Essere umano o non essere umano? “Lo scarabeo nel formicaio” di Arkadij e Boris Strugackij. 

Sara Deon

Le bestie insorte
erano alle porte,
a loro spararono
e quelle spirarono.
(Versi di un bambino piccolo)

(p. 7)

 

In continuità con la sua riedizione delle opere di Arkadij e Boris Strugackij, lo scorso marzo Carbonio Editore ha aggiunto al suo catalogo Žuk v muravejnike (“Lo scarabeo nel formicaio”) nella traduzione e con la postfazione di Claudia Scandura, pubblicato per la prima volta in Unione Sovietica nel 1979. Il romanzo fa parte della Trilogija Kammerera, ambientata nel Mondo di Mezzogiorno, insieme a Vol’ny gasjat veter (“Le onde spengono il vento”, 1985) e Obitaemyj ostrov (“L’isola abitata”, 1969), quest’ultimo già parte del catalogo dell’editore milanese.

Link al libro: https://carbonioeditore.it/le-collane/cielo-stellato/lo-scarabeo-nel-formicaio-arkadij-e-boris-strugackij/

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Lo scarabeo nel formicaio si presenta al lettore come un’alternanza di punti di vista e materiali di archivio: da un lato c’è la voce narrante in tempo reale di Maksim Kammerer, collaboratore del Comcon-2, commissione che vigila sullo sviluppo scientifico e la sicurezza terrestre, dall’altro i rapporti ufficiali di Lev Albakin, ex collaboratore che dopo essere ritornato sulla Terra in seguito a una missione spaziale di decenni sembra essere scomparso nel nulla. Albakin era un Progressor (un “Progressore”), una figura fondamentale per la Commissione di Controllo, dedita a facilitare l’evoluzione delle razze non umane e garantire la sicurezza e convivenza degli umani nei rapporti con gli alieni. Ricostruendo a ritroso le vicende grazie ai rapporti ufficiali dell’ex Progressore, Kammerer cercherà di sbrogliare il mistero dietro la scomparsa di Albakin, mettendosi in contatto con lo sparuto numero di persone che gli sono state vicine nel corso della sua vita.

Dal punto di vista del genere, gli Strugackij effettuano un’operazione simile a un loro precedente romanzo, U pogibšego Al’pinista (“L’albergo dell’alpinista morto”, 1970), ossia lo stravolgimento di una detective story – ispirandosi alla modalità messa in atto da Friedrich Friedrich Dürrenmatt ne La promessa , ma in chiave fantascientifica. Quella tra il narratore Kammerer e il ricercato Albakin sembra, a prima vista, una tradizionale storia di indagine, inseguimento e cattura: tuttavia, se una delle caratteristiche imprescindibili del genere giallo è quella di disambiguare qualsiasi elemento inspiegabile, questa regola viene invece massicciamente stravolta dagli Strugackij, che lasciano innumerevoli punti cruciali insoluti. Come scrive Boris Strugackij nella postfazione al romanzo, l’intenzione dei due scrittori non era di scrivere un giallo, bensì una storia tragica sul fatto che, persino nel migliore dei mondi possibile, la presenza della polizia segreta porti inevitabilmente sofferenza agli innocenti, a prescindere dagli scopi, nobili o corrotti, dei suoi collaboratori. 

La natura filosofica che attraversa l’intero opus strugackiano, in primis il loro capolavoro Piknk na obočine (“Picnic sul ciglio della strada”), è presente nel romanzo in maniera poliedrica. Infatti, sono disparate le riflessioni che i fratelli Strugackij affrontano nel corso dell’opera: la fiducia o sfiducia nella scienza, il dominio della tecnica, l’essere umano o non-umano, il ruolo dei servizi segreti nella società, la minaccia esterna e la tutela della comunità a discapito della sacralità del singolo. 

Se nelle opere degli anni Sessanta gli autori prediligevano mondi catastrofici segnati da società totalitaristiche, come in Trudno byt’ bogom (“È difficile essere un dio”, 1964), negli anni Settanta gli scenari da loro prediletti prendono la forma  che questi si auguravano per il futuro: un universo privo di guerre, conflitti, povertà, violenza e disillusione, ma in cui permangono comunque le complessità dei rapporti umani e non-umani e, soprattutto, il progresso tecnologico e i suoi rischi, come già nel 1960 rappresentato efficacemente dal polacco Stanisław Lem in Powrót z gwiazd (“Ritorno dall’universo”). 

In questo senso, Lo scarabeo nel formicaio si inserisce in un orizzonte immaginifico dove la Terra è dominata dalla pace e dall’uguaglianza, grazie allo sforzo del Comcon-2 di estendere tale armonia anche alle società aliene. Tuttavia, il mistero intorno alla scomparsa del Progressore Lev Albakin e la segretezza della missione per cui è stato incaricato Maksim Kammerer suggeriscono una crepa nell’utopia, che viene svelata al lettore gradualmente e secondo le modalità in cui i materiali d’archivio di Albakin, insieme alle fonti ricavate dall’incontro con suoi vecchi conoscenti, pervengono a Kammerer. 

