Alla ricerca di Kornél Esti, la figura più eccentrica di Kosztolányi

Marianna Kovacs

Abstract

Searching of Kornél Esti, Kosztolányi’s most eccentric figure

The purpose of this article is the analysis of the concept of physical and metaphorical journey in Kosztolányi’s work.  The Kornél Esti novels are loosely connected and can also be read individually. What holds them together is the character of Esti. In my analysis I describe the figure of the protagonist who can be interpreted as the writer’s alter ego. Then I analyze the part that best represents the ancient topos of travel. The last chapter of the “Kornél Esti” cycle tells of a tram journey which allegorically depicts the path of human life. The final destination here stands for death, but the intention of the main character was not to reach it. If the journey is life itself, then the original purpose was to arrive at the meaning of life. The central problem of the story is not death itself, but the approach to it. Life can be authentic only if one lives consciously, bearing in mind that the end will still be death.

 

Dezső Kosztolányi (1885-1936) è stato uno scrittore, poeta, traduttore, novellista e giornalista ungherese attivo tra le due guerre del Novecento. Apprezzato da Thomas Mann e ritenuto un maestro assoluto dell’arte della prosa breve da Milan Kundera e Danilo Kiš, Kosztolányi oggi è considerato una delle figure di spicco del romanzo e della lirica ungherese del Ventesimo secolo.

Lo scrittore Péter Esterházy presenta Kosztolányi ai lettori italiani con le seguenti parole:

Il lettore italiano ha conosciuto Sándor Márai e solo ora Kosztolányi; a noi ungheresi, invece, è accaduto esattamente l’inverso: è dall’angolazione di Kosztolányi che guardiamo alla letteratura ungherese del XX secolo. Tutti stanno un po’ nella sua ombra, e anche quelli che non ci stanno vorrebbero forse starci.”  (p. 249)

Le avventure di Kornél Esti vengono scritte tra gli anni Venti e Trenta e sono raccolte in volume per la prima volta nel 1933. L’identità del protagonista viene svelata subito nel primo capitolo del libro. In lui è possibile intravedere l’alter ego di Kosztolányi che incarna i desideri repressi dello scrittore. La loro amicizia risale alla giovinezza, quando erano opposti inseparabili. Kornél Esti ha un carattere particolarmente complesso, misterioso ed enigmatico. È comico, lascivo, squallido, squilibrato, ma in lui si nascondono anche i più nobili sentimenti umani. Può fare del male a chiunque per scherzo, ma allo stesso tempo ha compassione per coloro che soffrono e viene sempre in loro aiuto nei momenti di difficoltà.

Quindi Kornél Esti è parte di Kosztolányi, ma non è identico a lui. Lo scrittore sperimenta le tendenze ribelli e anarchiche che l’uomo Kosztolányi ha dovuto sopprimere a causa della vita borghese e dei costumi sociali. È l’altro sé dello scrittore, il bambino nell’adulto. La metà soppressa dell’io di Kosztolányi annientata dai vari ruoli che gli venivano imposti, una vita sobria, logica e decorosa e che riscattava avvicinandosi alla morte. Ma che Esti faccia parte integrante dello scrittore, ce lo dice lui stesso:

Andavamo a spasso con le braccia l’uno intorno al collo dell’altro. In una di queste nostre animose passeggiate scoprimmo che eravamo nati entrambi lo stesso giorno dello stesso anno, anzi, alla stessa ora e allo stesso minuto: il 29 marzo 1885, domenica delle palme, alle sei del mattino in punto.” (p. 17)

Si potrebbe anche pensare che Esti non sia semplicemente un doppio di Kosztolányi, ma una figura molto più ricca e completa dello scrittore reale. Pertanto, Kosztolányi non ha inserito se stesso nel personaggio di Kornél Esti, ma si è moltiplicato con l’obiettivo di creare attraverso la finzione le caratteristiche mancanti dal suo vero io presentandole come delle peculiarità di Esti.

