Silvia Girotto
Dopo il grande successo raggiunto in Germania, ottenuto grazie ai suoi ritratti di personaggi femminili comuni ma al tempo stesso rappresentativi di un’epoca, alla tagliente ironia e alla trattazione di temi scomodi al regime nazionalsocialista, Irmgard Keun scomparve dai radar letterari per diverso tempo. Lei stessa finì per essere parte di quel gruppo di donne che aveva rappresentato: una tra tante, sconosciuta ai più, ma con una storia degna di essere raccontata. La sua riscoperta negli anni Settanta, dopo questo periodo di oblio, portò la stampa a rincorrere l’autrice tra video e radio-interviste, per raccontare al mondo la sua esperienza nella Germania degli anni Venti e Trenta, censurata e costretta all’esilio.
Nove interviste tra quelle raccolte durante questo periodo vengono pubblicate in Germania nel 2022 dalla casa editrice Kampa con il titolo Kein Anschluss unter dieser Nummer. Gespräche statt einer Autobiographie, tradotto in italiano da Eleonora Tomassini con il titolo Non sono mai stata il mio tipo. Dialoghi al posto di un’autobiografia per la casa editrice L’Orma, già impegnata nella pubblicazione dell’opera di Keun da diversi anni. Tra le opere è bene segnalare l’uscita del cofanetto Le ragazze di Keun, una raccolta di tutti i testi della scrittrice tedesca pubblicate fino ad ora dalla casa editrice.
Link al libro: https://www.lormaeditore.it/libro/9791254760628
La decisione di raccogliere le testimonianze della vita di Keun attraverso dei dialoghi risulta una scelta azzeccata per la possibilità di cancellare quella patina di mistero e soggezione che spesso copre la vita di personaggi famosi quando questi vengono presentati al pubblico, trasmettendo la necessità di una certa referenza e di solennità. Fin dalle sue prime risposte, Keun intende infatti annullare la separazione tra soggetto dell’intervista e pubblico, mostrarsi per quella che è, senza portare versioni romanzate della propria vita e rendendo anzi ogni aneddoto una storia di cui vale la pena ridere, dando voce anche e soprattutto ai lati meno lusinghieri della sua persona. Senza giri di parole l’autrice espone in maniera diretta il suo pensiero, da quello più profondo a quello più banale e non cerca di essere portavoce di battaglie in cui non crede o di rappresentare un modello per il suo pubblico. Emblematica è la risposta alla domanda circa la necessità di scrivere nel periodo del dopoguerra, a cui Keun risponde semplicemente: “dovevo pur sempre guadagnare qualcosa” (p. 43).
Keun stessa non desidera infatti dare un’impressione necessariamente positiva di sé, anzi, tende a sottolineare quelli che sono gli aspetti negativi del proprio carattere e i piccoli e semplici avvenimenti di cui si rallegra, tanto che il pubblico non può non sentire vicina a sé questa autrice così lontana dai fronzoli aggiunti dalle interpretazioni. Si definisce più volte nelle interviste come una scrittrice che somiglia alle protagoniste delle sue opere, ben lontane dall’essere perfette. Rappresentativo è il caso della descrizione dell’ambiente delle prostitute, che si discosta dall’ambiente borghese in cui è cresciuta grazie alla condizione della propria famiglia, ma che ha voluto ugualmente frequentare perché più curioso rispetto al proprio. Questa curiosità verso donne che si trovano in situazioni “altre” o considerate sconvenienti è uno dei capisaldi della sua scrittura, in quanto tra i suoi personaggi femminili pare esserci “una sorta di comunità di intenti” (p. 11), come afferma nella sua intervista a Keun la giornalista Ursula Krechel. Il filo che collega le varie donne delle sue vicende non attraversa tuttavia solo i confini tra strati sociali, bensì oltrepassa anche il limite dell’età, offrendo la visione di bambine come Kully in Kully, Kind aller Länder (“Kully, figlia di tutti i paesi”, 1938) o come la protagonista senza nome di Das Mädchen, mit dem die Kinder nicht verkehren durften (“Una bambina da non frequentare”, 1936) al pari di quella di ragazze appena maggiorenni e di altre donne più mature – che tuttavia appaiono spesso solo come personaggi secondari. La persona che Keun vuole infatti rappresentare nei suoi testi è la stessa in cui può riconoscersi ogni donna e in questa anche l’autrice può quindi vedere se stessa. Pertanto, temi come il legame con la famiglia, la schiettezza nel presentare la scrittura come un mezzo per portare il pane in tavola e l’accettazione dei limiti che la sua visione della società porta sono presentati come indivisibili dalla sua persona e ne fanno una donna reale. In particolare l’accettazione dei limiti viene ripresa più volte da Keun, che afferma che “dal momento che [era] una donna non [poteva] conoscere il punto di vista maschile” (p. 15) e che essendo lei stessa una persona emarginata le risulterebbe difficilissimo identificarsi in un personaggio che non lo fosse.