Infatti, si scoprirà come Albakin sia stato trovato in una ovocellula abbandonata dagli Stranniki (i “Viandanti”), degli esseri superiori nomadi nello spazio, che avrebbero una tecnologia altamente sviluppata e costituirebbero, dunque, una preoccupante minaccia per l’equilibrio della nuova civiltà terrestre. Albakin, dunque, potrebbe essere un androide depositato dai Viandanti affinché venisse trovato dagli umani e cresciuto nella Terra inconsapevole della sua reale natura, per questa ragione la Commissione di Controllo lo monitora e tiene lontano da anni dai terrestri nel timore che possa rivelarsi un’arma segreta nelle mani di una civiltà non-umana altamente sviluppata e potenzialmente nemica. 

Questi diversi elementi avvicinano il romanzo degli Strugackij ad alcuni capolavori della fantascienza: dalle ovocellule che sembrano anticipare l’Alien (1979) di Ridley Scott al dibattito sull’umanità degli androidi in Do Androids Dream of Electric Sheep? (“Il cacciatore di Androidi”, 1968) di Philip K. Dick, poi trasposto nella celebre pellicola di Ridley Scott del 1982, Blade Runner, fino alla più contemporanea trilogia Il problema dei tre corpi di Liu Cixin, nel terrore cosmico generato dal non sapere esattamente che sembianze abbiano i Viandanti, come riconoscerli e, soprattutto, quali siano le loro reali intenzioni. Infatti, quando Albakin scoprirà il segreto dietro alla sua nascita, inizierà a interrogarsi sulla reale natura dei suoi ricordi, nel tentativo di ricostruire la sua storia personale attraverso le proprie memorie ricercando una conferma della sua umanità, in un percorso analogo a quello del personaggio di Rachel in Blade Runner. 

Io sono un terrestre! Quando ho saputo che mi era proibito vivere sulla Terra, per poco non sono diventato matto! Solo agli androidi è proibito vivere sulla Terra! Sono andato in giro come un folle; ho cercato le prove che non un androide, che avevo un’infanzia, che avevo lavorato con i Testoni… Lei aveva paura di farmi uscire di senno? Be’, allora ci è quasi riuscito!” (pp. 218-219)

Come in Picnic sul ciglio della strada, ritorna anche qui la metafora animale per spiegare una situazione di incontro tra umani e non-umani, svelando le preoccupazioni della Commissione rispetto alla presenza di Albakin sulla Terra.

“Persone intelligenti, per pura curiosità scientifica, hanno introdotto uno scarabeo nel formicaio e con grande diligenza registrano tutte le sfumature della psicologia delle formiche, tutti i particolari della loro organizzazione sociale… E le formiche sono spaventate a morte, le formiche corrono di qua e di là, sono preoccupate, sono pronte a dare la vita per il formicaio natio, e non si rendono conto, poveracce, che lo scarabeo alla fine striscerà fuori dal formicaio e riprenderà la sua strada, senza aver fatto il minimo danno…” (pp. 215-216)

Tra i romanzi strugackiani, Lo scarabeo nel formicaio risulta una delle loro opere più complesse e stratificate, intrinsecamente legata agli avvenimenti contemporanei agli autori: nel sacrificio di Lev Albakin per scongiurare un potenziale rischio a favore della sicurezza della comunità, non si può non leggervi la forte ripresa della dissidenza, in particolare dopo la pubblicazione di Arcipelago Gulag a Parigi e la conseguente espulsione di Aleksandr Solženicyn dall’URSS nel 1974, come evidenziato da Scandura in chiusura al volume. Dall’altro lato, invece, emerge la critica dei due fratelli scrittori al progresso scientifico perseguito a ogni costo, il timore cioè che la scienza nel suo sviluppo rechi un danno irreversibile all’umanità, facendo implicito riferimento all’auspicio di Andrej Sacharov per la nascita di un Governo Mondiale capace di risolvere i problemi più urgenti della Terra. 

Nonostante la stratificazione complessa dei molti temi trattati, Lo scarabeo nel formicaio si presenta in primis, e forse nella sua forma più drammatica rispetto a quanto racconta della società presente e futura, come la tragica storia di un uomo la cui vita è stata stravolta dall’ingerenza dei servizi segreti: da una parte Lev Albakin ha diritto a vivere una vita umana e ordinaria, dall’altro a rischio c’è il bene della civiltà umana. Dopo avere sollevato tutti questi interrogativi etici, incarnati nella figura di Lev Albakin e seguendo il punto di vista situato di Maksim Kammerer, la presenza morale dei fratelli Strugackij si fa evasiva, lasciando al lettore il compito di interpretare i punti insoluti, di stabilire se Lev Albakin meritasse o no il suo tragico destino, se il bene di tutti vale veramente il sacrificio del singolo. 

 

Apparato iconografico: 

Immagine copertina: https://librinuovi.net/8522/la-citta-condannata-di-arkadij-e-boris-strugackij