La geografia dell’identità. “Il lago” di Kapka Kassabova: un crocevia tra storie e Storia

Cristiano Schirano

 

Abstract

The geography of identity. Kapka Kassabova’s “To the Lake”: a crossroads between stories and History

This paper focuses on Kapka Kassabova’s latest book To the Lake (2020). We proceed by discussing the more authentic meaning of the journey for Kassabova, with respect to the experience that made this book possible and to her practice as a writer, according to what she states in the book and in interviews. This is followed by a consideration about what ‘border’ and ‘identity’ mean – about how difficult it is to try to define these two notions, and how the definition contains within itself the idea of something being inside and something being outside –, according to the experiences of the inhabitants of the region, in a place like the Balkans where it was mainly History – wars, patriotism and nationalism – that shaped the current geographical face of the region.

 

“Ragazze e chiunque fra voi non sopporta l’odore dei morti, 
cadete in deliquio alla parola ‘frontiere’: 
esse odorano di cadaveri”
(Velimir Chlebnikov, Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra)

“Si scrive per completare la realtà della nostra unica esistenza.”
(Roberto Pazzi)

A sentire Delphine Horvilleur la scrittura e la creazione non possono essere un tentativo di curare le ansie e le preoccupazioni: non vi riuscirebbero. Al contrario, creare vuol dire convivere col dolore, sapere che ci sono delle cose irreparabili nella nostra esistenza, delle lacerazioni, qualcosa che si è rotto: qualcosa che, essendo impossibile da riparare, ci spinge a comporre. L’ultimo libro (di qui a poco si dovrà dire il penultimo) della scrittrice bulgara Kapka Kassabova, To the Lake. A Balkan Journey of War and Peace (“Il lago. Ritorno nei Balcani in pace e in guerra”, 2020) pone la lettrice e il lettore di fronte a questa sensazione. Di fronte a una mancanza, all’esigenza di voler riparare; alla necessità di dover fare i conti con un passato (proprio e della sua famiglia) che è evidentemente causa del suo presente. Questa stessa condizione, poiché vissuta in prima persona dall’autrice, si rende tanto urgente da sollecitarla a intraprendere un viaggio; con più di uno scopo. È certamente, come già detto, un viaggio alla ricerca del proprio passato, della propria storia (attraverso storie e racconti sulla sua famiglia), dunque di una propria identità. Eppure, nonostante le premesse, non si tratta di una esperienza in cui la ricerca viene investita solo di temi psicoanalitici: non si tratta dell’ennesimo Aracoeli. È qualcosa di decisamente più vasto, qualcosa di esteso. In quali termini?

Esperienza pura: è così che tutto ha inizio. L’autrice ha raccontato, in un dialogo-intervista alla Foundation Jan Michalski, che, per lei, affrontare una ricerca di questo tipo implicafare un’esperienza sensoriale: vivere un posto, così come le persone e gli abitanti primariamente tramite i sensi, e solo dopo cercare di formulare idee a proposito. Senza dimenticare, comunque, il vero punto di partenza: una guida, un’ossessione, una pulsione, qualcosa che sembra urgente non sul piano degli eventi attuali, ma urgente per me. Ella definisce la propria una scrittura esperienziale, che muove sempre dal vissuto. Con Il lago intende giungere a modellare un discorso in cui rende partecipi lettrici e lettori che la ragione del suo essere attuale non può essere ridotta a una questione ‘familiare’, per così dire. Perciò un dialogo interno non è sufficiente, una ricerca nella propria memoria non può giungere a rispondere appieno ai suoi interrogativi. È necessario un viaggio fisico, si fa necessaria l’esperienza diretta dei posti e delle persone che hanno significato qualcosa per chi l’ha preceduta. Il pretesto per questo viaggio è dato, fra l’altro, dal dolore e dal desiderio (c’è una parola bulgara, tăgá, sottolinea l’autrice nel libro – p. 31 –, per esprimere entrambi gli stati d’animo; e ciò basterebbe quasi a provare la tesi di Horvilleur) di fare i conti con le donne che l’hanno preceduta nella sua famiglia, col proprio passato, dunque, in qualche modo, con la propria identità. Con sua nonna macedone, come ama definirla da principio, soprattutto. Extensions, estensioni – è una parola che ritorna frequentemente, e che Kassabova rivolge alla propria madre, che vede come un’estensione di sua madre; e contemporaneamente alla stessa nonna, cui guarda come a un’estensione del Lago, il lago Ocrida, protagonista insieme al lago Prespa di quest’avventura. Anastassia, questo il nome della nonna, sembrava incarnarli, quei laghi; sembrava incarnare qualcosa, qualcosa di più grande di lei. Avevo questa sensazione [da bambina], da prima di sapere di cosa si trattasse, dichiara ancora l’autrice nella medesima intervista. Il che l’ha spinta a chiedersi, quindi a concludere:

In qualche modo era approdata qui (in città, dove si sentiva incompleta), anche se parlava spesso di laggiù (sull’acqua, che invece la completava), il luogo in cui era rimasta la sua famiglia e parlavano in maniera leggermente diversa, come se masticassero un vecchio dialetto, anche se sembravano uguali a noi. Ma c’era un confine rigido a dividerci […] Dentro di lei, da qualche parte, c’era un abisso che non si poteva colmare. Sembrava che avesse origine in Macedonia e al lago. Era come se lei fosse più di una persona, un’intera nazione di anime […].” (pp. 31-38)

La questione inizia qui a intrecciarsi con quella parolina che ritorna, ormai familiare all’autrice, divenuta un po’ il simbolo della sua poetica (non solo) per aver dato il titolo al libro che l’ha consacrata al grande pubblico. Se è vero, come ammoniva appena trent’anni fa in una fortunatissima seconda serata televisiva un altrettanto fortunatissimo protagonista del nostro teatro, che il linguaggio crea dei guasti ed è fatto solo di buchi neri, si può spiegare perché alcune parole del lessico comune, familiare, di un vocabolario che possediamo tanto da impiegarlo a nostro piacimento senza troppi dubbi o timori, ci appaiano, al momento di doverne dare una definizione esatta, a noi parzialmente estranee. Da cosa nasce l’urgenza di definire? Da un’esigenza di ordine propria di ciascun essere umano. La de-finizione contiene già in sé l’idea di delimitazione, di voler porre qualcosa dentro e qualcosa fuori. Oggi, confine è forse una di quelle parole che fa emergere interrogativi di una certa portata e richiede una particolarissima attenzione e sensibilità – i tratti distintivi di una poetessa, senza dubbio –, se opportunamente messa in relazione coi problemi del nostro tempo e di alcuni specifici luoghi del nostro mondo, che più di altri sentono opprimente non già la parola in sé ma ciò che essa designa e che tanto difficilmente riescono a definire. La definizione, qui, va infatti oltre l’indicazione semantica. Di qui la domanda, provocatoria magari, che apre il precedente libro di Kassabova, Border. A Journey to the Edge of Europe (“Confine. Viaggio al termine dell’Europa”, 2017), che dà inizio al viaggio e alla riflessione che accompagnerà lettrici e lettori per tutto il libro (e magari, anche quelli che seguiranno):

Che cos’è un confine, quando le definizioni del dizionario non riescono a spiegarlo? E’ qualcosa che ci si porta dentro senza saperlo, finché non si arriva in un posto come questo. E poi ci si tuffa nell’abisso, una parte del quale è esposta al sole mentre l’altra è immersa nell’ombra, l’eco moltiplica i desideri, distorce la voce e la porta lontano, in un territorio remoto, in cui forse, tempo fa, siamo stati” (p. 4).

