sia concepito per non avere un significato: a volte qualcosa è pensato per non avere un significato ma in realtà ce l’ha, mentre altre volte credo che qualcosa abbia un significato, ma in realtà non ce l’ha. Non è per niente facile, perché se stai traducendo, ad esempio, Elena Ferrante, allora sai che tutto è concepito in riferimento a una sfera linguistica oggettivata. In tutto ciò che traduco il linguaggio non figurativo è una possibilità. Quando il linguaggio non figurativo diviene una possibilità allora si modifica il modo in cui leggi il linguaggio figurativo, perché sei sempre atto a pensare che corrisponda a una sorta di vuoto.
NG: Sorokin è stato definito il “de Sade russo”, principalmente in riferimento a certe scene o tematiche dei suoi romanzi. È anche stato associato a Nabokov che, da quanto ho letto, è uno degli autori contemporanei che preferisce, specialmente Invito a una decapitazione. Sappiamo che Sorokin non pratica ciò che predica e che ha una morale molto forte, è un cristiano ortodosso e un uomo di famiglia. In numerose interviste ha sottolineato l’importanza di queste raffigurazioni degli estremi (che si tratti di violenza, sesso, depravazione morale o etica, totalitarismo o discorsi autoritari) per indurre un “riflesso di vomito” che possa purificare o addirittura istruire il lettore. È stato anche paragonato a Michel Houellebecq, ma credo che questo paragone non regga… forse solo in riferimento alla critica nei confronti della società liberale contemporanea e della rappresentazione letteraria della sessualità maschile. Quali paragoni ritiene giusti o funzionali quando si parla di Sorokin? La storia del “de Sade russo” regge o è un mero strumento di marketing?
ML: Penso regga, nel senso che de Sade faceva cose molto simili. Impiegava le rappresentazioni dei corpi abietti e della pornografia per parlare di politica. Nel caso di de Sade le persone non si rendono conto che in realtà questi libri sono in larga misura parabole e repliche dirette a Rousseau, una critica alla società liberale o a quelli che quest’ultimo concepiva come ideali della rivoluzione. La questione, con de Sade, è che lui praticava ciò che predicava, il che rende il suo caso ancora più complesso, ma penso che il paragone funzioni. Naturalmente quello con Houellebecq è terribile, come hai giustamente detto. I due paragoni che mi piacciono sono quelli con Nabokov e Handke, per due ragioni. Riguardo a Nabokov, credo che Sorokin abbia in un certo senso accolto l’eredità di Nabokov… Direi che è l’unico scrittore russo interessante al giorno d’oggi. A mio parere ci sono pochi autori russi validi nel ventesimo secolo. Il secolo per eccellenza è il diciannovesimo, poi nel ventesimo l’Unione Sovietica ha fatto tabula rasa. Nel senso, fino alla Rivoluzione ci sono autori interessanti come Sologub o Belyj , ma dopo questi no… Riguardo al paragone con Handke, il suo corpus di opere, come quello di Sorokin, è molto ricco. Proprio come in Sorokin, capisci come leggere un libro di Handke solo leggendo la sua intera opera. In Norma c’è un passaggio in cui si discute di Picasso e qualcuno con un certo entusiasmo afferma che per capire Picasso occorre possedere un museo con ogni sua singola tela. È così che mi sento nei confronti i Sorokin, di Handke o di Nabokov. L’elemento che è così interessante in Sorokin è il fatto vi è una totalità di scritti dove ciascuno di essi è fondamentale per comprenderla nella sua interezza.
NG: Secondo te è utile leggere gli scritti di Sorokin in ordine cronologico o c’è una sorta di successione che raccomanderesti?
ML: Ci sarebbe, ma le regole nel campo dell’editoria sono rigide. Le opere non stanno uscendo in ordine cronologico, quindi forse tra sei anni, quando tutto sarà pubblicato, quest’ordine assumerà un senso. Può darsi che ci sia un senso in un ordine cronologico inverso.
