Laura Cogo
Abstract
Afanasy Nikitin: a spiritual and physical journey beyond three seas
The aim of this paper consists in the analysis of Journey Beyond the Three Seas. Sometimes unfairly ignored by critics, this text written by the merchant Afanasy Nikitin not only provides the readers with a vivid image of the XIV century Rus’, but it stands among other literary pieces as one of the first examples of individualistic yet not programmatic text. Journey Beyond the Three Seas is a spontaneous collection of Nikitin’s thoughts and notes taken during his business travel to the Middle and Far East between 1466 and 1472. Afanasij describes the most unique and unusual tribes he meets between the three Seas: the Caspian, the Black and the Arabian Sea. He visits Persia and Indian cities, such as Parvat and Bidar, where he encounters different religions from his own. Above all, throughout his journey Nikitin loses his way both in a physical and spiritual sense: despite being an Orthodox Russian man, he is struck by these different yet fascinating mindsets. Journey Beyond the Three Seas is a spiritual and physical travel to remote and inspiring places through Nikitin’s curious eyes.
Nell’annoverare i più grandi esploratori della storia si potrebbe pensare a Cristoforo Colombo, famoso per la scoperta del continente americano, o a Vasco da Gama, che nel 1497 ha sfidato il deserto d’acqua dell’Oceano Pacifico, e ha infine messo piede in India. Facendo un passo indietro lungo la linea della storia, la mente potrebbe rivolgersi anche a Marco Polo, che nel 1271 si è incamminato da Venezia lungo la Via della Seta per finire in Cina. Nell’elencare i più grandi esploratori della storia, è però possibile che non si pensi ad Afanasij Nikitin.
Afanasij Nikitin è un mercante. Nasce e cresce a Tver’, e vive durante la prima metà del XV secolo in un principato che di lì a poco tempo, nel 1484, sarebbe stato annesso a quello di Mosca. Come ogni mercante, Nikitin ha come unico scopo quello di arricchirsi. Per questo motivo, nel 1466 parte di sua iniziativa per l’Estremo Oriente con l’obiettivo di farsi rappresentante commerciale della sua Rus’.
Dopo aver ottenuto il benestare degli ufficiali e la benedizione dell’arcivescovo locale, Nikitin si imbarca lungo il Volga in direzione Caucaso. Fin da subito, Afanasij annota tutto quello che succede sul suo taccuino, un diario di bordo nato per esigenze personali destinato poi a diventare una delle più rilevanti e moderne cronache di viaggio: Choždenie za tri morja (“Viaggio in tre mari”). Come ricorda anche Dmitrij Lichačëv nel saggio Choždenie za tri morja contenuto in Storia della letteratura russa dei secoli XI-XVII, con il termine choždenija ci si riferisce storicamente alle descrizioni di viaggio dei pellegrini in Terra Santa, formula narrativa già molto diffusa a partire dal XII secolo. A suo modo, quello di Nikitin sarà un pellegrinaggio, seppur non convenzionale. L’opera è infatti priva degli aspetti tradizionali tipici della letteratura ecclesiastica e laica ufficiale. Al di là di alcuni particolari, come la descrizione di luoghi geografici e delle distanze fra loro, Viaggio in tre mari viene definito una cronaca di viaggio dove l’autore annota le sue avventure.
Il titolo stesso suggerisce fin da subito che quello di Nikitin sarà un viaggio impervio e di lunga durata, attraverso tre mari: il Mar Caspio, il Mar Nero e il “mare” Indiano. La rotta di Afanasij Nikitin è infatti costellata di disavventure. Poco dopo la loro partenza, in seguito a un naufragio Nikitin e i suoi compagni vengono derubati e fatti prigionieri per mano dei Tatari nei pressi di Astrachan’. I Tatari non sottraggono loro soltanto il denaro, ma anche i loro effetti personali, fra cui i libri. Nikitin aveva infatti portato con sé dei volumi, simboli della sua terra d’origine e antidoti contro la sua nostalgia.
Dopo aver implorato aiuto al principe di Derbent e all’ambasciatore di Mosca, Nikitin e i suoi compagni riescono a farsi liberare grazie all’intervento dell’ambasciatore russo. Tuttavia, costui non concede loro nessun ausilio economico e vieta a Nikitin persino di far ritorno in patria. Nel suo saggio, Lichačëv riporta le parole di Afanasij: “E noi, piangendo, ci separammo ognuno per la sua via; chi aveva beni nella Rus’, andò nella Rus’, e chi aveva debiti andò alla ventura.” (p. 353) Impossibilitato a rientrare a Tver’, a Nikitin non rimane altro da fare che proseguire il cammino verso l’Estremo Oriente, con l’obiettivo di tornare a casa più ricco di quando era partito. Si rimette in marcia, passando da Baku e giungendo finalmente in Persia. Nel porto di Hormuz decide di acquistare un cavallo, con il quale sarebbe arrivato in India e dove poi lo avrebbe venduto in cambio di denaro. Qui entra sempre più in contatto con la popolazione musulmana, di cui cerca di descrivere ogni usanza, dalle loro abitudini quotidiane fino alle loro tecniche commerciali.
