Marijana Puljić
“Da sempre Sarajevo conosceva tempi così, quando uomini comuni, buoni e coscienziosi, trasgressori e deboli, a un tratto si trasformano e si dividono in eroi e in rinnegati, in santi e in maledetti, e diventano ciechi per tutto ciò che fino a quel momento riempiva la loro vita e li legava gli uni agli altri. E ora questo luogo viveva, rapito e consapevole, la propria storia.” (p. 44)
La casa editrice Crocetti Editore ha proposto ai lettori italiani nel maggio 2023, all’interno della collana dedicata alla narrativa, una nuova edizione di Racconti di Sarajevo del premio Nobel per la Letteratura Ivo Andrić nella traduzione di Alice Parmeggiani.
Link del libro: https://www.crocettieditore.it/narrativa/racconti-di-sarajevo/
Considerato un classico della letteratura bosniaca, croata e serba nel panorama culturale italiano, Ivo Andrić ottiene la sua fama soprattutto grazie ai suoi romanzi Il ponte sulla Drina e La cronaca di Travnik, scritti durante il periodo dell’occupazione tedesca, nonché a Il cortile maledetto, il romanzo che lo scrittore “si è portato dentro per diciassette anni”. Inoltre, negli ultimi vent’anni sono stati pubblicati numerosi racconti inediti, ma anche opere legate al genere saggistico e alla letteratura di viaggio, tra i quali Sul fascismo, edito da Nuova dimensione nel 2011 tradotto da Dunja Badnjević e Manuela Orazi, e In volo sopra il mare e altre storie di viaggio, tradotto da Elisa Copetti per la casa editrice Bottega Errante nel 2017 all’interno della collana Estensioni.
Meno nota, invece, è l’esperienza poetica di Andrić, che tuttavia non è da sottovalutare, in quanto ispiratrice di temi e di motivi utilizzati nella successiva produzione narrativa. Esordendo nel panorama letterario nel 1911 con la pubblicazione della poesia Al crepuscolo sulle pagine della rivista Bosanska vila e con l’inserimento di alcune sue poesie nell’antologia Hrvatska mlada lirika del 1914, Andrić passa sotto l’occhio della critica e inizia ad essere tenuto in considerazione come uno dei più promettenti poeti della sua generazione. La prima raccolta di poesie in prosa viene pubblicata nel 1918 a Zagabria con il titolo di Ex Ponto, un titolo che omaggia il poeta latino Ovidio, il quale, proprio come lo scrittore jugoslavo, visse l’esperienza dell’esilio. Ex Ponto racconta il suo vissuto fra le mura del carcere e il confino. La successiva raccolta viene pubblicata due anni dopo a Belgrado con il titolo di Nemiri (“Inquietudini”) e, a differenza della prima, maschera l’Io autobiografico attraverso costruzioni poetiche più neutre. Queste due opere, considerate “sorelle”, sono espressione dell’esperienza giovanile dello scrittore, sia letteraria che di vita, e del trauma del periodo in carcere e al confino. L’importanza della sua opera viene riconosciuta in particolar modo in Italia, tanto che, ad oggi, l’italiano è la seconda lingua con maggior numero di traduzioni delle opere di Andrić.
“Sull’altura sotto la muraglia della fortezza il medico si fermò e, appoggiato al parapetto, osservò sotto di sé Sarajevo, che in quel momento fra il giorno e la notte appariva vibrante e irreale.” (p. 64)
Il titolo della raccolta di racconti Racconti di Sarajevo non è inedito. Infatti, nel 1993 è stato pubblicato per la Newton Compton un piccolo libro di nemmeno cento pagine portante lo stesso nome. Composto da sette racconti, scritti in periodi diversi, il libro racconta il crogiolo multietnico e multilingue che è la città di Sarajevo a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
Nella nuova edizione tradotta da Parmeggiani, i racconti offerti al pubblico sono invece nove: Il tappeto (1948), I sellai (1966), Giorno di luglio (Un giorno a Sarajevo alla fine di luglio del 1878) (1928), Conversazione verso sera (1966), Il luogotenente Murat (1938), Il buio sopra Sarajevo (1931), Un fiore rosso (1948), Tre ragazzi (1947) e Buffet Titanik (1950) accomunati dalla fine di un mondo e l’inizio, sanguinoso, di uno nuovo.