MM: Nella tua “extroduction” (“extroduzione”) di Lardo azzurro che definisci essere “disonesta”, sebbene a mio parere riveli considerazioni importanti, ci sono due passaggi che mi hanno colpita: quando parli del “ritmo semplice” di Sorokin e quando menzioni la “WTF-ness”. Ho letto articoli che nel caso di Sorokin parlano di “rovine della semantica” e addirittura di una nuova tipologia di “zaumnyj jazyk” (“lingua transmentale”). Come ti sei comportato con termini tipo chromofizer, obtoston o il cinesismo “ripsolaovay”? O, ad esempio, quando Sorokin impiega termini parzialmente in inglese e in russo come “DOGадаться”? Come si preserva quella che definirei una “frantumazione semantica”? Come hai plasmato il linguaggio per preservare il ritmo semplice e la WTF-ness, che costituiscono una coppia ossimorica?
ML: Il ritmo semplice emerge ne La trilogia del ghiaccio, I loro quattro cuori o nei racconti. Nel senso, tradurlo è davvero molto semplice perché si ha a che fare con il puro idioma russo. La mia teoria riguardante la lingua russa e che vi siano due versioni, la prima il “russo russo”, che è molto radicata e si manifesta nei romanzi sovietici; la seconda corrisponde invece alla a tradizione europea della lingua russa, che è quella di Turgenev o Tolstoj. Gogol è senza dubbio il capostipite del “russo russo”. Il “russo russo” è qualcosa di intenso, tipo “dič’”: è un gioco folle, imprevedibile, pieno di formule brevi, in cui la sintassi diviene sempre più monca, finendo per assomigliare in un certo senso al turco nel modo in cui è strutturata. Vladimir si rifà alla tradizione europea, caratterizzata da uno stile fluido. Il ritmo semplice è una sorta di stile europeo, un paraxenos del russo. Come dicevi prima, l’aspetto positivo di conoscere Vladimir è che comprendi come scrive, come funziona il gioco, ma non si tratta di un gioco di precisione, bensì di un fatto. Sta tutto nel capire a cosa mira e mirare alla stessa cosa. Ma non è come in Finnegan’s Wake di Joyce, dove dietro alla frantumazione c’è un intento ben definito. In Sorokin la frantumazione deve essere orientata in una certa direzione, dunque puntando nella stessa direzione otterrò più o meno il medesimo effetto. La resa non deve essere precisa come nel caso di altri autori. Sorokin agisce d’istinto, è come nel jazz. Non ha una visione accademica, è un vero e proprio autore anti-accademico, intuitivo. È tutta una questione di suono e intonazione. Spesso mi corregge o si oppone ogni volta che mi impegno nel creare neologismi perché tutto ciò che occorre è una sorta di “velocità d’impatto”.
MM: Sono perfettamente d’accordo con ciò che dici. Per esempio, esiste una differenza enorme tra un Sorokin e un Bykov, semplicemente nel modo in cui si rapportano alla scrittura. Tornando a quel “zaumnyj jazyk” che mi ha sconcertato in quanto si basa su un intento completamente diverso, pensi sia applicabile a Sorokin? Insomma, a mio parere è abbastanza fuorviante.
ML: Penso che sia difficile definire quale sia il suo intento. Nel senso, si tratta di qualcosa di diverso perché non è poesia. Sarebbe interessante riflettere sul “zaumnyj jazyk” in Norma, perché in un certo senso è ciò Sorokin realizza. Tuttavia, lo fa con delle motivazioni differenti perché ogni singolo elemento perde importanza, dipende tutto da un effetto di aggregazione. Non è detto che si debbano ricordare per forza le frasi incomprensibili. Forse potremmo descrivere la prima parte di Lardo azzurro in termini di “zaumnyj jazyk” prima che prendano il sopravvento di un linguaggio incomprensibile, perché non comprendiamo il significato di ciò che leggiamo ma sembra significare qualcosa. D’altra parte non saprei, non è come Finnegan’s Wake, quindi il concetto di “zaumnyj jazyk” è in un certo senso fuorviante, ma nessuno realizza ciò che Vladimir sta realizzando con il linguaggio…
MM: Insomma, alla fine è forse una questione di categorie…
ML: Esatto, nell’introduzione a La piramide rossa Will Self afferma qualcosa di interessante riguardo al fatto che il linguaggio incomprensibile emerge in corrispondenza dei climax narrativi. Lo cito direttamente, penso sia un’introduzione appropriata: “giunge un momento – può collocarsi all’inizio o attardarsi – in cui i vincoli della trama ortodossa paiono sopraffare il loro autore, tanto che l’idioma e il linguaggio comune convergono anche quando gli eventi sfuggono ineluttabili al controllo umano”. In tutti i racconti “questo momento specifico giunge inaspettato, quando il lettore si rende conto che l’immaginazione di Sorokin ha spiccato il volo. Si tratta di una sensazione vertiginosa in cui, proprio quando lo sforzo di sospendere l’incredulità diventa insostenibile, la tensione è improvvisamente alleggerita dall’elio della fantasia sfrenata dello scrittore”. Credo che questo “alleggerimento dell’elio” che rende il linguaggio comprensibile sia come quando John Coltrane fa un assolo di sassofono scombinato. Penso che abbia uno scopo molto toccante, cosa che non avviene in Lardo azzurro, dove si tratta piuttosto di vivere in una lingua che gli altri usano e che noi non capiamo.