Io sono la lealtà fatta persona. Tu accanto a me sii il tradimento, la divagazione, l’irresponsabilità. Mettiamoci in società. Che cosa vale il poeta senza la persona? E che cosa vale la persona senza il poeta? Diventiamo coautori.” (p. 23)

I racconti non sono uniformi né per forma né per valore artistico. Ce ne sono alcuni in cui Esti non appare nemmeno, ma riporta per esempio solo una storia interessante del locale che frequenta abitualmente. I racconti sono vagamente collegati e possono essere letti anche singolarmente. Il collante è rappresentato solo dal personaggio di Esti che comunque non è così costante o in evoluzione come l’eroe di un romanzo realista.

La particolarità dei racconti, quindi, consiste nella presenza di due narratori. Kornél Esti è colui che porta le storie, che ha vissuto gli eventi, che è vivo, e l’altro narratore senza nome è colui che scrive e interpreta le esperienze di Esti. Questa posizione di base crea un mondo testuale a più livelli che può sembrare contraddittorio. Esti chiede all’autore principale di rendere il loro lavoro congiunto un diario di viaggio, una biografia e un romanzo allo stesso tempo. Il carattere lacunoso e la tecnica della ripetizione della prosa, nonchè la frammentazione del tempo delle storie, creano una sensazione di mosaicismo. Kornél Esti applica consapevolmente questo metodo nel primo capitolo, quando dice che tutto dovrebbe rimanere in frammenti.

Un diario di viaggio nel quale racconterò i luoghi che avrei voluto vedere, una biografia romanzata in cui renderò conto anche di quante volte l’eroe sia morto in sogno. Ma su una cosa non transigo: non lo infarcire di favole sceme di ogni sorta. Che resti tutto così, come s’addice a un poeta: frammenti.” (p. 25)

Quanto all’oggetto dell’opera, Kosztolányi fa rivivere un topos antico: il topos del viaggio in terra straniera. Oltre alla figura del protagonista, i racconti di Esti sono tenuti insieme da questa caratteristica. Durante i suoi viaggi, reali o fittizzi, Kornél Esti incontra destini e contesti particolari, il tutto presentato attra verso l’esperienza dell’uomo del Novecento.

La maggior parte delle situazioni ha un significato simbolico, va oltre se stessa. Può essere interpretato sia nel suo significato primario che metaforicamente. Si percepisce che queste situazioni sono in ogni caso le situazioni del percorso di vita di una persona.

Kosztolányi presenta il mondo e l’esistenza stessa in modo giocoso, ironico, esagerato e da un punto di vista singolare. Kornél Esti gli ha dato l’opportunità di affrontare liberamente i tabù e di deridere i propri e altrui principi morali.

“[…]  fu lui che mi fece amare gli animali muti e la muta solitudine, lui mi consolò quella volta che soffocavo tra le lacrime di fronte al feretro e sempre lui mi fece il solletico ai fianchi, facendomi scoppiare in una risata sulla sciocca incomprensibilità del trapassare, fu lui che sostituò di frodo ai miei sentimenti lo scherno, alla mia disperazione la ribellione, lui mi consigliò di schierarmi dalla parte di quanti vengono disprezzati, incarcerati e impiccati dalla moltitudine, lui mi confermò che la morte è per sempre, e lui volle farmi credere anche a quella dannata menzogna, alla quale mi opposi con le unghie e coi denti, ovvero che Dio non esiste.” (pp. 15-16)

L’ultimo capitolo del ciclo “Kornél Esti” racconta di un viaggio in tram che rappresenta allegoricamente il percorso della vita umana. Il viaggio finisce con la morte metaforica di Kornél Esti. Il racconto è una parabola, un bilancio della vita. Si differenzia dal solito tono allegro, affascinante e umoristico degli altri racconti di Esti.