Racconti di Sarajevo mette in scena i destini delle persone comuni e il loro vissuto quotidiano in un periodo storico contrassegnato da confusione, paura e incertezza a causa dei forti cambiamenti politici, dovuti in primo luogo alla caduta dell’Impero ottomano e al trionfo di quello Austro-ungarico. Infatti, Andrić scrive:
“Ciò provocava nelle masse due stati d’animo del tutto opposti. Da una parte, spirito di sacrificio, grande sensibilità morale e rigore nei confronti di se stessi e degli altri, e desiderio di atti dignitosi e sublimi; dall’altra parte invece, la velleità e le passioni estreme, e una febbrile aspirazione a sfruttare al meglio quei pochi giorni e quei beni che ancora rimanevano.” (p. 29)
Con il racconto finale intitolato Bife Titanik (“Buffet Titanik”, 1950) si tematizza invece il dramma del perimento ebraico in Bosnia compiendo così un salto temporale alla Seconda Guerra Mondiale.
I personaggi che si incontrano nelle pagine della raccolta vengono osservati nei momenti più disparati della vita di tutti i giorni e, oltre a condividere lo stesso spazio fisico, ovvero la città di Sarajevo, hanno in comune anche una bussola morale elevata, come esplicitato nel racconto Ćilim (“Il tappeto”, 1948) che ha come protagonista la “vecchia Kata, una vedova di settant’anni” (p. 9) e che alla visione di un tappeto rosso nel municipio cittadino torna con la mente al 1878 nelle giornate in cui “l’esercito sciamò per la città” (p. 15). Difatti, nella loro corte apparve un soldato austro-ungarico che offre a Petar, figlio di Kata, un tappeto in cambio della grappa. La vecchia nana si rifiuta di accogliere in casa propria un oggetto “sottratto a forza, perché con la disgrazia altrui nessuno ha mai fatto fortuna” (p. 16).
Oltre a descrivere il clima di tensione politica che regna nella città e di come esso si rispecchia sulla popolazione, Andrić affresca dettagliatamente anche i momenti più comuni della vita nella città, partendo dal bazar sarajevese nel racconto Sarači (“I sellai”, 1966) trasportando il lettore in una giornata tipo degli artigiani. Nel racconto Julski dan (“Giorno di luglio (Un giorno a Sarajevo alla fine di luglio del 1878)”, 1928) l’attenzione si sposta invece su Hat-mejdan, dove è in corso la liberazione dei prigionieri dalle carceri cittadine in seguito alla decisione del Consiglio di far arruolare gli ex prigionieri nelle campagne del nord.
In Crven Cvet (“Un fiore rosso”, 1949) Andrić esplora le dinamiche sociali e politiche più ampie, partendo da una raffigurazione del sistema scolastico che descrive nei seguenti termini: “il sistema scolastico dei licei austriaci di allora in Bosnia aveva per obiettivo quello di soffocare nei giovani e nei futuri cittadini ogni germe di indipendenza e di uccidere ogni desiderio di qualcosa di originale, creativo, superiore e più bello” (p. 79), arrivando a spendere alcune parole anche per la classe proletaria, sottolineando come il Primo maggio gli operai non avrebbero lavorato e che inoltre in quella occasione sarebbero state sventolate le bandiere rosse.
Sullo sfondo di una Sarajevo che racchiude in sé il ramo occidentale e quello orientale che si abbracciano e si separano, afflitta dalla Grande Storia che si riflette sul destino del “piccolo uomo”, Andrić esamina in questi racconti coinvolgenti i temi fondamentali dell’esperienza umana.
Apparato iconografico:
Immagine di copertina: https://hiperboreja.blogspot.com/2011/02/ni-bogova-ni-molitava-ivo-andric.html
Immagine 1: https://www.crocettieditore.it/narrativa/racconti-di-sarajevo/
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