NG: È una sorta di “scrittura dal futuro” quella di Lardo azzurro. Penso sia un rischio, una scommessa: chissà se in futuro qualcuno parlerà così…
ML: Sicuramente no, ma è un buon modo di immaginarsi come le persone potrebbero parlare in futuro.
NG: Beh, la contaminazione tra cinese e russo è plausibile…
ML: Questo è vero. La cosa curiosa è che il cinese di Lardo azzurro aveva un sacco di errori, ma non li ho corretti. Ho parlato con alcuni studiosi di cinese e ho pensato “massì, possiamo lasciarlo così com’è.”
MM: Penso tu possa lasciarlo così com’è perché ha il medesimo effetto su un lettore americano. Leggendo Sorokin si osserva una tendenza a usare anche molte sigle, è qualcosa che mi ricorda quanto accadeva negli anni della Rivoluzione, penso vi sia una sorta di connessione.
ML: Sorokin ama le avanguardie, ci pensa spesso e ha ammesso che sono state il suo punto di partenza. A volte non mi lascia tradurre alcune sigle, non sa neppure lui cosa significhino. Nel caso di Lardo azzurro una volta gli ho chiesto “Vladimir, cosa vuol dire?” e lui mi ha risposto tipo “Deve rimanere un mistero.”
NG: Del tipo “mi è apparso in sogno”.
ML: Esatto!
MM: Leggendo Sorokin in russo mi sono sempre chiesta quale altra lingua fosse adatta al suo stile. Si tratta di un russo diretto e d’effetto, dove la paratassi non è percepita come un elemento di disturbo. Sebbene le traduzioni italiane di Sorokin siano riuscite, ad esempio quelle di Denise Silvestri, la lingua italiana tende per sua natura all’ipotassi. L’inglese, d’altro canto, lo ritengo più adatto. Traducendo tu in inglese, come percepisco la relazione tra le due lingue nell’opera di Sorokin?
ML: Non sempre funziona. La forma idiomatica con cui gioca maggiormente è lo skaz, una narrazione orale rurale, di cui abbiamo un buon equivalente in inglese, ad esempio nella prosa di William Faulkner o Cormac McCarthy. La narrativa degli autori statunitensi del Sud è un buon modello nel tradurre Sorokin. Tuttavia, sorgono più problemi quando si lavora con una lingua di matrice sovietica, che in generale è molto difficile da rendere perché è un genere a parte, che si riconosce immediatamente. Il russo ha differenti livelli linguistici che sono marcati. Per esempio, puoi riconoscere il lessico burocratico, quello della prigione o quando esso proviene da un contesto borghese. C’è una maggiore stratificazione rispetto all’inglese, che invece ha subito un appiattimento lessicale nel corso del ventesimo secolo. Per questo motivo penso che sia facile tradurre in inglese. Mi immagino quanto sia complesso tradurre Sorokin in italiano, ma in inglese non lo è. Funziona molto bene. A volte emergono dei problemi e cerco di fare del mio meglio per trovare delle soluzioni equivalenti. Se non avessimo avuto Faulkner e tutti quegli autori dello “skaz americano” sarebbe molto più complesso. A volte alcuni non comprendono questa cosa e dicono: “ero parecchio confuso leggendo, questo capitolo sembra scritto da un contadino americano, perché un russo dovrebbe parlare un contadino americano?”, e io rispondo: “beh, è così che deve parlare, stiamo parlando in inglese.” Occorre operare una scelta e ritengo che molti traduttori abbiano la tendenza ad appiattire il lessico, una scelta sbagliata. Spesso durante delle conferenze sulla traduttologia mi è stato detto: “beh, dovresti semplicemente semplificare in funzione del significato.” Non è possibile approciarsi a un autore come Sorokin in questo modo. Traducendo in questo modo si perde tutto. Credo di capire il motivo di tale affermazione perché penso – e non sto dicendo di essere così dotato e incredibile – che appiattire le cose permetta alle persone di lavorare meno e di essere meno preoccupate dell’intera questione. Bisogna avere un buon orecchio per il linguaggio per poterlo fare. Non sto cercando di pavoneggiarmi, ma bisogna scrivere i libri nella lingua in cui li si traduce.
