Martina Mecco
Roman Ljubyj è nato in una famiglia di artisti a Kyïv e si è formato come regista nella capitale presso l’Università di Cinema e Teatro Karpenko-Karyi. Fondamentale è la sua collaborazione con BABYLON ’13, collettivo ucraino di documentaristi che ha prestato particolare attenzione agli avvenimenti del Majdan. A tal proposito, Ljubyj ha collaborato alla realizzazione del documentario Jevromajdan. Čornovyj montaž (Euromaidan. Rough Cut, 2014) insieme ad altri importanti registi come, ad esempio, Roman Bondarčuk, Volodomyr Tychyj o Katerina Hornostaj. Un altro prodotto simile, che ha visto la partecipazione di Ljubyj, è Sylniše niž zbroja (Stronger Then Arms) – disponibile qui sottotitolato in inglese. Il collettivo è tuttora attivo nella registrazione di filmati che documentano la guerra in Ucraina, alcuni dei quali si possono trovare sul canale YouTube ufficiale. Non è la prima volta che Ljubyj si misura con la questione della guerra, già nel 2020 era stato presentato il suo Zošyt vijny (War Note), documentario realizzato impiegando registrazioni di soldati ucraini girati con l’ausilio di telefonini o GoPro. Lo scopo era quello di “mostrare cosa stava accadendo alle porte dell’Europa” dal punto di vista di coloro che partecipavano in prima persona agli eventi che scuotevano le regioni del Donbas. Zalizni metelyky (Iron Butterflies) ha avuto la sua prima al Sundance Film Festival e, debuttando in Europa alla Berlinale, è giunto anche al Festival di Karlovy Vary. L’ultimo documentario di Ljubyj condivide con Zošyt vijny questo desiderio di mostrare la verità riguardante eventi che hanno interessato il territorio ucraino.
Andergraund Rivista ha intervistato Roman Ljubyj alla Berlinale, per leggere l’intervista clicca qui.
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=SGbWQEgl0us
Il documentario è dedicato a quanto accaduto il 17 luglio 2014 al volo Malesya Airlines (MH17), quando l’aereo venne abbattuto da un missile Buk appartenente alle forze armate russe. All’episodio, che ha smosso parecchio l’opinione pubblica internazionale e ha visto il prolungarsi delle indagini, sono già stati dedicati altri lavori. Ad esempio, il documentario realizzato dalla serie canadese Mayday o il film Kondajk (Klondike, 2022) della regista Maryna Er Gorbač, dove la sceneggiatura ruota appunto intorno alla strage dell’MH17. A tal proposito, in un’intervista rilasciata in occasione del DOK.fest di Monaco, al regista viene domandato il motivo per cui egli abbia deciso di girare un documentario su un evento che si colloca in una fase del conflitto in Ucraina precedente al 24 febbraio. La risposta si basa su due questioni. La prima è di carattere pratico: la produzione del documentario è iniziata prima dell’invasione su larga scala del Paese. La seconda ha a che fare con il significato che Ljubyj associa allo svolgersi degli eventi, sostenendo che la mancanza di un’adeguata punizione dei responsabili (russi) ha mostrato la libertà con cui si possano commettere crimini di guerra. Egli, inoltre, è fermamente convinto della mancanza di un prodotto adeguato a mostrare gli avvenimenti narrati nel suo Zalizni metelyky. Definisce, infatti, i documentari precedentemente realizzati troppo “giornalistici” e non volti a mostrare appieno il punto di vista ucraino.
Il documentario presenta una struttura interessante, nella quale viene ricercata una sintesi tra due stili narrativi apparentemente opposti: quello prettamente “informativo-giornalistico” e un secondo, che si avvale di una forte componente poetica. La demarcazione tra queste due dimensioni viene enfatizzata anche dalla scelta di alternare il bianco e nero al colore. Questa soluzione dona dinamicità alla narrazione e, citando ancora una volta Ljubyj, è possibile concepire Zalizni metelyky in termini di un prodotto cinematografico in cui i singoli capitoli vengono scanditi con l’impiego di questi intermezzi. L’elemento di fiction viene realizzato attraverso, come si diceva, l’uso del bianco e nero e la scelta di cancellare i volti degli attori, spersonalizzandoli nella loro funzione. Inoltre, a contribuire nel donare drammaticità vi è anche il suono (a cura di Andrij Rohačov), spesso infatti vengono inserite note metalliche, suoni stridenti che accompagnano la narrazione creando una dimensione tesa. Ne risulta quindi un tentativo di sperimentare una forma atipica rispetto a quella tradizionale del documentario. Il rischio è forse quello di non incontrare appieno il gusto e la comprensione del pubblico in sala – certi passaggi dalle parti di fiction a quelle documentaristiche vere e proprie risulterebbero, infatti, un po’ confusi e non del tutto definiti senza l’intervento del bianco e nero. Tuttavia, lo stesso regista è cosciente di questo possibile problema di ricezione: nell’intervista in occasione del DOK.fest egli afferma di non essere sicuro di una reazione positiva da parte del pubblico ucraino al DocuDays – il festival cinematografico sui diritti umani in Ucraino, arrivato lo scorso giugno alla sua ventesima edizione.
Per quanto concerne la componente documentaristica, evidente è la tendenza di Ljubyj al collage di video di natura diversa, impiegando sia filmati ufficiali che amatoriali. Un aspetto rilevante e che arricchisce la trasposizione degli eventi è data dalla scelta di coinvolgere anche delle testimonianze date da un abitante dei Paesi Bassi, la cui famiglia è stata coinvolta nel disastro dell’MH17. La componente poetica, invece, si sprigiona sin dalla scelta del titolo. Inizialmente concepito come titolo preliminare, in esso si celano due elementi: la tragicità del massacro (ciò che ha ucciso i passeggeri e il personale di bordo sono state proprio queste schegge a forma di farfalla) e un’immagine poetica particolarmente forte. Un titolo dunque programmatico che presagisce l’intento registico del documentario.
In conclusione, Zalizni metelyky si rivela dunque essere molto interessante da un punto di vista strutturale, portando sul grande schermo questa commistione equilibrata di informazione e drammaticità, in cui il punto di vista del regista si percepisce con chiarezza. Inoltre, l’interesse per il documentario di Ljubyj viene avvalorato anche dal fatto che è giunto nelle sale in un momento al tempo stesso complesso e fruttuoso per la documentaristica ucraina, affiancandosi ad altri prodotti ben recepiti dalla critica come Krycha Pam’jat (Fragile Memory) di Ihor Ivan’ko, premiato con menzione speciale al TSFF, o 20 dniv u Mariupoli (20 Days in Mariupol) del premio Pulitzer Mstyslav Černov, che si è aggiudicato l’Audience Award al Sundance.
Apparato iconografico:
Le immagini sono state prese dal sito del KVIFF o da quello del DocuDays:
https://www.kviff.com/en/programme/film/63/39137-iron-butterflies
https://docudays.ua/2023/movies/docu-ukraina/zalizni-metelyky/