Purtroppo, il suo piano di rivendere la merce in India non ha un esito fortunato: il khan gli confisca il cavallo e lo avverte che il commercio di puledri è riservato a uomini di religione islamica. Per questo motivo, il khan gli propone di convertirsi all’Islam, ma Nikitin, uomo russo, ortodosso e legato alle proprie origini, non può accettare e perde il cavallo.
Afanasij appunta ogni pensiero sul suo taccuino, si sfoga: per lui i musulmani, che hanno reso il suo piano di rivendere il puledro e che lo hanno portato di fronte a questo bivio ideologico, sono dei “cani”. Nel suo diario riporta tutto: scrive usando una lingua che non è uno slavo ecclesiastico canonico, ma piuttosto una lingua spontanea e vicina al parlato. Tuttavia, Nikitin nutre la speranza che prima o poi la sua opera venga letta dai fratelli ortodossi russi. Temendo che alcuni dei suoi contenuti potessero procurargli dei problemi politici, inizia gradualmente a infarcire le sue frasi di parole prese in prestito dalle lingue dei popoli che incontra creando un linguaggio “segreto”.
Giunge finalmente in India, di cui si innamora perdutamente. Dell’India, Nikitin descrive qualsiasi aspetto con gli occhi della fascinazione, una fascinazione ingenua tipica dello straniero che tende a sconfinare nella credulità. Sul suo taccuino descrive le abitudini indiane: “Questa è la terra d’India e le persone camminano nude… Hanno molti bambini e gli uomini e le donne sono completamente nudi e completamente neri; ovunque io vada, ci sono sempre molte persone intorno a me, che si stupiscono di vedere un uomo bianco…” (p. 354). Racconta della loro ospitalità: con i locali è usanza condividere non solo la tavola, ma anche il letto coniugale. Parla dei costumi degli uomini e, soprattutto, delle donne, vestite in modo succinto e disposte a pagare pur di avere rapporti con uomini bianchi e avere da loro dei figli bianchi. Fa riferimento alla prostituzione e ne annota i prezzi. Rimane colpito anche dagli animali come le scimmie e gli elefanti da guerra, ed è talmente affascinato da questo esotismo da credere persino all’esistenza dei gatti mammoni, degli uccelli sputafuoco gukuk e di un principe delle scimmie, dotato di un proprio esercito. Lo colpiscono soprattutto le divinità indù, tanto che si perde in dettagliate descrizioni di Ganesh.
Tuttavia, il fascino e la curiosità non accecano completamente Nikitin. L’India di Afanasij è un paese lontano, con una natura e dei costumi particolari, ma il regime che la domina è simile a quelli di tutte le altre nazioni e terre da lui visitate: “È una terra fittamente popolata, ma la gente dei villaggi è molto povera, mentre i nobili sono molto potenti e ricchi.” (p. 355) Il khan musulmano si fa portare dai servi nonostante abbia a propria disposizione molti cavalli ed elefanti, mentre la “plebe” cammina nuda e scalza.
La fascinazione nei confronti dell’India lascia progressivamente spazio alla nostalgia di casa, soprattutto quando Nikitin si accorge di aver completamente dimenticato la Pasqua ortodossa nonostante fosse solito tenere traccia dello scorrere del tempo. Al contrario, rispetta il digiuno musulmano. Questo accadimento è la conferma di un graduale allontanamento dalle sue radici, dalla sua cultura, allontanamento che si riflette anche nella lingua del suo diario, sempre più piena di invocazioni ad Allah, e non solo al suo bog (“dio”) ortodosso, come sottolinea anche Walther Kirchner nel saggio The Voyage of Athanasius Nikitin to India 1466-1742.
Afanasij decide così di lasciare l’India, non soltanto perché non è riuscito a far fortuna come avrebbe voluto, ma per ricongiungersi soprattutto con la sua tradizione. Si rimette in marcia verso Tver’, sempre appuntando e scrivendo quanto gli succede. Purtroppo, Nikitin non riesce a far ritorno a casa: nel 1472 muore a Smolen’sk, a pochi chilometri da casa. Particolarmente significative sono le sue ultime parole trascritte sul diario: una preghiera tratta dal Corano. Alcuni studiosi, fra cui Gail Lenhof e Janet Martin, hanno voluto vedere in questa chiusura la realizzazione di un climax religioso ascendente e l’effettiva conversione di Nikitin all’Islam. Lichačëv ritiene che questa sia una supposizione non necessaria: non ci sono indizi sufficienti per supporre che Nikitin non sia rimasto fedele al Cristianesimo.
