Nota Editoriale
“La guerra è la figlia della tirannia. Chi vuole combattere la guerra deve solo combattere i tiranni.” Aleksej Naval’nyj cita Lev Tolstoj in conclusione al suo poslednee slovo (l’ultimo discorso) del 15 marzo 2022, prima di essere spedito nella colonia penale n.6. Naval’nyj morirà a 47 anni nella colonia penale IK-3, dieci giorni prima della pubblicazione di questo numero, il 16 febbraio 2024, ucciso dal regime putiniano.
La Redazione
Il presente numero, il settimo dalla fondazione di Andergraund Rivista, deve la sua uscita a un evento culturale organizzato nell’ottobre del 2023 in collaborazione con il collettivo Aratea Cultura. Questo evento, svoltosi nella LibrOsteria di Padova, trova una testimonianza video su YouTube – dove è stata caricata la registrazione – e in questo numero, dove gli interventi sono stati rielaborati e ampliati in forma di articoli. Nel presentare questa settima uscita è dunque doveroso rimarcare l’importanza che per Andergraund Rivista ha segnato la collaborazione con una realtà culturale “altra” come Aratea Cultura, animata da ideali e da principi etici affini. Con l’organizzazione di eventi in presenza, soprattutto attraverso la presentazione di libri, Andergraund Rivista si sta progressivamente ricavando quello spazio concreto e materiale che la pandemia aveva impedito nei primi mesi di assestamento editoriale. Inoltre, come nei numeri precedenti, alcuni contributi sono stati realizzati da membri esterni alla redazione che hanno potuto partecipare attraverso la call for papers. In ciò si conferma l’intenzione di Andergraund Rivista di uscire dai confini dell’ateneo patavino e affermarsi come una realtà nazionale (se non internazionale, come dimostrato dal saggio introduttivo in inglese e un articolo redatto in russo e tradotto per l’occasione). Un’intenzione che si sta realizzando anche attraverso l’inclusione di nuovi membri che figureranno nella rivista sin dal prossimo numero. Questa interazione con realtà e individui esterni alla redazione trova una sua felice realizzazione anche nella scelta della grafica della copertina. Andergraund Rivista appare infatti in una nuova veste, più dinamica della precedente e non più volta a riprodurre immagini realizzati da terzi, bensì a impiegarne di originali. Autore dell’immagine scelta è infatti l’artista digitale ceco-francese Deksonato che, partendo dall’iconografia di San Giorgio, ha realizzato un’immagine polarizzata su due elementi tesi tra un contrasto di simboli e un’interazione dinamica sottolineata dalle forme impiegate. Questa iniziativa è anche volta a far conoscere nel contesto italiano artisti che, altrimenti, incontrerebbero difficilmente il pubblico.
Il tema del numero, scelto già in occasione della preparazione dell’evento, ha come oggetto le declinazioni dei concetti di utopia e distopia – a cui fanno coda anche generi affini, come l’ucronia – nella complessità dei contesti letterari e culturali cui è dedicata la rivista. Tuttavia, la focalizzazione su tali concetti risponde a un’impellente necessità di riflettere attraverso il filtro della critica letteraria sulle complesse dinamiche del presente di un’epoca che, seppur trovandosi all’inizio di un nuovo – si noti quanto sia rassicurante l’idea racchiusa nel termine “nuovo” come sottintesa spinta al cambiamento – millennio, sembrerebbe piuttosto presagire un annebbiarsi del futuro. I concetti di distopia e utopia condensano diversi intenti, tra i quali vi è la ricerca di creare una realtà alternativa in cui spiegare le complessità di quella d’origine. Nonostante alleggi una netta separazione tra questi due emisferi percettivi, talvolta accade che questi collidano in un tragico incontro. Il motivo? L’acuta abilità d’osservazione della realtà di colui che ne costruisce un’alternativa solo apparentemente fittizia. Il tema scelto per il numero risponde dunque a una necessità di racchiudere il reale all’interno di uno spazio d’investigazione dove le due direttive d’analisi sono rispettivamente lo spetto distopico e quello utopico. Gli articoli qui pubblicati mostrano senz’altro tanto la produttività del genere quanto la forza rappresentativa attraverso cui esso mostra il fragile equilibrio su cui si poggia la contemporaneità.
