C’erano una volta i funerali sovietici. “L’ultimo spettacolo” di Gian Piero Piretto

Martina Mecco

 

Gian Piero Piretto, con cui più di due anni fa Andergraund Rivista ha avuto il piacere di condividere una serata di confronto sul significato di studiare e insegnare cultura russa, è studioso e traduttore che ha dedicato gran parte dei suoi lavori alla storia della cultura sovietica. Dopo le sue ultime due pubblicazioni, Vagabondare a Berlino Eggs Benedict a Manhattan, Piretto è tornato negli scaffali delle librerie italiane con un nuovo libro edito da Raffaello Cortina, L’ultimo spettacolo. I funerali sovietici che hanno fatto la storia. Il libro ha già incontrato il pubblico italiano anche grazie ai numerosi eventi che hanno visto partecipe Piretto, ospite anche del Polski Kot all’interno della rassegna di novembre e dicembre dedicata alla Russia contemporanea.

Link al libro: https://www.raffaellocortina.it/scheda-libro/gian-piero-piretto/lultimo-spettacolo-9788832855791-4062.html


L’ultimo spettacolo rappresenta il ritorno di Piretto agli studi dedicati all’epoca sovietica. Come spiegato dall’autore in apertura, l’interesse per la tematica della tanatologia trova le sue radici nei corsi di Olga Matich frequentati durante il suo periodo a Berkeley alla fine degli anni Novanta. Per quanto concerne i riferimenti, il libro si basa su numerosi studi realizzati nell’ultimo ventennio da studiose come, per citare due esempi che ricorrono spesso nella trattazione, Dina Chapaeva o Anna Sokolova. L’idea del libro risale invece ai recenti funerali della regina Elisabetta, esempio calzante dell’accessibilità digitale della morte data dall’avvento del dominio mediatico. All’interno della monografia Piretto indaga il rito funebre attraverso una prospettiva interdisciplinare in cui convergono questioni sia culturali che politiche. 

Come ho sempre ripetuto a generazioni di studenti che seguivano i miei corsi di Cultura russa, bisogna ragionare su una realtà specifica (quella sovietica) per conoscerne i particolari, ma con l’attenzione sempre sintonizzata sulla possibilità di identificare in quelle pratiche propagandistiche affinità con situazioni della nostra contemporaneità.” (p. 20)

Ciascun capitolo è, dunque, dedicato a uno o più funerali che, per ragioni diverse, hanno segnato la storia dell’Unione Sovietica. Come nei suoi precedenti libri, fondamentale è il ruolo dato alla dimensione visuale. Difatti, ad accompagnare la ricostruzione dei diversi cordogli sovietici vi è una ricca scelta iconografica che aiuta il lettore a materializzare quanto gli viene somministrato. Inoltre, il ruolo della componente iconografica è parte dell’ossatura dell’argomentazione di Piretto in quanto spesso sono proprio le immagini a fornire nuove vie interpretative.

Ripercorrendo il libro di Piretto, è forse bene distinguere in base al tipo di figura a cui i suoi capitoli sono dedicati. La tipologia a cui afferiscono i poeti è di sicuro quella più importante accanto a quella dei politici. Parlando di poeti, un occhio di riguardo è sicuramente destinato a Vladimir Majakovskij, sebbene non sia il primo a comparire nel libro. Ricorda Boris Pasternak nel suo Salvacondotto: Quando tornai la sera, era già nella bara. I volti che avevano riempito la stanza durante il giorno avevano ceduto il posto ad altri volti. Non c’era rumore. Quasi non si piangeva più.” (p. 162) Nella successiva Autobiografia scritta nei tardi anni Cinquanta, a trent’anni di distanza dal Salvacondotto, Pasternak annunciava la seconda morte di quello che definiva il più geniale poeta della sua epoca: Majakovskij cominciarono a indurlo per forza, come le patate al tempo di Caterina. Questa fu la sua seconda morte. Di questo non ha colpa.” (p. 87) Una colpa, da ricondurre piuttosto agli elogi di Stalin riportati anche da Piretto insieme al comunicato di “Literaturnaja gazeta”. La morte del poeta emblema del Futurismo russo lasciò un segno indelebile, tanto che Roman Jakobson nel 1931 pubblicò il suo famoso saggio-necrologio Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. Non meno significativa fu anche la peculiarità del funerale, implicata sicuramente dalla scelta del ferro: Majakovskij fu seppellito in una bara di ferro ad opera di Anton Lavinskij, trasportato in un blindato di ferro e il nastro di ferro che cingeva la corona recitava “Una ghirlanda di ferro per un poeta di ferro”. Accanto agli aneddoti dei trascorsi tra Lili Brik e Veronika Polonskaja, Piretto evidenzia un aspetto fondamentale dei funerali di Volodja. Essi godettero di quell’impressione grandiosa descritta di Jurij Olëša e, nel contesto sovietic, furono forse gli ultimi di un’era in cui per spontaneità e immediatezza di partecipazione c’era ancora spazio.” (pp. 79-80) Fu proprio Majakovskij a cantare di un altro poeta che se ne era andato / come suol dirsi, / all’altro mondo” dichiarando in chiusura al suo componimento del 1926 che:

“In questa vita
non è difficile morire.

Vivere
è di gran lunga più difficile.” (p. 53)

Sergej Esenin morì il 28 dicembre 1925 e la sua fama divenne di dimensioni incredibili, tanto che Piretto ne paragona la eco a quella che oggi hanno personalità come gli influencer o le rockstar. Tuttavia, se la costruzione di una narrazione di Esenin nelle vesti di poeta nazionale risultava naturale nel primo decennio sovietico, la trattazione del tema del sua suicidio era, invece, tutt’altro che accomodante. Riprendendo gli studi di Svetlana Malyševa, l’autore tematizza la questione del suicidio e ne sottolinea lo slittamento semantico da atto eroico a fenomeno vergognoso. Lo stesso Lunačarskij, tra l’altro, parlava proprio del suicidio di Esenin in termini di un rimprovero alla società sovietica” (p. 71). Di tutt’altri ossequi fu, invece, omaggiato il poeta e romanziere insignito del Nobel Boris Pasternak. Difatti, alla sua morte aveva già da tempo perso il suo status ufficiale. Inoltre, gli effetti della repressione indotta dalla censura staliniana avevano lasciato poco spazio alla celebrazione della morte dell’autore del Doktor Živago tanto celebrato in Occidente. Lo stesso recarsi alla tomba del defunto rappresentava un rischio per gli intellettuali e assumeva il significato di un gesto civico. Non a caso, a pagina 148 l’immagine selezionata da Piretto raffigura proprio Andrej Sinjavskij e Julij Daniel’, simboli della dissidenza negli anni Sessanta, intenti a trasportare la bara fuori dalla dacia del defunto. La riabilitazione del poeta Pasternak sarebbe poi avvenuta, a partire dal 1987, quando venne ripristinata la sua appartenenza agli scrittori dell’URSS (p. 150). Ancor più complessa fu la sepoltura di Anna Achmatova, a causa della sua scomoda posizione dovuta alla condanna che l’aveva vista protagonista nel 1946. Piretto ripercorre le difficoltà della sua sepoltura, che fu presa in carico dall’allora giovane Iosif Brodskij. Vengono anche ricordati i filmati che vennero resi noti prima dai registi Semën Aranovič e Aleksandr Sokurov nel loro film dedicato a Dmitrij Šostakovič e, successivamente, nel 1989 dagli eredi della poetessa. La lunga sfilza di figure poetiche si conclude poi con uno dei protagonisti del fenomeno conosciuto come magnitizdatmuzyka na kostjach, la modalità con cui circolavano i musicisti che non rientravano nel canone socialista: Vladimir Vysockij. La peculiarità dei testi di uno dei cantautori più amati dell’epoca sovietica permette di annoverarlo nelle fila dei poeti già sopra menzionati erede di Majakovskij, di Esenin, anche per vita sregolata che conduceva, l’alcolismo e le droghe, gli amori disordinati e trasgressivi” (p. 177). Morendo di tossicodipendenza durante i Giochi olimpici, Vysockij compiva il suo, scrive Piretto, ennesimo “dispetto” allo stato sovietico. Inoltre, vedendo lo svolgersi delle sue esequie, forse egli stesso avrebbe intonato uno dei versi dalla sua Dai dammi la mia scure di pietra: “vedi, ancora non ti hanno sconfitto”. Difatti, i Giochi furono interrotti e a cantarne la morte fu la grande étoile sovietica Alla Pugačeva.