Il viaggio, l’esperienza, il contatto con i posti e le persone, da parte loro, spingono Kassabova verso la naturale complicazione dell’idea che conservava, sin da bambina, rispetto al Lago, alle persone che lo abitano, a sua nonna. Il Lago non è uno, bensì due. E i due laghi non si estendevano nei confini territoriali del solo paese della quale ella credeva che il lago facesse parte esclusivamente, la Macedonia: attraversa, invece, i confini di tre nazioni indipendenti (la prima, insieme all’Albania e alla Grecia). Anche i confini terrestri sono cambiati: per centinaia – anche migliaia – di anni, con l’ascesa e il declino di varî imperi e culture succedutesi nel corso della storia. Le culture romana, greca, ottomana e quella sovietica, infine, che, nella regione, hanno lasciato impronte indelebili. La stessa città di Ocrida, oggi nella Macedonia Settentrionale, è stata rivendicata nel tempo dai bizantini, dai serbi, dai bulgari, dai greci, dagli ottomani. La regione, le persone che l’abitano sentono sulla loro pelle il marchio dei conflitti imposti dai nazionalismi e dalle ideologie autoritarie. Tutto passa, solo i laghi sembrano essere fuori dal tempo: sono sempre stati lì, hanno assistito a tutto questo, secolo dopo secolo, e saranno lì anche quando non ci saremo più. Come uno stregone pronto a dispensare sortilegi e magie agli abitanti e ai visitatori, a cui Kassabova si approccia come fossesulla terra uno di quei posti ad avere una lingua propria; sono dei posti, in questo senso, molto potenti. Sono l’occhio della terra, come recitano le parole di Henry David Thoreau, poste in esergo al libro, a guardare nel quale l’osservatore misura la profondità della propria natura. Il lago è demiurgo del legame così intimo, esclusivo che l’autrice riesce a ri-stabilire col luogo e che le dà la possibilità di interfacciarsi e sintonizzarsi senza troppe difficoltà alle persone che lo abitano e che incontra, e che le riservano alcune sorprese e anche un certo stupore. Come quando (piuttosto frequentemente!) le rivolgono la domanda “Di chi sei figlia?” – traducendo dall’inglese alla lettera sarebbe più “A chi appartieni?”: Il cognome svelava le tue origini. Lo snobismo sarà l’ultima cosa a scomparire, qui.” (p. 82)

La complicata etnogenesi di tutti gli stati-nazione balcanici, grandi o piccoli che fossero, si rispecchiava per certi versi in un processo simile in corso nei paesi vicini […]; tutto qui era così intrecciato e al tempo stesso contraddittorio che finiva per girarmi la testa quando tentavo di seguire i diversi fili prima che si aggrovigliassero inestricabilmente e si riducessero a un’infervorata lotta per il potere che finiva in catastrofe. (p. 100)

Kassabova fabbrica un intreccio equilibratissimo tra riflessioni, momenti ironici alternati a momenti di storia e cronaca all’interno di pagine di straordinario lirismo per illustrare, attraverso un arsenale di racconti e immagini (forniti da un ampio ventaglio di personaggi), quella proiezione, quella estensione della sua storia familiare – fatta d’amore ma anche di conflitti, di incomprensioni e di sensi di colpa – nella stessa frammentata storia della regione del Lago. Così arriva ad accarezzare l’idea della “tirannia dell’identità”, che in qualche modo parte proprio dalla domanda Whose are you?

Il Lago Ocrida

Riprendendo un saggio dell’antropologa Katherine Verdery, Piero Vereni afferma in un suo libro che:

“[…] il concetto di ‘identità’ è la conseguenza e non la premessa di quel complesso fenomeno storico che si conviene chiamare ‘nazionalismo’. […] Verdery insiste sulle sue valenze politiche e storiche, segnatamente nella configurazione delle identità collettive dei gruppi nazionali. Se è stato il processo di omogeneizzazione nazionale a rendere possibile la sedimentazione di un concetto di ‘identità’ politica collettiva che travalichi qualunque comunità ‘reale’ per costituirsi in comunità ‘immaginata’, ne consegue che qualunque identità politica collettiva di questo genere, slegata cioè dall’effettiva mutua conoscenza dei suoi membri attraverso la condivisione di spazi e pratiche ben delimitati, dev’essere posteriore alla diffusione delle pratiche uniformanti del processo di nation building.” (p. 196)