MM: Non voglio proporre delle considerazioni generali sull’opera di Sorokin, ma credo che possiamo individuare una questione fondamentale. L’universo sorokiniano non è mai un sistema isolato, ma in continuo movimento. Sebbene sia un romanzo per sua natura diverso dagli altri, anche ne La coda, dove i personaggi sono fermi, l’atmosfera ha una forza cinetica interna. Nel suo articolo Niccolò afferma che ne La giornata di un Opričnik c’è un legame tra parola e azione, in Lardo azzurro questo legame evolve in parola e violenza. Ti vengono in mente altre associazioni?
ML: Penso che la parola in Sorokin sia spesso associata all’Eros. Ad esempio, in momenti in cui domina l’erotismo emerge un’esclamazione non logocentrica. Per questo motivo ritengo che il linguaggio sia spesso associato all’Eros. Spesso la questione interessante riguardo La giornata di un Opričkin è che Vladimir ama quel linguaggio arcaico con cui gioca, è la caratteristica che lo rende un buon libro. Credo che se si trattasse di una semplice critica sarebbe risultata noiosa, ma Vladimir prova un enorme piacere nel scrivere nella lingua degli opričniki, gli piace in un certo senso impiegare quegli ustarevšie slova (“un lessico arcaico”). Vladimir a volte dice che ogni russo ha un Ivan il Terribile che abita nella sua gola e che premendo un interruttore lui inizierà a parlare. È proprio questa complessità a rendere Sorokin un grande autore. Non è un Solženicyn, mantiene sempre queste ambiguità che paiono inconciliabili. Nel senso, risulta un po’ incomprensibile il fatto che Sorokin sia, al tempo stesso, sia una sorta di dissidente politico coraggioso impegnato a comunicare [col pubblico] che [un autore] interessato nella libido del linguaggio, Leggendo Le fantasie degli uomini di Klaus Theweleit, il libro su quella sorta di “immaginazione nazista”, o L’anti-Edipo di Deleuze e Guattari ho compreso che Sorokin si concentra molto nell’articolare l’elemento libidinoso della violenza e la violenza politica, ma non solo da un punto di vista critico, perché vuole comprenderla. E per comprenderla occorre parteciparvi, in un certo senso. Ecco perché un libro come I quattro cuori è interessante, non solo in quanto critica dell’Unione Sovietica, ma perché si sforza di partecipare a quella economia libidinosa. Credo che ci siano molte funzioni e che lo stesso avvenga con le parole. Allora perché Vladimir gioca con questo “linguaggio senza senso o toccante”, o in qualunque modo lo si voglia definire? Credo che ci siano molte spiegazioni simultanee. Ed è questo che lo rende così interessante, non abbiamo un’unica spiegazione, ma spiegazioni diverse e simultanee.
NG: Recentemente ho preso in mano I discorsi di Vladimir Sorokin. Un compendio di Dirk Uffelmann. Egli cita tra i capolavori di Sorokin La coda, Il trentesimo amore di Marina, La giornata di un Opričnik e La tormenta. Non ho ancora letto Il trentesimo amore di Marina, ma sicuramente inserirei nella lista i libri da te appena tradotti, Lardo azzurro e i racconti contenuti in La piramide rossa. Penso ad esempio a Un mese a Dachau, Nastja, La zuppa di cavallo e La piazza bianca. Vorrei chiederti, sei d’accordo con la selezione di Uffelmann e quali sono i romanzi e i racconti che preferisci?