Алла Пугачева и Владимир Высоцкий: Почему они скрывали свой роман? — Мир новостей

Il quinto capitolo del libro di Piretto porta un titolo che provoca al lettore un effetto simile agli ultimi versi del majakovskiano In morte di Esenin citati pocanzi: “Seppellire è peggio che morire”. Con questa espressione, l’autore apre una riflessione circa la questione dei funerali durante i lunghi anni dell’assedio di Leningrado (8 settembre 1941 – 27 gennaio 1944), durante i quali gli abitanti dell’odierna Piter si ritrovarono a convivere quotidianamente con la morte. A seguito delle condizioni dettate dai drammatici sviluppi bellici, avvenne un cambiamento di paradigma nel percepirla: La contingenza storica imponeva un assoluto cinismo e razionalità.” (p. 97) Ciò implicava di conseguenza una diversa percezione della dimensione corporea, come ben ricordato attraverso la citazione di un passo dalle Memorie di un assedio di Lidija Ginzburg, al quale si potrebbe associare un appunto di Vera Inber del 1° dicembre 1941, in cui il corpo perde ogni qualificazione di genere: Oggi, in via Vul’fova abbiamo visto un cadavere senza bara, avvolto semplicemente in un drappo bianco e adagiato su una slitta. […] Si distingue bene una forma umana, ma è impossibile capire se si tratta di un uomo o di una donna, non è altro che un corpo appartenente alla terra.” (p. 47)

Un’altra tipologia di defunto che riempie gran parte del libro è quella associata all’uomo politico. Non è un caso che il primo capitolo sia dedicato ai funerali di alcune personalità legate biograficamente agli eventi della Rivoluzione: un perfetto preambolo al secondo capitolo in cui vengono trattati i funerali di Lenin. Scriveva Maksim Gor’kij all’inizio del suo Lenin, un uomo: Vladimir Lenin è morto. Persino alcuni di quelli che appartengono alla schiera dei suoi nemici lo ammettono sinceramente: con Lenin il mondo ha perduto l’uomo, ‘che tra tutti i grandi uomini a lui contemporanei ha incarnato più chiaramente in sé la genialità’.” (p. 59) La presenza di un capitolo dedicato interamente a Vladimir Il’ič è giustificata tanto dell’importanza della sua figura e, dunque, delle sue esequie, tanto dal risveglio dell’interesse che nella critica italiana si ha negli ultimi anni per la figura del protagonista dell’Ottobre. A tal proposito, non si possono non citare gli scritti di Guido Carpi, oltre ai due volumi per Stilo che ripercorrono la vita di Lenin sino al 1917 vi è anche un nuovo volume, in uscita per i tipi di Carrocci. D’altro canto, la figura di Lenin in Italia è spesso stata oggetto di mistificazioni che, talvolta, hanno rasentato il kitsch. La scelta di Piretto è quella di mostrare con una prospettiva aneddotica lo svolgersi delle celebrazioni funebri, senza mancare di riferimenti poetici e, soprattutto visuali: primo tra tutti l’intramontabile quadro di Kuz’ma Petrov-Vodkin. Nel capitolo dedicato ai monumentali funerali di stato di Iosif Stalin, lo studioso sceglie di raccontarli facendo ampio riferimento al documentario State Funeral girato dal regista Sergej Loznica e presentato nel 2019 alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia. Un film che, come affermato dal regista, non riguarda tanto il passato quanto invece l’attrazione che queste forma di potere esercitano ancora oggi sulle masse. Difatti, è tema comune quello che analizza l’intensificarsi del voyeurismo funebre, a cui contribuiscono i media. Nell’undicesimo capitolo viene tematizzata, invece, la questione dei funerali dell’ultimo leader sovietico, Michail Gorbačëv. Piretto è ben conscio dell’efficacia della sua scelta, nessun altro personaggio politico esemplificherebbe meglio l’evolversi del rito funebre all’indomani del crollo dell’Unione, difatti colpì il silenzio assoluto, nel senso della mancanza di qualsiasi orazione funebre o discorso commemorativo.” (p. 195) Nel libro questa assenza di commemorazione è inserita in un fenomeno più ampio che corrisponde, in modo diverso dalle modalità che caratterizzarono l’assedio di Leningrado, a una rinnovata perdita del valore della morte. Una perdita di valore controbilanciata in negativo da una rinnovata associazione del concetto di “eroi” ai caduti. Questa respira a pieni polmoni un’ideologia che affonda le sue radici nella guerra patriottica. L’ultimo capitolo è stato aggiunto da Piretto a lavori quasi conclusi. Il 23 agosto Evgenij Prigožin, il capo della Wagner che due mesi prima aveva tentato di marciare coi blindati su Mosca (sull’accaduto si esprimeva in un chiaro articolo Giovanni Savino), muore in un incidente aereo. Sebbene la morte di Prigožin non rientri nel periodo sovietico, inserirlo alla fine del libro offre l’occasione per riflettere su come certe retoriche di epoca sovietica vengano, nell’era putiniana, rispolverate. Piretto mostra chiara coscienza di queste dinamiche già nel penultimo capitolo dedicato alla morte di Gorbačëv. Attualmente, in Russia, si assiste a una allucinazione di recuperare un passato glorioso e roboante attraverso la riapplicazione di modalità e pratiche che altro non sono che spettri passati a cui si cerca di ridare nuovo corpo.” (p. 198)

