Claudia Fiorito
Aleksej Naval’nyj è stato ucciso nella colonia penale a regime speciale IK-3 di Charp, nell’oblast’ di Tjumen, il 16 febbraio 2024. Andergraund Rivista ha riesaminato, alla luce di questo evento, il documentario Navalny (2022) di Daniel Roher, vincitore agli Oscar 2023, in questi giorni nuovamente nelle sale.
Link al trailer: https://www.youtube.com/watch?v=7_bi6OhM0Ug
“L’e-mail di un pezzo grosso dell’intelligence russa è stata violata più volte. La sua prima password era ‘Mosca1’ e l’hanno hackerata. La sua seconda password era ‘Mosca2’ e l’hanno hackerata di nuovo. La sua terza password è stata “Mosca3”… indovina qual è stata l’ultima password? Questo [l’espressione ‘Mosca4’] descrive la stupidità del sistema.”
Il film del 2022 di Daniel Roher ben restituisce l’immagine pubblica di Aleksej Naval’nyj: quella di un leader dell’opposizione non convenzionale, arguto, ironico, resiliente. Il documentario è recentemente ritornato nelle sale italiane per una serie di proiezioni speciali grazie alla distribuzione della casa bolognese I Wonder Pictures (qui la lista completa dei cinema dove è possibile vederlo, oltre che in streaming sul sito del distributore) e rivedere questo film dopo la morte del dissidente politico, avvenuta per mano del governo russo durante la sua detenzione, porta a riflettere sul passato e sull’eredità della sua figura.
Il giovane regista, al suo secondo lungometraggio, affacciandosi per la prima volta su questioni politiche, ricostruisce le tappe del “caso Naval’nyj” a partire da prima del suo avvelenamento, avvenuto in Siberia nel 2020, che aveva portato al suo trasferimento d’urgenza in un ospedale di Berlino, dove il politico è rimasto fino alla sua guarigione per poi immediatamente ritornare in Russia, azione che aveva suscitato scalpore tanto in Occidente quanto in madrepatria.
Oltre alla registrazione degli eventi in presa diretta, Roher si è avvalso di interviste individuali con Naval’nyj, i suoi collaboratori e i suoi familiari, nonché del recupero di materiale di informazione, dalla televisione di stato russa alla CNN ad internet, ed in particolare dai social media di Naval’nyj – da Twitter a Tiktok, dove l’attivista si vanta scherzosamente di avere più di un milione di follower –, realizzando così un documentario di inchiesta di successo che gli è valsa la vittoria all’edizione del 2022 del Sundance Film Festival, ai Bafta Film Awards 2023 e del premio Oscar al miglior documentario nello stesso anno. La cerimonia di premiazione del film agli Academy Awards, che ha visto la presenza sul palco, assieme al regista, degli stretti collaboratori e dei familiari del politico, concludendosi con un appello della moglie Julija Naval’naja, ha avuto particolare risonanza nei media occidentali e il film ha incontrato un notevole favore di critica, un risultato positivo al box office internazionale e un incasso di più di 100.000 dollari.
In Russia, la risposta al film è stata, come spesso accade, segnata da una spaccatura tra il pubblico di massa e le opinioni del governo: Kinopoisk, celebre sito-database di informazioni su film e serie TV, paragonabile all’americano IMDb, riporta un rating di pubblico ampiamente favorevole di 8.3/10, basato su 34.097 valutazioni. Nel contempo, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha denunciato la forte componente ideologica del film, sostenendo che la storia di Naval’nyj sarebbe stata politicizzata da Hollywood, pur ammettendo di non averlo visto.
La fortuna di pubblico del film è forse anche dovuta alla struttura del documentario, che coinvolge lo spettatore offrendo la risoluzione di un “caso” – la scoperta, grazie al contributo cruciale di Christo Grozev del gruppo Bellingcat, sito web di investigazione di intelligence open source – dei responsabili dell’avvelenamento di Naval’nyj e l’attribuzione del tentato omicidio all’FSB, secondo un piano “che non si sarebbe potuto realizzare senza l’approvazione di Vladimir Putin”.