Di gran lunga più rilevanti delle ipotesi sulla sua conversione sono gli appunti di Nikitin e la natura degli stessi. Scritto con un mero fine personale, il diario di Afanasij è immediato, trasparente e concreto tanto da diventare uno dei documenti individualistici – impiegando un termine di Dmitrij Lichačëv – più significativi dell’antica Rus’. Nikitin è così autentico da diventare amico del lettore, che delinea i tratti della personalità del protagonista senza difficoltà e che ha come la sensazione di conoscerlo da sempre. Figura vicina al lettore e al grande pubblico, Nikitin coglie e riflette inoltre la fascinazione orientalistica e la curiosità per l’esotico tipica dei russi dell’epoca, pur essendo stato estraneo alle dinamiche e alle politiche interne alla sua terra natia. Nel condurre il lettore in un viaggio fisico e spirituale attraverso terre lontane e il suo mondo interiore, propone un genere letterario nuovo che anticipa lo Žitie protopopa Avvakuma (“Vita dell’arciprete Avvakum”), costituendo così una pietra miliare nella letteratura anticorussa. Per il lettore moderno, l’opera di Nikitin risulta particolarmente interessante anche in quanto testimonianza delle reazioni psicologiche di uomo russo medio del XV secolo posto a contatto con l’ignoto e lo sconosciuto.
La fortuna di Viaggio in tre mari si è concretizzata negli anni e nei secoli successivi in trasposizioni cinematografiche, monumenti e persino nel marchio di birra “Afanasij”, tipica di Tver’. L’aneddoto che più si erge a simbolo della rilevanza di Nikitin risale al 1955, anno in cui le autorità di Tver’ decisero di erigere una statua in suo onore. Secondo la leggenda, la decisione di onorare Afanasij Nikitin si deve a Nikita Chruščëv. Durante un suo viaggio in India, infatti, il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru gli chiese se ci fosse un monumento dedicato al primo uomo russo ad aver messo piede in India. Chruščëv sul momento disse a Nehru di sì, quando in realtà non era così. Per questo motivo, venne ordinato di far scolpire la statua che oggi si trova nella città natale di Nikitin, sulle rive del Volga. Nel 2000, inoltre, venne eretto un obelisco nero in onore di Nikitin a Revdanda, a 120 chilometri a sud di Mumbai, probabile luogo del suo ingresso in India.
Bibliografia:
Afanasij Nikitin, Viaggio in tre mari (a cura di Edgardo T. Saronne), Roma, Carocci Editore, 2003.
Alan S. Morris, The Journey beyond Three Seas, in “The Geographical Journal”, Vol. 133, N. 4, 1967, pp. 502–508.
Dmitrij Lichačëv, Storia della letteratura russa dei secoli XI-XVIII, Mosca, Edizioni Raduga, 1989.
Gail Lenhoff e Janet Martin, The Commercial and Cultural Context of Afanasij Nikitin’s Journey Beyond Three Seas, in “Jahrbücher für Geschichte Osteuropas”, Vol. 37, N. 3, 1989, pp. 321– 344.
Hari Vasudevan, The Solitude of Afanasii Nikitin in His `Voyage over the Three Seas’, in India International Centre Quarterly, Vol. 30, N. 3/4, 2003, pp. 74–88.
Janet Martin, Muscovite Travelling Merchants: The Trade with the Muslim East, Fifteenth and Sixteenth Centuries, in “Central Asian Studies”, Vol. 4, N. 3, 1985, pp. 21–38.
Mary Jane Maxwell, Afanasii Nikitin: An Orthodox Russian’s Spiritual Voyage in the Dar al-Islam, 1468-1475, in “Journal of World History”, Vol. 17, N. 3, 2006, pp. 243–266.
Walther Kirchner, The Voyage of Athanasius Nikitin to India 1466-1472 in “American Slavic and East European Review”, Vol. 5, N. 3/4, 1946, pp. 46–54.
Sitografia:
http://www.hrono.ru/dokum/1400dok/za3moryas.php (ultima consultazione: 09/12/2022)
https://theodora.com/encyclopedia/n/athanasius_nikitin.html (ultima consultazione: 09/12/2022)
https://urbrel.hypotheses.org/982#_ftnref1 (ultima consultazione: 09/12/2022)
http://propivo.com/torgovaya-marka-piva-afanasij/ (ultima consultazione:19/01/2023)
https://imwerden.de/pdf/nikitin_khozhenie_za_tri_morya_1958__ocr.pdf (ultima consultazione: 19/01/2023)
Apparato iconografico:
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