Federica Florio
Abstract:
Being Opaque in a Society Made Up of Transparent People: the Escape from Totalitarianism in “Invitation to a Beheading”
Focusing on the dystopian novel Priglashenie na kazn’ (“Invitation to a Beheading”) by Vladimir Nabokov, this paper examines the role of self–awareness and consciousness in the context of totalitarianism. Initially serialised in Russian between 1935 and 1936 in the Russian émigré journal “Sovremennye zapiski”, the novel was translated into English by Nabokov’s son, Dmitri, over two decades later, and published again in 1959. Set in a society of “transparent people”, the main character Cincinnatus C. is not allowed to show his real feelings and thoughts. Considered an enemy by society itself, he is sent to a fortress prison and sentenced to death for “gnostical turpitude”. As time goes by, the protagonist becomes increasingly aware of the world in which he is trapped until, at last, Cincinnatus manages to wake up from his numbness and refuses to subject himself to the impending execution. Through this act, he frees himself and dismantles the oppressive society: a clear and simple metaphor for the power of free will, integrity, and consciousness.
Nel 1955 approda nelle librerie statunitensi Lolita, il romanzo che farà di Vladimir Nabokov (1899–1977) uno scrittore famoso in tutto il mondo. Sette anni più tardi, il regista Stanley Kubrick lo rende indimenticabile con l’omonimo film: il pubblico ne rimane moralmente urtato, ma anche affascinato, e il nome dello scrittore è sulla bocca di tutti.
Eppure, Nabokov all’epoca è già un autore affermato, che in realtà non ha bisogno di un successo dovuto a uno scandalo editoriale; alle spalle ha già numerose pubblicazioni – dodici, per la precisione – sia in russo che in inglese, edite in diversi Paesi. La famiglia di Nabokov, infatti, fa parte di quel gruppo piuttosto numeroso degli émigré russi che si oppongono fin da subito alla Rivoluzione del 1917, decidendo di abbandonare la Russia. Si trasferisce inizialmente in Crimea, dove rimane fino alla disfatta dell’Armata Bianca. La meta successiva è la Gran Bretagna, dove lo scrittore, in quel momento diciottenne, completa gli studi linguistici presso il Trinity College di Cambridge. Nel 1922 si trasferisce a Berlino, dove rimane per i successivi quindici anni, prima di rifugiarsi a Parigi. È nella capitale tedesca che Nabokov inizia nel 1926 a scrivere e a pubblicare le sue opere in lingua russa, a cominciare dal romanzo Mašen’ka (1926). In questo primo periodo di produzione letteraria, l’autore è ancora legato ad alcuni temi tipici della letteratura russa, come il grottesco gogoliano e lo sdoppiamento esistenziale di Dostoevskij – tematiche cardine anche di Priglašenie na kazn’ (“Invito a una decapitazione”).
Pubblicato a puntate sulla rivista dell’emigrazione russa “Sovremennye zapiski” (“Note contemporanee”) pubblicata a Parigi tra il 1935 e il 1936, Priglašenie na kazn’ viene successivamente tradotto in inglese dal figlio Dmitri e ripubblicato in volume negli Stati Uniti nel 1959 con il titolo Invitation to a Beheading. Più che di traduzione, tuttavia, bisognerebbe parlare di riscrittura, in quanto Dmitri Nabokov ne mantiene la trama originale ma contribuisce – con la supervisione del padre – a modificare la dimensione stilistica dell’opera.
Priglašenie na kazn’ è un romanzo surreale e distopico che racconta gli ultimi giorni di Cincinnatus C., condannato a morte per il fatto di essere “opaco”. I suoi pensieri, a differenza di quelli delle altre persone, non sono trasparenti, ovvero facilmente decodificabili e controllabili dall’esterno, ma nascosti dalla cosiddetta “turpitudine gnostica”. Non solo il protagonista non dichiara in modo esplicito ciò che pensa e prova, ma provoca anche una sorta di disagio in coloro che lo circondano:
“Era impenetrabile ai raggi altrui e pertanto, quando abbassava la guardia, produceva una strana impressione, come di un solitario, oscuro ostacolo in quel mondo di anime reciprocamente trasparenti; aveva imparato, tuttavia, a fingersi translucido ricorrendo a un sistema complesso di illusioni ottiche, per così dire – ma bastava che si distraesse, che si concedesse una pausa momentanea nel controllo che esercitava su di sé, nella manipolazione delle sfaccettature e degli angoli accortamente illuminati verso cui volgeva la sua anima, perché subito scattasse l’allarme.” (Nabokov 2004: 31)
Nonostante lo sforzo di apparire opaco, di mimetizzarsi in mezzo a coloro che lo circondano, nascondersi rimane un’impresa faticosa e dalla dubbia riuscita. L’“opacità” lo rende un sovversivo, un uomo che non può essere tenuto sotto controllo dal governo; la sua è una colpa molto grave, un vero e proprio reato che gli costerà la vita: “[…] e ancora oggi sento dolere quella parte della memoria in cui è rimasto impresso il momento iniziale di tale sforzo, vale a dire la prima volta in cui ho capito che le cose che mi erano sembrate naturali in realtà erano proibite, impossibili, e che il solo pensarle era un atto criminoso.” (Nabokov 2004: 99)
La combinazione di elementi che caratterizzano l’ambientazione suggerisce una caricatura dei regimi nazisti e sovietici, denunciando in particolare il sistema coercitivo della dittatura staliniana. Nel testo, tuttavia, non ci sono dettagli riconducibili ai due regimi, e lo stesso Nabokov nella prefazione sottolinea:
“Ho scritto la versione russa esattamente un quarto di secolo fa a Berlino all’incirca quindici anni dopo essere fuggito dal regime bolscevico e appena prima che il regime nazista toccasse il suo massimo indice di gradimento. Se il fatto che io consideri entrambi i regimi alla stregua di un’unica farsa ottusa e orrenda possa o meno aver prodotto qualche effetto su questo libro, è una questione che dovrebbe interessare tanto poco l’ottimo lettore quanto poco interessa me.” (Nabokov 2004: 13)
D’altronde, del sistema sociale e politico in cui Cincinnatus si trova non si conosce pressoché nulla: tutto appare indeterminato e sospeso e comprenderne il contesto risulta estremamente difficile, quasi impossibile.