L’intervista Ed ero già immischiata nella politica fino al collo con Kyra Stromberg nel 1979 ruota attorno ad una delle questioni più care a Keun come a tanti scrittori e scrittrici della stessa epoca, ovvero l’esilio: la censura appena un anno dopo la pubblicazione del suo romanzo Das kunstseidene Mädchen (“Doris, la ragazza misto seta”, 1932) colpisce la vita di Keun al punto da portarla a trasferirsi in Belgio, a Ostenda, e a tentare in tutti i modi e fino al successo il divorzio dal marito, dal quale differiva enormemente in quanto a visioni politiche. Tuttavia, l’esilio non viene narrato come un periodo oscuro; al contrario Keun afferma: “È stato estremamente interessante. (Pausa) Meraviglioso, l’ho trovato meraviglioso” (p. 38), forse soprattutto per le possibilità di incontro che le si sono presentate. L’autrice nomina infatti fra le proprie conoscenze autori come Stefan Zweig, Joseph Roth, Ernst Toller, i fratelli Mann e Heinrich, Hermann Kesten, tra i quali afferma di essere stata spesso l’unica donna, senza tuttavia sentirsi diversa. Con Joseph Roth Keun ebbe anche una complessa relazione sentimentale, che intervistatori e intervistatrici desiderano spesso approfondire per conoscere quale fosse il rapporto tra due figure così particolari: un autore e un’autrice riconosciuti pubblicamente a quell’epoca per il loro talento ed entrambi affetti da una dipendenza da alcolici. In pratica, fama e dannazione, una combinazione che fino ai giorni nostri persiste nell’interesse del pubblico. Nell’intervista dal titolo In giro non ci sono libri del genere al momento con Marianne Koch e Wolf Gremm del 1981 Keun ne parla, ma in maniera assai soggettiva e sincera, poiché mette in chiaro quella che è la sua propensione ad allontanarsi da un ruolo già definito di donna, che si sacrifica per l’uomo e lo sostiene in ogni istante. Al contrario, lei afferma di essere aver sempre avuto “una propensione innata a predominare sull’altro” (p. 112) – ben lontana dunque da una stereotipica accondiscendenza femminile – e di aver voluto e ottenuto un rapporto paritario nella sua relazione con Roth. Si tratta di una tendenza che, anche se non così forte, caratterizza anche le sue protagoniste nei rapporti con il mondo che le circonda. Troviamo infatti tra esse bambine curiose che non hanno timore a chiedere, ventenni che si destreggiano in una società a loro ostile, ragazze che si supportano a vicenda se convinte della bontà di un ideale. Riferendosi ai due anni in cui vissero assieme, Keun definisce ironicamente Roth “un po’ troppo fissato con gli Asburgo per i miei gusti” (p. 112), ma ne parlò a lungo e in termini positivi in un dialogo con David Bronsen nel 1974. Venne intervistata in quell’occasione in relazione alla scrittura di una biografia di Roth da parte del germanista.
L’autrice porta se stessa nella sua narrazione nella consapevolezza di presentare nella sua scrittura e nella sua indole una tendenza alla schiettezza, discutendo e difendendo il proprio punto di vista in queste interviste anche in una prospettiva storica, oltre che sociale. Le capacità di Keun, soprattutto questa sua schiettezza, vennero riconosciute di comune accordo nell’ambiente degli scrittori emigrati. Lo stesso Alfred Döblin, che la conobbe ben prima che diventasse famosa, la spinse a scrivere, vedendo in lei un potenziale. La fuga di Keun dalla Germania controllata da Hitler la portò successivamente fino in America, viaggio che è l’ennesima prova degli spunti autobiografici nelle sue opere, in questo caso con particolare riferimento a Kully, figlia di tutti i paesi, l’ultima pubblicazione di Keun de L’Orma prima di questa raccolta. Ulteriori intersecazioni tra riferimenti autobiografici e storici sono riscontrabili in Doris, la ragazza misto seta, in cui viene descritta la visita di Hitler a Francoforte e a cui Keun conferma di aver assistito in prima persona. Così risponde nel 1981 alle domande di Klaus Antes, suo amico ed editor:
“L’ho vissuto. […] ho assistito alle marce… di quei porci! La prima volta a Berlino, e lì ho pensato di morire… a volte il mio odio verso Hitler non era ancora così forte come quello per quegli uomini disgustosi. Pensavo che se avessi avuto anche solo un briciolo di inclinazione per l’omosessualità, non avrei mai più guardato un uomo in vita mia. […] Provavo una sorta di repulsione fisica. E c’era anche qualcosa di omosessuale, dai, come può un maschio dire… «il mio Führer»… È impossibile, non trovi?” (p. 73)
Un altro – ma non certo l’ultimo – aspetto da valutare all’interno di questa raccolta di interviste è legata all’appartenenza di Keun ai movimenti in difesa dei diritti per le donne. La scrittrice è spesso stata definita come una tra le più importanti voci femminili e femministe del Novecento tedesco, se non la più importante, motivo per cui le è stato spesso chiesto quale fosse la sua posizione circa i movimenti femministi tedeschi ed europei. La risposta è stata sempre, tuttavia, un rifiuto di ogni etichetta, anche quella di “femminista”. Un rifiuto che tuttavia, come scoprirà il pubblico durante la lettura di questa e di altre opere, non pregiudica il suo contributo alla lotta per un riconoscimento della parità tra uomo e donna.
Conclude questo stimolante testo una postfazione di Heinrich Detering, il quale si avventura nella narrazione della genesi di una fantomatica autobiografia, che Keun affermava – l’ultimo suo scherzo – di aver scritto, ma di cui non si è mai trovata traccia. Fortunatamente la scrittrice non morì dimenticata, infatti un decennio prima della sua morte la riscoperta dei suoi romanzi e l’interesse da parte della stampa permisero di raccogliere le interviste che ora compongono Non sono mai stata il mio tipo. Nonostante non fosse sua intenzione ritornare sotto i riflettori, dagli anni Settanta i testi di Keun hanno riacquistato fama in Germania e si spera proseguiranno ora in questa direzione anche all’estero.
Apparato iconografico:
Immagine 1: https://www.lormaeditore.it/libro/9791254760628
Immagine 2: https://mittelhaus.com/2016/07/31/irmgard-keun-gilgi-eine-von-uns/