Per la parola identità vale lo stesso discorso della parola confine: una parola comune, oggi politicizzata, ma che contiene esperienze umane piene di paradossi. In teoria, l’identità dovrebbe essere qualcosa di immutabile, stabile, ma in realtà è in continua evoluzione e molto dipendente dal contesto. Tutti portiamo dentro qualcosa che non cambia ma che si modifica con l’ambiente in cui viviamo, ha dichiarato Kassabova al “Courrier des Balkans” all’uscita di Border. Ed è forse la versione più altisonante dell’idea di Danny, uno dei personaggi incontrati da Kassabova lungo il viaggio:Mi fido della natura, della storia invece mica tanto. Si modifica in continuazione. Anche se è già passata. In soli cinque anni, con un cambio di governo, la storia si ribalta […].” (p. 376) Conoscere sé stessi, de-finire la propria identità: volersi rimettere alla Storia, agli eventi, per scoprirlo, vorrebbe forse dire scendere a compromessi e magari non saperlo mai dire con esattezza. Vereni, nel suo saggio, invitava anche a riflettere sul fatto che: “[d]i fronte alla forza uniformante della nazione, il racconto dei singoli avrebbe svelato la falsità della naturalità del confine (p. 156, enfasi dell’autore). La domanda che spinge lettrici e lettori a seguire Kassabova nel viaggio di To the Lake “ […] che cos’è la Macedonia? Una domanda che in realtà significa: che cos’è una nazione, che cos’è la geografia? E che a sua volta ne implica un’altra: che cos’è la storia? (p. 60) – trova riscontro nel vissuto dei personaggi che incontra e che racconta. Ma se, per lettrici e lettori (specie occidentali), questa può rappresentare una banale curiosità, una riflessione destinata a rimanere qualcosa di etereo – sebbene il racconto non lasci affatto indifferenti! –, per altre e altri – come Kapka, come Danny – tutto ciò rappresenta il quotidiano, un presente modellato dal (e sul) passato, una geografia modellata dalla storia – e viceversa –, una geografia legata all’identità che va oltre i luoghi fisici in cui si vive – l’autrice non vive nei Balcani ma in Scozia e scrive in inglese benché di madrelingua bulgara–. E non può che essere potente tanto quanto il richiamo dei laghi, quanto i laghi stessi, potenti forse perché si alimentano delle anime della gente del posto – quasi letteralmente. L’Ocrida, infatti, è un punto di raccolta” (p. 20) di tutte le anime dei morti, che al Lago ritornano e con esso diventano un tutt’uno.

L’isoletta di Mali Grad sul Lago Prespa

E tutto ritorna a essere uno alla fine del viaggio, quando è trascorso il tempo per meditare e mediare; e l’esperienza si traduce finalmente in parole. L’autrice intitola il libro parlando al singolare: se vogliamo, è qualcosa che rievoca la sua infanzia – durante la quale è cominciato il viaggio più importante della sua vita, il momento in cui comincia un grande viaggio per tutti noi –, il periodo innocente in cui aveva una visione distorta del Lago che credeva essere soltanto uno – e non due laghi gemelli, che si alimentano attraverso corsi d’acqua sotterranei –. Qui diventano uno; Kassabova, da espatriata, ritorna a essere uno con la sua famiglia e coi Balcani immergendosi nel mosaico di geografia, storia e umanità, da lei raccolto e realizzato, teso a mostrare che la straordinaria polifonia di questa regione è ciò che la rende unica: I Balcani, siamo proprio noi”.

 

Bibliografia:

Kapka Kassabova, Il lago. Ritorno nei Balcani in pace e in guerra, Milano, Crocetti, 2022.

Ead., Confine. Viaggio al termine dell’Europa, Torino, EDT, 2019.

Piero Vereni, Vite di confine. Etnicità e nazionalismo nella Macedonia occidentale greca, Roma, Meltemi, 2004.

Sitografia:

Al seguente link è disponibile il blog curato da Kapka Kassabova: https://kapkakassabovacom.wordpress.com/.

Laurent Geslin, Bulgaria: Kapka Kassabova, narratrice d’identità molteplici, https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bulgaria/Bulgaria-Kapka-Kassabova-narratrice-d-identita-molteplici-199593 (ultima consultazione: 18/12/2022).

Materiali audiovisivi:

L’intervento di Delphine Horvilleur è tratto dall’emissione del 5/10/2022 di La Grande Librairie trasmessa dal canale France 5, in cui l’autrice ha presentato il suo Vivre avec nos morts. Petit traité de consolation (Paris, Grasset, 2021).

Gli interventi di Kapka Kassabova, quando non è espressamente citata una fonte scritta, sono tratti dall’incontro tenuto, insieme a Georgi Gospodinov, dal titolo Allure and Danger of Memories: Considering the past (Foundation Jan Michalski, 14/05/2022): https://www.youtube.com/watch?v=KtkqpvbdR4g&t=1997s.it  (ultima consultazione: 14/11/2022).

L’intervento di Carmelo Bene è tratto dall’emissione del 27/06/1994 del Maurizio Costanzo Show trasmessa da Canale 5.

Apparato iconografico:

Immagine 1: https://kapkakassabovacom.wordpress.com/

Immagine 2: Copertina del libro Il lago. Ritorno nei Balcani in pace e in guerra.

Immagine 3: https://siviaggia.it/idee-di-viaggio/video/misteri-lago-di-ocrida-perla-dei-balcani/280877/.it

Immagine 4: https://www.montagnando.it/art/cdz/Prespa/