“La Russia che si ribella”: resistenza privata, dissenso e repressione nella Russia contemporanea

Riccardo Mini

 

Uscito per la casa editrice Altreconomia nel marzo 2024, a poco più di due anni dall’inizio dell’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, un mese dopo la morte di Aleksej Naval’nyj nella colonia penale di Сharp, il 16 febbraio 2024, e in concomitanza con le elezioni presidenziali russe, che hanno visto il trionfo, non inaspettato, di Vladimir Putin, al suo quinto mandato, La Russia che si ribella. Repressione e opposizione nel paese di Putin, scritto da Maria Chiara Franceschelli e Federico Varese, appare come un libro importante, agile e attualissimo.

Link al libro: https://altreconomia.it/prodotto/la-russia-che-si-ribella/

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Lontano dall’essere un instant book, il libro è il risultato di un lavoro di ricerca sul campo, durato due anni, dal marzo 2022 al febbraio 2024, consistito nel seguire le vicende di cinque “voci” dell’opposizione russa, e sostenuto dalle solidissime competenze dei due autori e dalla loro lunga esperienza dell’argomento trattato. Franceschelli si occupa di società civile e partecipazione politica nella Russia contemporanea nell’ambito di un dottorato in Scienza politica e sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Varese è professore di Sociologia a Parigi e Oxford, con una specializzazione sulla criminalità organizzata in Russia. La Russia che si ribella si configura come una ricostruzione storica dell’opposizione a Putin dal 2000 a oggi, che prova inoltre a rispondere, problematizzandola, a una domanda frequente che riceve fin troppo spesso risposta parziale, superficiale o sommaria, vale a dire: “Perché i russi non si ribellano?”.

Il libro è diviso in due parti. La prima parte, che costituisce il corpo principale del volume, è dedicata all’indagine dell’esperienza dei cinque protagonisti, Ljudmila Vasil’eva, Ioann Burdin, Grigorij Judin, Ivan Astashin e Ekaterina Martynova. Si procede per metodo induttivo. I cinque sono uniti dall’opposizione al regime e alla guerra di Putin, differiscono il contesto da cui provengono e le pratiche di resistenza, e ognuna di queste, assieme ai trascorsi e al background dei singoli, fa luce su un aspetto specifico della società e della politica russe che permette ogni volta di allargare il discorso da esperienza particolare a generale e di approfondire dunque una problematicità che, seppur riferita al singolo, coinvolge interi gruppi di persone. Partire dalla vita delle persone permette inoltre di mettere in luce la dimensione umana della resistenza, e contribuisce ad andare oltre lo slogan e la semplificazione. La seconda parte è costituita da due appendici, Cronologia dell’opposizione e della repressione, 2000-2024 e Glossario della resistenza, che rappresentano un importante contributo per la periodizzazione delle pratiche di opposizione, sempre segnate dalla repressione, che hanno interessato la Russia dall’ascesa al potere di Putin – il primo giuramento come presidente risale al 7 maggio 2000 – a oggi, e che danno agli eventi ultra-contemporanei di cui si tratta nel libro una importante contestualizzazione storica.

Si prendano ora in considerazione, più nel dettaglio, le vicende narrate. Gli autori hanno contattato o incontrato i protagonisti tre volte, tra il marzo e l’aprile 2022, alla fine dello stesso anno o, in un caso, nel luglio 2023, e poi nel gennaio 2024, e hanno quindi registrato le loro impressioni a caldo, appena dopo lo scoppio del conflitto e i primi arresti, e a posteriori, dopo due anni di conflitto. Il primo capitolo, Ljudmila, o del culto della Seconda guerra mondiale, è dedicato a Ljudmila Vasil’eva. 80 anni nel 2022. Ljudmila è una blokadnica, una sopravvissuta all’assedio di Leningrado da parte dei nazisti (dal termine russo blokada, “assedio”, per l’appunto). Durante il primo mese di conflitto Ljudmila è scesa in piazza ed è stata arrestata tre volte. Dal suo racconto traspaiono strenua volontà e senso di responsabilità, e il differente trattamento riservato dalle forze di sicurezza a lei e ai giovani che come lei erano scesi in piazza. Ljudmila è inoltre simbolo e contraddizione incarnata di uno dei capisaldi dell’ideologia putiniana, vale a dire la vittoria della Russia (al tempo URSS) contro i nazisti nella Seconda guerra mondiale. Il culto della Grande guerra patriottica, che gode di gran seguito, anche per il tributo di morti e l’impatto su un numero elevatissimo di famiglie sovietiche, è utilizzato dal regime come legittimazione di un’ideologia etnonazionalista: chi resiste alla Russia deve naturalmente esser nazista. Ljudmila non ci sta, e per questo si espone e scende in piazza a protestare.

