Paolo Ciocci
Melancolia è l’ultima raccolta di racconti di Mircea Cărtărescu, a cura di Bruno Mazzoni per La Nave di Teseo. Mircea Cărtărescu è un autore rumeno contemporaneo tra i più tradotti al mondo, nonché professore presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bucarest. Bruno Mazzoni aveva già tradotto in italiano la gran parte delle sue opere, dal Poema dell’acquaio, antologia poetica pubblicata per Nottetempo, alla trilogia Abbacinante per Voland Edizioni e a Solenoide per il Saggiatore.
Link al libro: https://www.lanavediteseo.eu/item/cartarescu-melancolia/
Melancolia presenta alcuni punti in comune con Nostalgia, un’altra raccolta di racconti pubblicata nel 1993 ed edita da Voland, a cominciare dalla struttura: entrambe le opere sono costituire da tre racconti lunghi e slegati tra di loro, racchiusi tra due racconti più brevi che fanno da prologo e da epilogo. Mentre le narrazioni di Nostalgia erano caratterizzate da una ricerca di conoscenza che sconfinava nel metaletterario, nella messa in discussione della struttura del racconto e in un’espansione che finiva per comprendere ogni angolo del mondo del protagonista-scrittore, in Melancolia questa stessa ricerca viene innescata in risposta ad una solitudine che nasce da eventi legati alla sfera quotidiana e all’infanzia, come il mancato ritorno della madre o la scoperta della sessualità. La ricerca della conoscenza come forma di metamorfosi è la tematica che più di tutte ricorre nell’opera di Cărtărescu, che qui si focalizza su una dimensione di inevitabilità inedita rispetto ai romanzi precedenti, proprio perché tesa verso il superamento di eventi molto comuni nel corso della vita, senza avere come fine ultimo lo scardinamento completo della realtà e della sua struttura.
La risposta ad una solitudine non impedisce però ai protagonisti di investigare la realtà col solipsismo titanico e carico di inquietudine tipico dei personaggi di Cărtărescu. Questo perché, come avviene anche in Solenoide e in Abbacinante, la ricerca si sviluppa attraverso fughe metafisiche e oniriche che inglobano il paesaggio cittadino all’interno di allucinazioni ricorsive e surreali, dove il soffitto di una fabbrica e il cranio del protagonista diventano spesso indistinguibili nella loro tensione verso una metamorfosi. Cărtărescu attinge dalla fisica, dalla biologia, dal misticismo e dalla religione per delineare una speculazione che scompone la vita quotidiana nel groviglio delle sue componenti elementari, delineando una prosa ricca di panorami simbolici che non porta vere risposte ai protagonisti, bensì nuovi linguaggi che pongano nuove domande.
“Danzavo la genesi dello spazio al livello della scala di Planck e l’origine del tempo basata sull’assunzione della causalità, […] Danzavo il fuoco eterno, in perenne accensione e spegnimento, distruggendo furiosamente lo spazio logico della mente. Danzavo l’icona d’oro fuso della Deità.” (p. 22)
La mescolanza di termini presi in prestito dai contesti culturali e scientifici più diversi non scade mai nel nozionismo sterile. Questo perché è proprio tramite la contaminazione enciclopedica e la fluidità delle visioni che le istanze trasformative dei personaggi riescono ad investire la loro visione della realtà nelle maniere più sfaccettate possibile, dalla scala sub-atomica alla scala cosmica, anche quando l’ultimo stadio della loro metamorfosi è qualcosa di universale e comune a tutti gli esseri umani. L’effetto di questa metamorfosi di linguaggio e di punto di vista è particolarmente emblematico nel racconto Le volpi, dove mondo degli adulti viene inizialmente dipinto come quasi inesistente. Anche i genitori del protagonista sono solamente ombre ai suoi occhi, meno reali dei suoi sogni, e acquisiranno dei contorni definiti solamente alla fine dell’istanza trasformativa del bambino. Da questo punto di vista, la melancolia nei diversi racconti è generata non tanto dall’evento in sé, quanto dall’iniziale assenza di un linguaggio che permetta di sviluppare una diversa sensibilità nei confronti dell’evento e del mondo.
Tra le varie tematiche care a Cărtărescu, l’altra preponderante in tutti i racconti di Melancolia è l’incontro-scontro con l’Altro, spesso incarnato in un doppio o in un gemello perduto. Come mostrato soprattutto nel prologo, La danza, l’incontro con l’Altro (o la sua assenza) funge da innesco per ognuna delle metamorfosi, dipinte come processi dinamici che sfumano l’interfaccia di separazione sensoriale tra l’io e il mondo. Costruendo la finzione su episodi autobiografici, Cărtărescu tratteggia l’Altro tramite caratteristiche disturbanti e disumane solo in apparenza, creando dei moloch personali che alimentano e che sono alimentati da quei dubbi e da quelle solitudini che spingono verso la metamorfosi. Il doppio presenta quindi dei tratti che sono intimamente familiari e allo stesso tempo alieni, in modo da mettere in scena, durante le fughe metafisiche, uno sdoppiamento dell’io che rappresenti il dualismo di rifiuto/desiderio di conoscenza della mente, nei confronti di una realtà Altra che si vorrebbe inglobare nel proprio solipsismo, ma che già in partenza risulta essere indecifrabile, almeno nella sua interezza.
Questi ragionamenti vengono sottolineati ulteriormente nell’epilogo, La prigione, un racconto in prima persona privo di azione che estremizza la solitudine e il conseguente solipsismo, in cui l’Altro sembra non poter esistere. “La prigione è compatta e infinita, dove entrerebbe un tu in tutto questo racconto?” (p. 257) si domanda il protagonista, rinchiuso dentro un mondo inespugnabile costituito dalla sua stessa esistenza fisica, che permette solamente la pura invenzione di ogni linguaggio e di ogni ipotesi di Altro, con l’ombra dell’inerzia e dell’eterno urlo di aiuto che scaturirebbero qualora le parole e i numeri dovessero finire, in una sorta di dimensione speculare rispetto all’epilogo di Nostalgia.
Ho inventato quindi il linguaggio, un pugno di ossicini secchi di piccione, leggeri come carta, uniti con fili di tela di ragno e con una rotazione lenta, e un suono secco, nelle correnti d’aria dello spazio logico. […] Non saprò mai com’è realmente il linguaggio, come si presentano le parole quando sono piene, compatte, calde ed elastiche come le anguille o come i lombrichi, come si vedono le squame lanose sull’ala della parola libellula quando vi cade sopra la lente levigata della parola rugiada. (p. 258)
Melancolia è un’opera che si presenta come una summa dell’opera di Cărtărescu, riunendo molte delle tematiche e dei simboli presenti nelle sue opere precedenti: l’abbandono, il confronto col proprio doppio, lo scontro tra un solipsismo titanico dell’infanzia e il mondo esterno, la ricerca come metamorfosi verso una forma di conoscenza che possa prescindere dagli organi sensoriali umani. L’inevitabilità di questa ricerca è ciò che più viene messo in risalto rispetto agli romanzi precedenti dell’autore, in quanto inserita all’interno del processo di formazione che avviene durante stadi di crescita quotidiani e comuni a tutti gli esseri umani.
Apparato iconografico:
Immagine di copertina: https://www.illibraio.it/news/dautore/solenoide-mircea-cartarescu-1403239/