Giulio Scremin
Abstract:
In the octopus’ tentacles. “Bucharest. Dust and Blood” by Margo Rejmer
This paper is a review of the book Bucharest. Dust and Blood (2013) by Margo Rejmer, whose Italian translation by Marco Vanchetti was published by Keller Editore in September 2022. After a brief biographical introduction, an analysis of the form and content of the work follows, with some chosen excerpts from the text. This paper aims to highlight the peculiar nature of this literary reportage, which – according to literary genre hierarchy – is particularly difficult to collocate.
“«Avete un nome speciale con cui chiamate la Casa del Popolo?» chiedo a dei conoscenti. Mi rendo conto però che non capiscono cosa intenda. «Perché a me la Casa del Popolo fa pensare a un grande organismo vivente. Io lo chiamo ‘la piovra’»
«Sì, in effetti sembra una piovra» dicono ridendo.” (pp. 87-88)
Link al libro: https://www.kellereditore.it/prodotto/bucarest-polvere-e-sangue-margo-rejmer/
La Casa del Popolo, la Casa della Repubblica, il Palazzo del Parlamento, la “piovra”. L’edificio più pesante al mondo, un milione di metri cubi di marmo romeno, così tanti che negli anni della sua costruzione si dovette ricorrere ad altri materiali per fare le pietre tombali. Così enorme che, anche sforzandosi, è impossibile non vederla da ogni angolo della città. Ai suoi piedi, tra i suoi tentacoli, si dipana una città multiforme, mutevole, dall’energia selvaggia e incontrollabile, di cui è difficile tracciare i confini. Una città che “è difficile dire se sia una piccola città o un grande villaggio”. Per farle posto, il “faraone” ha raso al suolo interi quartieri storici della città, trasferendone gli abitanti, i “suoi figli”, in anonimi sobborghi di nuova costruzione. Per erigerla sono morti in migliaia e il “faraone” non ha neanche fatto in tempo a vederla completata, perché i suoi sudditi lo hanno eliminato prima, insieme alla “consorte reale”, in un’esplosione popolare violenta e drammatica, della quale in moltissimi portano ancora il trauma.
Nel settembre 2022 Keller Editore pubblica nella traduzione italiana di Marco Vanchetti Bukareszt Kurz i krew (“Bucarest. Polvere e sangue”, 2013), primo reportage letterario di Margo (Małgorzata) Rejmer. Nata a Varsavia nel 1985 e formatasi in Studi Culturali al MISH UW, Rejmer arriva al reportage dopo l’uscita nel 2009 del suo romanzo di esordio Toksymia (“Toximia”, 2019. Traduzione di Francesco Annichiarico), che le vale la nomina al premio letterario Gdynia. Attualmente, è in traduzione sempre per Keller il suo secondo reportage: Błoto słodsze niż miód. Głosy komunistycznej Albanii (“Fango più dolce del miele. Voci dall’Albania comunista”, 2018), sull’Albania di Enver Hoxha.
Rejmer arriva in Romania per la prima volta nel 2009, ma il primissimo contatto “violento” con il paese risale a due anni prima, con la visione del documentario di Florin Iepan e Răzvan Georgescu sui “figli del decreto” Das Experiment 770 – Gebären auf Befehl (“Children of the Decree”, 2005). Il “decreto” è il Decreto 770 del 1967, con cui, nella Romania di Nicolae Ceaușescu, con lo scopo di incrementare il tasso di natalità della repubblica per avere “25 milioni di romeni entro il 2000”, si è reso illegale l’accesso all’aborto e alla contraccezione. È tuttavia dal 2010, scrivendo la sua tesi di dottorato sul cinema romeno, che l’interesse e il fascino per la Romania si accende in Rejmer. Da quel momento in poi visiterà più volte il paese e la sua capitale, raccogliendo il materiale che nel 2013 porterà alla pubblicazione di Bucarest ella forma di reportage letterario, che le varrà il premio Newsweek Teresa Torańska nella categoria non-fiction, e la candidatura al prestigioso premio letterario Nike.