ML: Ritengo siano delle scelte prudenti. Mi piace Il trentesimo amore di Marina. Bykov ha una teoria secondo cui Vladimir non si è masturbato e non ha avuto rapporti sessuali mentre scriveva il libro. Gliel’ho chiesto e non era sicuro. Non penso sia vero ma è Bykov a dirlo, tra l’altro a lui il libro piace molto. Dice “il senso del libro è che si è in procinto di raggiungere l’orgasmo e si capisce che Vladimir vuole fare sesso con Marina, che tutti vogliono fare sesso con Marina.” Quando teneva queste lezioni in Columbia gli studenti reagivano dicendo “Che razza di modo sciovinistico di parlare di letteratura!” E Bykov rispondeva “Mi spiace, ma è così”. Nel senso, Il trentesimo amore di Marina è un gran libro, ha una certa energia e un storta di energia erotica abiurante, non sono d’accordo con Bykov ma… Lardo azzurro, è follia pura. La tormenta è un libro ben riuscito, ma prediligo Vladimir quando si spinge più lontano nella natura, come in Lardo azzurro. Poi c’è la trilogia del Dottor Garin, che comprende La tormenta, Il Dottor Garin e l’ultimo libro, L’eredità. Credo che Nasledie debba essere tradotto con “Inheritance” e non “Legacy”. In primo luogo, perché Legacy sembra un film sui vampiri dei primi anni Duemila. Voleva chiamarlo “Gli eredi”, quindi il focus è su di loro e sul processo dell’eredità. In inglese abbiamo deciso che apparirà in un singolo volume Il Dottor Garin e i suoi eredi. Quindi direi che i miei quattro romanzi preferiti di Sorokin sono Lardo azzurro, I loro quattro cuori, Tutti i racconti e Il Dottor Garin e i suoi eredi. Una selezione completamente diversa da quella di Uffelmann. Riguardo i racconti, amo Il piccolo Tim, Il sacchetto di tabacco, apparirà nella raccolta Dalkey, è una storia divertente, folle. Sto cercando di farla uscire in qualche giornale, perché credo sia davvero il suo miglior racconto. E, naturalmente, La zuppa di cavallo, che è il miglior testo per avvicinarsi all’opera di Sorokin. Oserei dire, leggi La zuppa di cavallo e poi continua da lì…
NG: Fino alla metà degli anni Duemila i romanzi di Sorokin hanno riguardato una geografia limitata, essendo ambientati in Unione Sovietica o nella Federazione Russa. Poi, Sorokin ha ampliato il suo raggio, come nel racconto Un mese a Dachau o Lardo azzurro, in cui vengono trattate le relazioni tra la Russia e la Germania all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Poi, Telluria ha rappresentato uno spartiacque in quanto raffigura un nuovo mondo medievale di micronazioni emerse da un grande scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, da cui emerge una sfiducia nei confronti di una società liberale, multientica e “aperta”. Con Manaraga Sorokin ha ampliato ancor di più questa geografia, raffigurando il fallimento della globalizzazione attraverso una prospettiva meta-letteraria. Mi sembra che tutto ciò tenda a una riflessione circa il fallimento della globalizzazione, specialmente in riferimento all’Unione Europea e che la critica nei confronti della letteratura globalizzata sia atta a difendere l’indipendenza di specifiche letterature nazionali o locali. Che idea ti sei fatto?