Questo settimo numero di Andergraund Rivista si apre con l’articolo di Anna Schubertová, un’introduzione teorica che vuole esaminare la complessità della definizione di “utopia”. Partendo dal testo che può essere considerato capostipite del genere, ovvero Utopia di Thomas More, viene ripercorsa la strada dalla concezione originale di utopia fino al giorno d’oggi passando per le sue innumerevoli diramazioni. L’articolo introduce il numero per offrire una panoramica delle possibilità esplorate da questo affascinante quanto vivo e adattabile genere letterario, la cui varietà è testimoniata anche dalle opere analizzate in questa pubblicazione. Nella prima sezione, dedicata ai contributi riguardanti all’area dei Balcani, Marco Jakovljević offre un’analisi del film Il maresciallo del regista croato Vinko Brešan, che mostra uno spaccato della multiforme società croata di fine anni Novanta. Nella sezione di Boemistica Martina Mecco presenta il testo La guerra delle salamandre di Karel Čapek. Dopo aver presentato alcune caratteristiche fondamentali dell’autore come l’ironia, l’importanza data al linguaggio e l’attenta osservazione della realtà, l’autrice confronta quest’opera con altri testi di rilievo dell’epoca sovietica ad esso legati, definendo nel testo in quale modo anche quest’opera sia da considerarsi a tutti gli effetti come appartenente al genere distopico. La sezione di Russistica conta numerosi contributi, iniziando da quello di Alice Bettin, che si occupa di L’anno nudo, romanzo di Boris Pil’njak che riesce nell’intento di mostrare la forte contrapposizione tra vecchio e nuovo nella Russia che segue la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e il senso di confusione e straniamento di fronte agli eventi storici a cui la popolazione assiste. Segue l’articolo di Federica Florio che ripercorre il lavoro di Vladimir Nabokov in Invito a una decapitazione, illustrando le vicende del condannato Cincinnatus e il suo tentativo di opporsi alle regole del regime totalitario sotto cui vive, azione che condurrà ad un inaspettato finale. L’articolo successivo, firmato da Chiara Girotto, illustra la società asettica e razionale del mondo di Noi di Evgenij Zamjatin, una società perfetta nella quale si insinua il pericolo del libero arbitrio, cancellato dalla popolazione dal governo del Benefattore. L’idea di controllo dei pensieri e dei bisogni dei cittadini ad ogni costo sarà ispirazione per la scrittura di 1984 di George Orwell. Martina Greco si concentra su un testo del 2009, Chlorofilia, dell’autore Andrej Rubanov e di cui Greco illustra la convivenza di tratti tipicamente distopici e tradizionalmente nazionali. Nel mondo di Chlorofilia, una Mosca ricoperta dalle piante, si mostra tra gli altri il legame con la terra, che è tuttavia solo uno tra diversi possibili riferimenti ad un’interpretazione neo-nazionalista qui illustrata. Il testo si allontana infatti da altri esempi di distopia russa degli anni Duemila, quale può essere invece La giornata di un opričnik. Proprio questo testo viene analizzato in questo numero da Niccolò Gualandris, che illustra la meta-distopia dell’opera attraverso lo sguardo di una delle guardie realizzatrici della violenza in questa storia, ambientata nella Russia del 2027. Di questa distopia Gualandris sottolinea la convivenza di elementi vecchi e nuovi, illustrando inoltre la presenza di dettagli riconducibili dallo stesso autore Vladimir Sorokin alla situazione russa attuale, e disvelando le crepe presenti nel sistema. Segue l’articolo di Eleonora Mancinelli, un’analisi del testo Mosca 2042 di Vladimir Vojnovič. Il viaggio nel futuro da parte dello scrittore protagonista si svolge nello Stato Unico di Moscorep, la realizzazione più riuscita dell’aderenza al programma comunista, che Vojnovič utilizza per decostruire i miti culturali sovietici e il loro effetto sulla popolazione. Artemij Plechanov dedica invece il suo articolo alla trilogia Sobakistan, una delle prime graphic novel ad aver segnato la storia del fumetto russo all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica. Nella sua analisi Plechanov mostra le caratteristiche sia visive che tematiche del fumetto, concentrandosi in particolar modo sul concetto di “distopia” e su come questo venga rappresentato da Vitalij Terleckij e Ekaterina (Katja) Činaski. Nel suo articolo Giovanni Savino riflette su come il progetto politico e ideologico messo in campo nella Russia contemporeanea possa rientrare nel contesto della retrotopia come rovesciamento dell’orizzonte utopico del futuro. Nell’articolo successivo Eleonora Smania illustra il lavoro di satira dell’autore Michail Bulgakov contro il regime sovietico durante gli anni Venti. Attraverso i racconti Cuore di cane, Le uova fatali e Diavoleide Smania illustra come l’autore sia in grado di svelare l’inganno dell’utopia proposta dal regime sovietico, che altro non fa che condurre l’individuo verso l’impoverimento e la distruzione. Viene presentato invece nell’articolo di Nicola Vavassori il testo Punto di fuga di Michail Pavlovič Šiškin, un’opera il cui intento è quello di presentare i distopici risvolti della Russia che l’autore vive attraverso la distopica narrazione di una guerra già avvenuta. Si andrà così a delineare una distopia inversa, che sottolinea come ogni guerra, passata o futura, presenti la ripetizione di schemi che ciclicamente e tragicamente si ripropongono. Nella sezione di Germanistica si trova l’articolo di Silvia Girotto, che presenta l’opera dello scrittore austriaco Christoph Ransmayr Il morbo Kitahara, ucronia ambientata in un’Austria del secondo dopoguerra assoggettata ai vincitori. Attraverso le vicende dei suoi protagonisti, Ransmayr esprime la sua critica alla trasmissione della memoria e alla rielaborazione del passato nell’Europa a lui contemporanea. Conclude questo numero l’articolo di Giulio Scremin, una disamina del romanzo Brucio Parigi dello scrittore polacco Bruno Jasieński, delle motivazioni che lo portarono a scrivere questa opera e della sua ricezione. Scremin esamina in questo testo come un’improvvisa malattia renderà la capitale del capitalismo e della borghesia un luogo in cui l’ordine preesistente viene rivoluzionato.