Quello che ricorre, e che permea la narrazione, è infatti soprattutto la possibilità della morte di Naval’nyj, su cui il discorso viene riportato in diversi punti: nelle interviste singole con la moglie Julija Naval’naja e la figlia maggiore Daša, fino a quella con lo stesso protagonista che, glissando sull’argomento, propone al regista di rimandare il film sulla sua morte: “Ora facciamo un thriller, e poi un altro film, noioso, alla mia memoria”.
Lo sviluppo del film in un thriller, in effetti, non tarda ad arrivare: il documentario, prodotto da HBO Max e CNN Films, ha una regia da film d’azione, con colpi di scena e musiche cariche di suspense che fanno dimenticare allo spettatore di star guardando un documentario, immergendolo nella rapida evoluzione di eventi sempre più sorprendenti, a tal punto che “se si stesse guardando un film di finzione, verrebbe giudicato eccessivo”.
Avventurandosi nel passato di Naval’nyj, Roher introduce lo spettatore all’ascesa dell’attivista che, armato di un gruppo ristretto di collaboratori, “zero soldi, molto lavoro ed internet”, arriva alla popolarità realizzando video di inchiesta che espongono la corruzione delle persone gravitanti attorno al governo Putin, che Naval’nyj pubblica sul suo canale YouTube dalle centinaia di milioni di visualizzazioni.
Il documentario affronta inoltre la questione che forse più di tutte risulta scomoda a Naval’nyj, riguardante la sua storia politica e l’affiliazione a movimenti di estrema destra russi dei primi anni Duemila, che hanno visto la sua partecipazione a molteplici manifestazioni pubbliche di orientamento nazionalista. A queste domande, non senza irritazione, il protagonista risponde:
“In un sistema politico normale, ovviamente non sarei mai nello stesso partito con loro. Ma potremmo creare una coalizione per combattere un regime autoritario e creare un contesto in cui tutti possano partecipare a libere elezioni. […] Viviamo in un paese in cui si avvelenano i membri dell’opposizione, si uccidono e arrestano persone per niente; quindi, sono felice di potermi sedere e parlare con qualcuno, anche se non mi piacciono le loro manifestazioni.”
Quella che emerge è dunque la figura di un leader di partito risoluto, disposto a intraprendere spiacevoli coalizioni pur di contrastare il regime di Putin; nel suo atteggiamento politico, difatti, Naval’nyj non si è mai davvero allontanato da una posizione populista-nazionalista, pur facendo passi indietro rispetto ai momenti in cui ha strizzato l’occhio a movimenti xenofobi (uno sguardo approfondito sulla questione è stato proposto da Maria Chiara Franceschelli qui), affermando in ogni caso convintamente che una larga fetta della popolazione russa, “impossibile da ignorare, […] si definisce nazionalista”.
Ma il regista non insiste né giudica e prosegue nella narrazione, in qualche modo facendo valere la giustificazione di Naval’nyj e concentrandosi sulle sua attività degli ultimi anni, orientate piuttosto verso una dichiarata opposizione al partito di Putin ed un attivismo anticorruzione, facendo passare un messaggio di resistenza che resta fino alla fine del film, che termina con l’interruzione forzata delle riprese in seguito all’arresto dell’attivista all’aeroporto di Mosca-Šeremet’evo del 17 gennaio 2021, giorno del suo rientro in Russia. Le scene conclusive del film riportano lo scoppio delle proteste in tutto il paese, in cui centinaia di persone si riversano in strada chiedendo il rilascio del politico, restituendo l’immagine di un popolo russo forte, unito, capace di domandare democrazia e di sacrificarsi e lottare contro l’autorità del governo Putin.
Guardando il film all’indomani del 16 febbraio 2024, tali scene richiamano alla mente gli eventi delle settimane successive all’uccisione di Naval’nyj. Manifestazioni di protesta in Russia seguite da repressioni e arresti sono culminate nel giorno del suo funerale, il primo marzo (ne ha parlato Giovanni Savino su Valigia Blu), in cui decine di migliaia di manifestanti si sono radunate fuori dalla chiesa in cui è stato officiato il servizio funebre per porgere l’estremo saluto all’attivista, ritornando forse per la prima volta a un clima precedente alle repressioni post 24 febbraio 2022, in cui le grida e i cori dei manifestanti si sono alzati chiedendo giustizia e libertà per la Russia.