Emblema di questa indeterminatezza è il modo utilizzato dal giudice per annunciare al protagonista la sua condanna a morte: la sentenza gli viene sussurrata, forse nella speranza che l’informazione venga persa o dimenticata. Cincinnatus è l’unico a sentire il verdetto del giudice, ma non è il solo ad esserne a conoscenza. Al contrario, il condannato è paradossalmente colui che sa meno, tanto che non gli è concesso nemmeno conoscere il giorno della propria esecuzione – informazione che gli viene nascosta di proposito, facendolo sprofondare in uno stato di angoscia e continua agonia. Cincinnatus è costretto ad attendere, facendo i conti con il tabù della morte e una crescente ansia esistenziale – tipica, in realtà, di ogni essere umano – che sottolinea la precarietà e l’incertezza della vita, delle relazioni e degli affetti.
Tutto ciò che circonda il prigioniero è ambiguo, sospeso nel tempo e nello spazio, e l’indeterminatezza si alterna alla continua trasformazione di personaggi, luoghi e situazioni. Cincinnatus, in quanto opaco, è incapace di vedere la realtà nello stesso modo in cui la percepiscono i suoi concittadini; al contrario, essa gli appare in tutta la sua assurdità. L’immaginario grottesco e la mancanza di razionalità che permeano l’opera, grazie anche allo stile dell’autore, paradossalmente, contribuiscono a creare un’atmosfera simile a quella onirica, che mette in atto, a sua volta, un insieme di inganni e metamorfosi continue. L’effetto cumulativo di tale indeterminatezza strutturale è proprio l’inconsistenza del mondo immaginario.
L’enorme illusione che intrappola Cincinnatus si spezza nel giorno della sua esecuzione: è proprio nel momento in cui si avvicina al patibolo e si sdraia sul ceppo di sua spontanea volontà – perché la decapitazione deve essere un atto spontaneo, un adempimento collaborativo a cui il condannato deve sottoporsi in modo consapevole – che il protagonista sembra risvegliarsi: “[…] con una chiarezza mai sperimentata prima – all’inizio quasi dolorosa, tanto era improvvisa, ma che poi aveva soffuso di gioia tutto il suo essere –, si chiese: perché sono qui? Perché sto disteso in questo modo?” (Nabokov 2004: 221)
Uscito da quella sorta di trance in cui era rimasto intrappolato fin dall’inizio della sua esistenza – frutto del sistema coercitivo del totalitarismo – Cincinnatus si rifiuta di sottoporsi alla decapitazione, provocando di conseguenza il disfacimento del mondo: il palco, che doveva ospitare l’esecuzione, crolla in una nube di polvere e la piazza stessa, assieme agli edifici e agli alberi che la circondano, si sgretola fino a sparire quasi del tutto. Finalmente libero, Cincinnatus si alza e, sentendo delle voci, s’incammina nella loro direzione, immaginando di dirigersi verso esseri umani a lui simili: evidente metafora di come il libero arbitrio e la coscienza individuale possano distruggere il totalitarismo, se solo ci fosse abbastanza coraggio per mostrare le proprie idee al resto del mondo.
Bibliografia:
Vladimir Nabokov, Margherita Crepax (ed.), Invito a una decapitazione, Milano, Adelphi Edizioni, 2004. Traduzione di Anna Raffetto.
Yelizaveta Goldfarb, “Irony behind the Iron Curtain: internal escape from totalitarianism in Nabokov’s Invitation to a Beheading”, in Yuri Leving (ed.) The Goalkeeper: The Nabokov Almanac, Boston, Academic Studies Press, 2010, pp. 48 – 59.
Leona Toker, “Invitation to a Beheading: Nameless Existence, Intangible Substance”, in Idem, Nabokov: The Mystery of Literary Structures, Ithaca, NY: Cornell University Press, 2016, pp. 123 – 141.
Apparato iconografico:
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