Bucarest è in realtà un’opera che risulta difficile collocare in un genere specifico. In un’intervista rilasciata nel marzo 2014 al portale culturale “culture.pl” l’autrice stessa confessa che non le piace l’idea di definire Bucarest un reportage, né di sentirsi lei stessa scrittrice né tantomeno reporter. Justyna Sobolewska, recensendo il libro per il settimanale “Polityka”, è riuscita a darne forse la definizione migliore: Bucarest è “il ritratto sfaccettato e diversificato di una città, e in realtà anche qualcosa di più: il ritratto di persone immerse nella storia”. In Bucarest, infatti, convive una moltitudine di stili: dall’intervista al racconto storico, dall’epos nazionale dei capitoli sulla Ballata di Mastro Manole e dell’Agnellina fino al capitolo sulla rivoluzione del 1989 (“Rivoluzione? Dramma in cinque atti”), che assume i toni della tragedia greca, con tanto di coro a fare da contorno alle voci dei “romeni stanchi”.
Oltre alla città, o “grande villaggio”, alle “persone immerse nella storia”, sul palcoscenico dell’opera interviene anche la Storia stessa, non semplice fondale di scena ma vera e propria coprotagonista, da cui la scelta di raggruppare i capitoli in tre parti fondamentali, seguendo tre periodi della storia romena. La prima parte, densa, variegata e corposa, prende in esame l’epoca di Ceaușescu, raccontata attraverso le storie dei suoi sudditi: “figli del decreto”, operai del cantiere della Casa del Popolo, persone cadute sotto la scure della Securitate, abitanti più o meno consapevoli di vivere in un regime orwelliano più simile a una monarchia assoluta che a una repubblica popolare. Non è un caso che, quando in un sondaggio è stato chiesto ai romeni di indicare il leader che in assoluto ha fatto più male alla Romania, Ceaușescu si sia stabilmente piazzato al primo posto. Si è piazzato però anche al primo posto nella classifica dei leader che in assoluto hanno fatto più bene al paese. La seconda parte, più breve, quasi a confronto con la narrazione della parte precedente, guarda al periodo tra le due guerre, della “Grande Romania monarchica”, del regno di Carlo II, della sua deposizione a opera del maresciallo Ion Antonescu e della sua fuga. La terza parte, infine, partendo dall’epopea nazionale dell’Agnellina e dalla storia antica dell’identità daco-romana, conclude l’opera con la contemporaneità, “un po’ orientale e un po’ disorientata”. L’epilogo, che nell’intenzione originaria dell’autrice doveva essere riservato alla bellezza di Bucarest, lascia invece il lettore con una sensazione “dolce-amara”, come la torta che il professor Kazimierz Jurczak comprava la domenica per i suoi quando abitava lì.
La somma di queste parti restituisce un libro mai banale: la successione dei singoli capitoli, veri e propri saggi monografici, dà vita a un intreccio di storie che tiene i lettori incollati alle pagine, che alimenta la curiosità e il desiderio di scoprire su quale particolare aspetto si poserà lo sguardo affascinato ed entusiasta dell’autrice. È impossibile non rimanere contagiati dalla passione e dall’amore di Rejmer per questa città e questo paese, dal suo desiderio di comprenderne le sue logiche, incomprensibili agli occhi estranei.
Bibliografia:
Margo Rejmer, Bucarest. Polvere e sangue, Rovereto, Keller editore, 2022.
Sitografia:
Mikołaj Gliński, Małgorzata Rejmer o Rumunii i Albanii, 21/04/2014, https://culture.pl/pl/artykul/malgorzata-rejmer-o-rumunii-i-albanii-rozmowa (ultima consultazione: 09/12/2022).
Justyna Sobolewska, Recenzja książki M. Rejmer, “Bukareszt. Kurz i krew”, in “Polityka”, 1 ottobre 2013, https://www.polityka.pl/tygodnikpolityka/kultura/ksiazki/1556615,1,recenzja-ksiazki-malgorzata-rejmer-bukareszt-kurz-i-krew.read (ultima consultazione: 09/12/2022).
Apparato iconografico:
Immagine 1: Copertina dell’edizione italiana pubblicata da Keller Editore
Immagine 2: La “Casa del Popolo” in costruzione, ritratta da Scott Edelman il 01/05/1986. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Unirii_Boulevard_(1.May_1986).jpg