ML: Forse è vero, ma Vladimir non articolerebbe mai la questione in questi termini. Penso che ciò avvenga nel subconscio, non credo di avergli mai parlato del fallimento della globalizzazione, anzi, credo che in certo senso la globalizzazione gli piaccia. Gli piace viaggiare, gli piacciono i frutti della globalizzazione. Ma sono sicuro che a livello inconscio ne vede i diversi fallimenti e li rappresenti. La questione che lui vede correttamente è lo sgretolamento delle metanarrazioni, che ritengo sia una questione molto noiosa. Quindi, il modo in cui tutti questi discorsi sono combinati, come la scena della preghiera incomprensibile che costituisce il terzo capitolo Telluria, è qualcosa che si poteva vedere anche in Unione Sovietica. Credo che sia sempre alla ricerca di punti di tensione in cui queste narrazioni si rompono. Ma non credo che sia “houellebecqiano”, nel senso che non credo che creda davvero nel fallimento del mondo globalizzato.
MM: Possiamo discutere a lungo su che cosa sia il postmodernismo russo, quando sia iniziato o se si possa davvero parlare di postmodernismo russo. Tuttavia, gli studiosi spesso tendono a individuare Sorokin tra i rappresentanti di questa stagione letteraria. In effetti, ci sono degli aspetti che lo potrebbero dimostrare, come l’intertestualità, anche se io preferisco parlare di “iper-intertestualità” nel caso di Sorokin. L’uso che fa dei classici crea un sottotesto ricchissimo. Sembra che a volte Sorokin desideri parodiare la tradizione letteraria e il concetto stesso di “classico”. Al tempo stesso, però, paradossalmente, Sorokin sta diventando un “classico” della letteratura russa…
ML: Sì, questo è il primo paradosso. Il secondo riguarda il fatto che ama i classici. Legge e rilegge Turgenev di continuo. Penso si tratti di una distruzione del sé. Ad esempio, in Romanzo o nella parte di Norma in cui vi è un idillio rurale: sono idee sue, personali, l’idea di vivere in un luogo semi-rurale in Russia, mangiare marmellata da piccoli piattini di cristallo, storione affumicato su pane di segale con vodka mentre si fanno lunghi brindisi e si discute di Dio. Si tratta di ciò che ama e che al tempo stesso decostruisce brutalmente. C’è un modo in cui lui pratica l’autocritica in modo brutale dal punto di vista estetico… Non so esattamente perché, e non credo che lui lo sappia. Ma ritengo che stia diventando un classico e che ami i classici, ma che al tempo stesso li uccida. Non so, è divertente.
MM: Si tratta di un paradosso in cui i due elementi non stanno insieme. Oltretutto, tra i lettori italiani Sorokin è considerato un classico della letteratura contemporanea russa ed è anche uno dei più tradotti.
ML: Penso lo sia diventato, si è guadagnato il suo posto nel canone.
NG: L’ultimo romanzo di Sorokin, L’eredità, non ancora tradotto, è uscito nel 2023 in Russia. Successivamente, è stato accusato di “propaganda LGBT” e rimosso dal mercato, diventando uno dei romanzi più costosi da procurarsi fino ad oggi. Si tratta di una semplice bravata come quando nel 2002 le copie di Lardo azzurro furono distrutte da una folla nazionalista sulla piazza del Teatro Bolšoj o è l’inizio di un divieto di pubblicazione? Quale potrebbe essere il futuro editoriale di Sorokin in Russia considerando quanto accaduto e il fatto che la censura russa si sta irrigidendo sempre di più?
ML: Non lo so. Nel senso, è impossibile prevedere il futuro. Ma penso si tratti di una cosa diversa da quello che è successo nel 2002 con Lardo azzurro, sebbene abbia coinvolto tutti i libri di Sorokin e non solo Lardo azzurro. Era stata un’organizzazione, non il governo. Ora, invece, si tratta di un divieto ufficiale. Non mi sorprende perché Eredità è un ritratto molto negativo della Russia. La questione LGBT è solo una scusa. Nella seconda parte del libro c’è una scena in cui un gruppo di partizany abusa sessualmente di altri uomini fino alla morte e diciamo che non è proprio propaganda LGBT. Credo che il problema sia nella prima parte del libro. C’è una sorta di Transiberiana che viaggia sopra a delle parti del corpo, come in Lardo azzurro: è palese che si tratti di una metafora della guerra in Ucraina. Quindi credo che Vladimir, pubblicandolo, abbia messo il dito nella piaga. Quindi, non è sorprendente che sia stato vietato, ma non so cosa accadrà in futuro. Nel senso, la Russia ama avere i suoi dissidenti “di prestigio”. Ai russi piace avere i loro Tarkovskij, Zvhangicev e i loro Sorokin, che hanno uno status tale da essere intoccabili. Ma, ovviamente, tutto è cambiato così tanto che è difficile fare delle considerazioni. Sorokin ha spesso criticato la Russia nella stampa, non solo nei libri. Non sappiamo cosa succederà, è molto imprevedibile. Non credo però che sia qualcosa di sorprendente, e non sarebbe sorprendente se venisse censurato in modo più ampio. Ma non sarebbe nemmeno sorprendente se gli fosse permesso di continuare a pubblicare. Penso che i due scenari siano entrambi possibili.