Mi colavano le lacrime, come se avessi pianto, o se si fosse sciolta in me la vita che non si era ancora ghiacciata a  formare un mucchio di neve. Tutt’intorno sbadigliavano vicoli neri.”  (p. 241)

Il “cammino della vita” di Esti comincia quando sale sul vagone del tram che è gremito di gente, e per lui all’inizio non c’è proprio posto. Prende avvio una lotta all’ultimo sangue per la sopravvivenza e, successivamente, per proseguire all’interno del tram. Passo dopo passo riesce ad avanzare finché non trova finalmente un posto a sedere. Nel tram, dove tutti sono suoi nemici, la costante interferenza è un’allegoria dell’affermazione sulla scala sociale e del successo.

Ma una sofferenza ancor più grande del pericolo era causata dalla consapevolezza che i miei compagni di viaggio mi detestavano, dal primo all’ultimo. In alto, sul vestibolo del tram, sghignazzavano di  me, in basso invece, sul predellino, quelli a cui il destino mi aveva saldato avrebbero evidentemente accolto con un sospiro di sollievo l’eventualità che precipitassi e mi rompessi l’osso del collo, se a quel prezzo si fossero liberati di un peso.” (p. 242)

Durante l’intero viaggio, il protagonista incontra un solo vero valore: l’amore. Tuttavia, anche questo valore non è duraturo, è evanescente e a causa della costrizione per affermarsi nella società le loro vie si separano ed Esti viene strappato per sempre dalla donna dagli occhi azzurri.

Ma a quel punto intravvidi una donna. Se ne stava in piedi in un angolo scuro, appoggiata alla parete, con indosso un abito liso e una stola di lepre. […] Aveva un volto semplice, mite, la fronte libera, gli occhi azzurri. […] Lasciava che la guardassi, e io la guardavo negli occhi azzurri come fanno i malati con le lampade elettriche azzurre che si accendono di notte nelle corsie d’ospedale perchè le persone sofferenti non si sentano del tutto sole.” (p. 244)

Il “grasso controllore autorevole” come “grande quantità di zucchero” rappresenta pienamente la natura allegorica di questo capitolo del volume e, per quanto lontano dalla realtà, lascia emergere forme più selvagge di rappresentazione umana, per così dire, invece della tradizionale immagine dell’uomo.

S’inerpicò sul tram un autorevole e grasso controllore, i cui cento chili quasi fecero traboccare la vettura affollata, come una tazzina di caffè colma fino all’orlo in cui si fosse versata poi una gran quantità di zucchero.” (p. 243)

Attraverso le forme metaforiche si passa gradualmente dall’uomo all’animale e poi all’oggetto, alla forma oggettivata dell’uomo, al corpo umano proprio come si percepisce nelle svolte legate al mucchio di passeggeri ammassati nello spazio del tram. Tutto ciò agli occhi dei lettori di oggi si trasformerà inevitabilmente in un inquietante presagio della più efferata nefandezza umana del Novecento: Appena il controllore s’intrufolò all’interno della vettura scavandosi un tunnel tra i corpi vivaci, una turbolenta onda umana trascinò all’interno anche me […]. Alla vista di quell’immane calca di bestie, puzzolente e ammassata, privata di ogni dignità umana […] mi veniva il voltastomaco […] i musi animaleschi e l’aria pestifera […]” (pp. 243-244)

Il finale può essere interpretato in diversi modi e suggerisce sentimenti ambivalenti da parte del narratore. Come quando finalmente Kornél si siede su un sedile, guarda fuori dal finestrino ghiacciato e afferma: “[…] ma vidi solamente lampioni, neve sporca, portoni chiusi, scuri e austeri” (p. 245).

Non molto tempo dopo si consola pensando di aver ottenuto tutto ciò che si poteva in un simile viaggio in tram” (p. 245). Tuttavia, non ha tempo per riposare e godersi il suo trionfo, perché è stata raggiunta la destinazione finale. Il protagonista accoglie con un sorriso l’annuncio del bigliettaio: se l’era già aspettato.