Il lago dei cigni”, dieci curiosità da conoscere sul celebre balletto - Russia Beyond - Italia

Traendo le conclusioni da questo breve excursus di un libro per sua natura particolarmente denso di informazioni e riferimenti, è giunta l’ora di un bilancio. L’ultimo spettacolo propone un percorso attraverso la storia sovietica da un’angolazione che, per certi versi, non è familiare al pubblico italiano. Tuttavia, la disciplina dei death studies si rivela utile a comprendere l’evolversi delle dinamiche sociopolitiche e culturali che hanno caratterizzato il Novecento e di cui si percepisce una distinta eco anche oggigiorno. Se si segue l’evolversi del rito funebre da Esenin a Vysockij, si possono facilmente dedurre anche altri importanti elementi circa l’evoluzione della figura del poeta nel contesto sovietico e di come essa abbia capitolato la sua iniziale posizione di “simbolo nazionale” sino a divenire “nemico di stato”. Lo stesso si osserva in ambito politico, dove l’enorme distanza tra un Lenin e un Gorbačëv mostra il decadere della figura del leader di stato accompagnata dal progressivo sgretolarsi del gigante sovietico. Tuttavia, come emerge chiaramente nell’argomentazione di Piretto, le note del Lago dei cigni čajkovskiane intonavano piuttosto un arrivederci e non tanto un addio nei confronti di certe retoriche e pratiche. Lo spiega bene un articolo di Larisa Maljukova pubblicato su “Novaja gazeta”. La Russia odierna, tuttavia, non vanta più degli eroi come quelli in epoca sovietica, come il grande assente di questa recensione: Jurij Gagarin, che lasciando la terra un’ultima volta segnò l’appassirsi della “saga dello spazio” di cui era stato protagonista.

 

Bibliografia:

Boris Pasternak, Autobiografia, traduzione di Sergio D’Angelo, Milano, Feltrinelli, 2008.

Boris Pasternak, Il salvacondotto, traduzione di Giovanni Crino, Roma, Editori Riuniti, 1980.

Maksim Gor’kij, Lenin. Un uomo, a cura di Marco Caratozzolo, Palermo, Sellerio, 2018.

Vera Inber, Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio, a cura di Francesca Gori, Milano, Guerini Editore, 2022.

Vladimir Majakovskij, Opere scelte. Poesia, poemi, teatro, a cura di Mario de Micheli, Milano, Feltrinelli, 1967.

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://gdb.rferl.org/6EE16F54-4A2B-4CEB-B0D0-F87E8315E1BB_w1080_r0_s.jpg

Immagine 1: https://mirnov.ru/upload/users/kultur/visoc3.jpg

Immagine 2: https://mf.b37mrtl.ru/rbthmedia/images/2023.03/original/640ae5c857f0cf704a2e6fd7.jpg