NG: Traduci da molte lingue, russo, francese, tedesco, italiano. Ne sto dimenticando qualcuna? Che relaziona hai con ciascuna di queste lingue e come ci sei entrato in contatto? Puoi dirci qualcosa sui tuoi progetti futuri in ambito traduttivo e personale?
ML: Francese e russo sono intoccabili per me. Sono nato a Bruxelles, parlo francese sin da bambino, fa parte di me. Per quanto concerne il russo, ho lavorato talmente tanto per diventare bravo. Lo spagnolo per me è molto semplice, vivo a Los Angeles e quasi tutti parlano spagnolo qui. Mia moglie è turca e spesso vado in Turchia o parlo turco con lei. Parlo turco molto bene ma leggerlo mi viene difficile, è diverso. Parlo molto bene tedesco e lo leggo facilmente. L’italiano è la lingua che ho meno occasione di praticare. Ma è molto facile per me leggere in italiano. Per quanto riguardo la traduzione, sono emozionato all’idea di continuare con Sorokin, andrò avanti finché non finirò di tradurre tutto. Come dicevo, penso che tutto debba essere pubblicato, anche le pièce teatrali. Credo non ci sia alcun limite a ciò che dovresti leggere se leggi di tutto. Per quanto riguarda altri autori, sono entusiasta per Schattenfroh di Michael Lentz. È un romanzo tedesco di mille pagine dove si narra la storia di un figlio costretto dal padre a scrivere un libro sullo scrivere un libro che è quello che stai leggendo. Il tutto appare come un viaggio metafisico attraverso quadri, la storia tedesca e una storia famigliare. È un romanzo incredibile, che uscirà il prossimo autunno per i tipi di Deep Vellum. Sto lavorando anche a un romanzo di Céline, Guignol’s Band, che non è mai stato pubblicato in inglese in un unico volume. È stato pubblicato da due case editrici, in due volumi tradotti da due traduttori diversi. Quindi uscirà all’interno di un unico volumo in una, spero, buona traduzione per NYRB: non vedo l’ora. Poi, mi sto occupando di alcuni italiani. Sto traducendo I giochi dell’eternità di Moresco, una trilogia che ogni italiano dovrebbe leggere, troppi pochi italiano leggono moresco. Alcuni credono non sia un bravo scrittore, ma Moresco non è solo l’autore de La lucina, che non è un buon libro, a mio parere è molto semplice. Uno dovrebbe leggere Gli esordi per poi passare a I canti del caos: sono incredibili. Sto lavorando anche a Horcynus Orca di Stefano d’Arrigo con Francesco Pacifico, che è un progetto a lungo termine. In questo caso sono più spaventato che entusiasta, ritengo che il siciliano sia incredibilmente difficile. Ma troverò una soluzione, ne sono sicura. Poi ci sono i miei romanzi e i miei racconti. Io e il mio agente, James Willis, cercheremo di trovare un editore questo autunno, vedremo. Ma lui è l’agente di Alan Moore e Ian Sinclair, quindi sono molto emozionato per quello che possiamo fare. Ma ecco, sono molto entusiasta, e non ho neppure nominato tutti i miei progetti, sicuramente sto dimenticando qualcosa… Insomma, nei prossimi dieci anni sarò piuttosto impegnato.
Apparato iconografico:
Immagine di copertina: Max Lawton a Santa Maddalena, residenza gestita da Beatrice Monti della Corte in Toscana. ©Max Lawton
Immagine 1: Copertina di Blue Lard.
Immagine 2: ©Max Lawton