Allora mi prese il desiderio di godermi il mio trionfo. Volevo giusto allungare le gambe indolenzite, per riposare e ansimare, per tirare finalmente il fiato, libero e felice, quando il bigliettaio s’avvicinò al mio finestrino, girò il cartello che indicava la tratta e gridò «Capolinea».” (p. 245)

Kosztolányi si identifica con colui che fa i conti con la propria vita, che valuta se la lotta e lo sforzo valgono questo risultato. Da un lato no, perché tutto ciò che si sperimenta nella vita non é altro che delusione, perdita di ideali, dolore. Eppure, secondo Kosztolányi, la nostra esistenza non sarà completa nemmeno se sperimentiamo il contrario poiché il nostro destino non è il risultato di una nostra scelta, ma piuttosto perché la realizzazione della nostra esistenza viene fatta oggetto di un esame spirituale ed etico maggiore della mera esperienza.

Non viene scombussolato solo Esti, ma anche il lettore quando sente il bigliettaio pronunciare la parola “Capolinea” perchè si rende conto che l’interpretazione secondo la quale il viaggio in tram corrisponde al processo di socializzazione, alla carriera e alla vita umana, non risponde alla domanda più importante, cioè quale avrebbe dovuto essere la destinazione del viaggio. Dove voleva andare Esti?

La destinazione finale qui significa morte, ma l’obiettivo del protagonista non era quello di raggiungere la meta. Se il viaggio è la vita stessa, allora lo scopo originario del viaggio era arrivare al significato dell’esistenza. Quindi Kornél Esti stava cercando il significato della vita, e durante questo  processo è giunta la morte. Perché c’è sempre la morte alla fine della strada, e ogni strada ha una destinazione finale.

La questione centrale del racconto non è la morte in sé, ma l’approccio alla morte. La vita può essere autentica solo se vissuta consapevolmente, tenendo presente che la fine sarà comunque la morte. La lotta che si svolge nel tram significa vivere una vita non autentica, in cui la lotta per una posizione sociale distoglie l’attenzione da ciò che è veramente importante. Quando la lotta è finita e avrebbe potuto godersi la vittoria, cioè il successo, muore, senza aver trovato il senso della vita. Forse quando sorride alla fine dell’opera, è di questo che si rende conto.

Non è possibile comprendere Kornél Esti fino in fondo. Lo si è visto da destra, lo si è visto da sinistra e sembra di conoscerlo. Ma non ha solo due lati, è come un diamante poligonale dalle innumerevoli sfaccettature. Sono state scoperte la sua faccia allegra e la sua faccia seria, ma le sfumature che stanno nel mezzo sono infinite. Lo si è conosciuto a fondo, quindi ora è più sconosciuto che mai. Ha svelato tutti i suoi segreti, ma tutti i segreti svelati aprono a un mistero irrisolvibile. Kosztolányi ha creato, o forse “solo” immortalato, una figura che non ha bisogno di nascondersi in stracci stravaganti per suscitare interesse verso la sua persona. Kornel Esti è la vita stessa. Appena si cerca di inquadrarlo, ecco che mostra qualcosa di insolito. Quando si ripete, un granello di polvere entra nel meccanismo e ne esce qualcosa mai visto prima: qualcosa di emozionante, di eccezionale. Qualcosa che non stanca mai.

 

Bibliografia:

Dezső Kosztolányi, Kornél Esti, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2012.

Dezső Kosztolányi, Le mirabolanti avventure di Kornél, Roma, Edizioni E/O, 1990.

Sándor Bazsányi, „Ez tréfa?” Kosztolányi Dezső Esti Kornéljáról, Pozsony, Kalligram, 2015.

Sitografia:

https://kosztolanyioldal.hu/tanulmanyok (ultima consultazione: 20/01/2023)

https://mek.oszk.hu/00700/00744/00744.htm (ultima consultazione: 20/01/2023)

https://www.jelenkor.net/archivum/cikk/2600/a-toredekesseg-mufajkepzo-ereje (ultima consultazione: 20/01/2023)

 

Apparato iconografico:

Immagine di copertina: https://www.irodalmijelen.hu/2022-feb-01-1656/szikrarajzok

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