Riccardo Mini
La casa editrice L’Orma riporta in libreria, nel suo ormai classico formato dei “pacchetti”, i libri pronti per essere spediti, le lettere che la poetessa russa Marina Cvetaeva (1892-1941) indirizzò a Rainer Maria Rilke (1875-1926) tra il maggio e il dicembre 1926. Si tratta del gradito ritorno in libreria di una serie che ha goduto di una certa fortuna in Italia, e che vanta come antecedenti il carteggio Cvetaeva-Rilke-Pasternak, pubblicato col titolo Il settimo sogno da Editori Riuniti nel 1980, l’epistolario della poetessa (e in particolare il secondo volume, Deserti luoghi, pubblicato da Adelphi nel 1989), il carteggio Cvetaeva-Rilke (Lettere, SE, 2010) e A Rainer Maria Rilke nelle sue mani (Passigli, 2012), raccolta di lettere, poemi e saggi di Marina Cvetaeva sul poeta di lingua tedesca. La scelta della presente edizione, a cura di Eusebio Trabucchi e con introduzione di Nicolò Petruzzella, consiste nel riportare le lettere di Cvetaeva, intervallate dal riassunto della risposta di Rilke o contestualizzate in un breve paragrafo del curatore.
Link al libro: https://www.lormaeditore.it/libro/9791254760604
Marina Cvetaeva, nata a Mosca l’8 ottobre 1892, e morta a Elabuga, Russia, il 31 agosto 1941, è una delle voci poetiche femminili più importanti del Novecento, assieme ad Anna Achmatova la più illustre rappresentante della cosiddetta Epoca d’argento della poesia russa. Nicolò Petruzzella, nella sua breve e precisa introduzione, scrive: “nel caso della poetessa moscovita il corpus delle lettere può essere considerato parte integrante dell’opera, fitto com’è di riflessioni sul valore della poesia e sul ruolo del poeta nel mondo” (p.5). E in effetti per Cvetaeva, emigrata nel 1922 a Berlino, quindi a Praga e Parigi, dove resterà fino al 1939, quando tornerà in Unione Sovietica due anni prima di togliersi la vita, la comunicazione epistolare è spazio intimo, in cui dialogo e monologo si incontrano – come è evidente nelle lunghe lettere inviate a Rilke, anche in mancanza di risposta, e ancor più nell’ultima lettera in morte del poeta. Ancora nell’introduzione, Petruzzella riporta una citazione della poetessa da una lettera al poeta russo Boris Pasternak (1890-1960), in cui Cvetaeva definisce il rapporto epistolare come rapporto ultraterreno, di natura simile al sogno, ed eleva la lettera a tramite etereo, sensibile di vivere di vita propria a prescindere dallo scrivente.
Il volume si apre con una lettera datata 9 maggio 1926. La prima delle undici lettere della poetessa moscovita è una lettera di risposta; il 3 maggio, infatti, Rilke aveva inviato a Cvetaeva, su richiesta di Pasternak, due libri autografati, rammaricandosi inoltre di non essere riuscito a incontrarla a Parigi l’anno precedente. Comincia dunque il loro rapporto, spirituale e amoroso-platonico, e con esso l’idea della possibilità di un vagheggiato incontro che non avverrà mai – Rilke si trova in cura in Svizzera, dove morirà il 29 dicembre dello stesso anno. L’innamoramento di Cvetaeva per Rilke risale a molti anni prima, ed è l’amore che si riserva a un monumento letterario. In questa prima lettera la poetessa definisce Rilke “la poesia incarnata” (p. 11) e “ciò da cui la poesia nasce” (p. 12), e scrive: “Il Suo nome non rima con il tempo, proviene da prima o da dopo, da sempre” (p. 11). Aggiunge inoltre che Rilke rappresenta un compito impossibile per i poeti del futuro, che con lui necessariamente dovranno confrontarsi: “Il poeta che verrà dopo di Lei dovrà essere Lei, ossia Lei dovrà nascere di nuovo” (p. 12). Tale concezione della figura-poeta Rilke tornerà nel saggio Il poeta e il tempo (1932, tradotto in italiano nella raccolta di saggi Il poeta e il tempo, pubblicata da Adelphi nel 1984 a cura di Serena Vitale), nel quale Cvetaeva scrive: “Cercherò ora di dare la risposta per me più difficile: è indicativo del nostro tempo Rilke – questo lontano tra i lontani, sublime tra i sublimi, solitario tra i solitari?”, per poi definirlo “indispensabile al nostro tempo come un sacerdote sul campo di battaglia: per pregare, per chiedere […] la luce sugli ancora vivi e il perdono per i caduti” (p. 67). Emerge dunque nuovamente l’importanza, sottolineata nell’introduzione sopracitata, dell’epistolario di Cvetaeva per la comprensione della sua poetica, della sua poesia e del suo pensiero-sensibilità. La prima lettera contiene anche il rigo che dà il titolo al libro, L’oceano leggeva con me. La poetessa, capace di estendere all’infinito e al tempo stesso azzerare la distanza dal proprio interlocutore, scrive: “Cosa voglio da te, Rainer? Niente. Tutto” e, confessando il sorgere di quel sentimento che esploderà nelle lettere successive, aggiunge: “Ho letto la tua lettera davanti all’oceano, l’oceano leggeva con me, leggevamo entrambi. Ti dà fastidio che abbia letto anche lui? Non ci saranno altri lettori, sono troppo gelosa (troppo dentro te, infervorata)” (p. 15).