Ioann Burdin è il protagonista di Ioann, o del ruolo della Chiesa ortodossa. Burdin è il pope di Karabanovo, un villaggio a 400 chilometri da Mosca, ed è stato il primo esponente della chiesa ortodossa a esser stato condannato per un sermone. Si trattava di un sermone contro la guerra: discredito delle forze armate. In chiesa c’erano dodici persone, una di queste lo ha denunciato. Dal punto di vista di Ioann, la dottrina cristiana è per sua natura contraria alla guerra. Dalla sua esperienza traspare il ruolo della Chiesa ortodossa nell’apparato di regime, con il quale vi è un apparentamento di interessi e ideologico, e quindi nel sostegno alla guerra in Ucraina. Nell’accusa di “pacifismo eretico” rivolta contro Ioann si esprime tutta l’insensatezza e l’ipocrisia di una chiesa che ha rinnegato il principio del “non uccidere”.

In Grigorij, o dei sondaggi di opinione si tratta di Grigorij Judin, professore di filosofia politica. Anch’egli, con la moglie, arrestato per aver preso parte a una manifestazione nei giorni successivi all’inizio del conflitto. Grigorij ha sguardi e posizioni che possono portare a interrogarlo, e interrogarsi, sulla direzione che sta prendendo la società russa, sulla possibilità di reazione ed evoluzione, e quindi sui sondaggi e il ruolo dei sondaggi, anche per il regime. Considerazioni importanti che emergono in questo capitolo sono quelle relative al rapporto del regime con i giovani e con il loro indottrinamento e alla nuova politicizzazione della vita quotidiana. Quest’ultima riflessione porta inoltre a discutere il ruolo della comunicazione nello spazio pubblico e in quello privato – nel momento in cui qualsiasi spazio è politicizzato qualsiasi comunicazione può rappresentare un atto politico – e quindi della possibilità, o non-possibilità, di una resistenza privata e collettiva.

Il discorso sulla resistenza, e sul modo in cui il regime la rompe o la reprime, è presente anche nelle parole di Ivan Astashin in Ivan, o della fine del diritto. Si ragiona qui sulla difficoltà di contrastare un sistema che si sente in potere di violare le proprie stesse leggi. Ivan, che ha conosciuto il carcere e che dell’attivismo e dell’aiuto ai detenuti ha fatto il proprio lavoro, analizza lucidamente il meccanismo della punizione e della repressione, e il modo in cui le forze di sicurezza, ricorrendo a diversi livelli di violenza, riescano a reprimere o evitare proteste e rivolte. Dal discorso di Ivan emerge inoltre il tema della mobilitazione forzata, che ha costretto molti russi, soprattutto tra i giovani, ad abbandonare il proprio Paese, scegliendo la via dell’emigrazione con poche prospettive di ritorno.

L’ultimo capitolo è dedicato a Katja Martynova, Katja, o delle università di regime, e alla fondamentale esperienza di DOXA, nata rivista universitaria e diventata in seguito strumento di espressione, protesta e rivendicazione su tutto il territorio russo. DOXA si è schierata fin da subito con gli studenti e contro la guerra, le parole di Katja esprimono la rilevanza e la potenza del fare informazione, e l’impossibilità di rimanere neutrali di fronte a un’atmosfera come quella russa. Il giornalismo diventa quindi sfida al regime, l’informazione vera è sfida alla propaganda di regime e per questo motivo appare al contempo fondamentale e pericolosa, attività scomoda e banditesca. Questo carattere dell’attività giornalistica la lega a doppio filo con la repressione, e quindi, talvolta, con la necessità di emigrare per essere al sicuro. Da qui il discorso riguardo la necessità e gli sforzi per non perdere il legame con il territorio russo nel momento in cui si è fuori dalla Russia. Riguardo al futuro, Katja parla del mondo come di una foresta che brucia, con poche persone che provano a domare le fiamme di questo enorme incendio.

Da queste parole prende il là la conclusione, che trova il filo rosso tra le cinque vicende nelle tante forme diverse che può assumere l’opposizione a un regime. Si riprende e sottolinea la gravità della situazione attuale e l’importanza, in una tale atmosfera di repressione pubblica, della resistenza privata e quotidiana.

La cronologia dell’opposizione e della repressione e il glossario della resistenza, oltre a fornire, come detto in precedenza, una precisa periodizzazione e una importante contestualizzazione storica agli eventi di cui si tratta, permette di far riferimento ad altri elementi tristemente fondamentali nel panorama russo attuale, quali ad esempio la legge relativa agli agenti stranieri e quella contro la propaganda queer e LGBT.

In conclusione, La Russia che si ribella è un libro che, partendo dall’esperienza degli intervistati, restituisce la complessità e le diverse sfaccettature dell’opposizione e della resistenza quotidiana, e quindi della repressione, in un regime che si è fatto negli ultimi anni sempre più soffocante. In poco più di cento pagine i due autori, Franceschelli e Varese, riescono a far risaltare la voce dei protagonisti, contestualizzare e problematizzare, restituendo un importante volume di approfondimento che permette uno sguardo privilegiato sullo spazio sociale russo e sull’erosione dello stesso, sui metodi di resistenza alternativi e dal basso, su dissenso, opposizione e repressione.

 

Apparato iconografico:
La copertina è ad opera di ©David Frenkel