Nelle lettere che seguono Cvetaeva eleva ad altezze vertiginose il discorso intorno alla figura di Rilke: “Dio. Solo tu hai detto qualcosa di nuovo a Dio” (p. 18). Legge, commenta, cita a memoria le poesie dell’amico (“Ci sfioriamo. Come? Con battiti d’ali… Rainer, Rainer, me lo hai scritto senza conoscermi, come un cieco – un veggente! -” p. 24), assicurandosi nel frattempo della solidità della propria prosa nella lingua straniera: “Riesci a capire il mio cattivo tedesco? Il mio francese è più fluente e per questo non voglio scriverti in francese. Tra me e te nulla deve fluire. Volare, sì! Altrimenti, preferisco zoppicare e inciampare”. Commentando la poetica di Rilke Cvetaeva riflette sulla propria, come nota il curatore nel brano che introduce la lettera del 13 maggio: “Nella missiva che segue, la poetessa si diffonde su uno dei motivi ricorrenti della sua opera e del suo epistolario, lo iato spirito-corpo, poesia-mondo, affermando ancora una volta il suo sentimento di assoluta comunione con il poeta” (p. 19). Il motivo del dualismo anima e corpo e le riflessioni sulla figura del poeta dominano anche le due lunghe lettere di luglio e inizio agosto. La prima appare di grande interesse anche per la raffinatezza e la straordinaria lucidità dimostrata dalla poetessa nella padronanza della e nel ragionamento sulla materia poetica e il valore assoluto e interlinguistico della poesia; Cvetaeva scrive e cita in tre lingue diverse, tedesco, russo e francese (è qui apprezzabile la scelta di conservare il dialogo tra lingue riportando in italiano il testo tradotto dal tedesco e in lingua originale, con traduzione in nota, le citazioni dal russo e dal francese). La riflessione metalinguistica è un altro aspetto che accomuna la scrittura poetica ed epistolare di Marina Cvetaeva, che, in un’altra lettera, nota: “Questo verso è pura intonazione (intenzione) e quindi un puro discorso d’angeli. (Intonazione: un’intenzione che si è fatta suono. Intenzione incarnata.)” (p. 22)
Connota le lettere lo straripante sentimento che agita la poetessa, il cui amore, che dice rivolto al poeta, e non all’essere umano, assume tratti sempre più fisici, reali, nella richiesta di un bacio, in un abbraccio solamente immaginato ma non per questo non fisicamente percepito e nell’espressione ripetuta di una sorta di gelosia e del carattere assoluto della relazione. In tali frangenti la lettera assume la natura introspettiva e la forma del diario intimo, in cui la poetessa scandaglia il proprio essere e rivela alcuni aspetti riservati del proprio io e della propria inquietudine.
L’ultima lettera, datata 31 dicembre 1926, conclude lo scambio epistolare tra i due e quindi il libro, e ne rappresenta il vertice assoluto. Nella prosa lirica bagnata di lacrime sono racchiusi tutti i motivi sopracitati. Rainer Maria Rilke, in seguito a una lunga malattia, muore, come detto, il 29 dicembre 1926. Cvetaeva viene a saperlo tre giorni dopo, scrive a Pasternak per informarlo e insieme scrive una lettera di commiato all’amico defunto: “Ebbene Rainer, ora piango e sei tu che stilli dai miei occhi! Mio caro, se tu sei morto – allora significa che non esiste alcuna morte (o alcuna vita!)” (p. 60). La poetessa chiede di apparirle in sogno, chiede il permesso di un amore ancor più intenso e differente, e con esso un bacio sulle labbra, “come si fa con i vivi”, e in chiusura scrive: “Lontano non lo sarai mai: l’irraggiungibile non è mai alto” (p. 61).
In conclusione, L’oceano leggeva con me appare come un libro breve (64 pagine) ma denso di motivi, parole e significati, che può essere letto tanto da un appassionato quanto da uno specialista e che rappresenta un punto di osservazione privilegiato sulla poetica, la poesia e la sensibilità di una delle voci poetiche più grandi del Novecento.